Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18851 del 15/09/2011

Cassazione civile sez. I, 15/09/2011, (ud. 02/05/2011, dep. 15/09/2011), n.18851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22550-2005 proposto da:

B.G. (C.F. (OMISSIS)), con B.R.,

B.M., GA.FR. in B., questi ultimi

nella qualità di eredi di BE.RA., elettivamente

domiciliati in ROMA, P.ZZA B. GASTALDI 1, presso l’avvocato BENUCCI

CLAUDIO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BIANCHINI RICCARDI ROMEO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI TERNI;

– intimato –

sul ricorso 26691-2005 proposto da:

COMUNE DI TERNI (C.F./P.I. (OMISSIS)), in persona del Sindaco

prò tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALESSANDRO ALESSANDRO, giusta procura a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

B.G., B.R., B.M., GA.

F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 52/2005 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 16/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/05/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato CLAUDIO BENUCCI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di appello di Perugia con sentenza del 16 marzo 2005 ha determinato in Euro 10.947,56 il conguaglio dovuto dal comune di Terni a G., M., e B.R., nonchè a Ga.Fr. per la cessione volontaria con contratto del 6 giugno 1981 di un terreno ubicato in quel comune (in catasto al fg.

104, part. 147 e 280) per la realizzazione di un programma di edilizia economica,osservando: a) che l’immobile incluso in un PEEP aveva natura edificatoria ed un valore rispettivamente di L. 16.625 (mq. 2260) e 6.150 mq. (mq. 1050),come accertato dalla c.t.u.; b) che essendo stata la cessione stipulata ai sensi della L. n. 385 del 1980 salvo conguaglio,dichiarate incostituzionali le relative norme,la clausola in questione doveva considerarsi nulla e l’indennità determinata con il criterio di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis.

Per la cassazione della sentenza gli espropriati hanno proposto ricorso per due motivi; cui resiste con controricorso il comune di Terni, il quale ha formulato a sua volta ricorso incidentale per 3 motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. I ricorsi vanno, anzitutto riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ. perchè proposti contro la medesima sentenza. Con quello incidentale, dall’evidente carattere pregiudiziale, che si articola in 3 motivi, il comune di Terni, censura la sentenza impugnata: A) per non avere in violazione della L. n. 865 del 1971, art. 19 dichiarato i B. decaduti dall’opposizione alla stima proposta per la prima volta con l’azione davanti alla Corte di appello, posto che il precedente procedimento definito dal Tribunale con declaratoria di incompetenza si era estinto per mancata riassunzione della controversia davanti al giudice competente; B) per non aver rilevato in violazione del R.D. n. 383 del 1934, art. 284 e segg., L. n. 142 del 1990, art. 55 e segg. la nullità del contratto di cessione malgrado la clausola dell’art. 3 che prevedeva un diritto al conguaglio dell’indennità in caso di nuove disposizioni legislative non conteneva l’indicazione della spesa nè i mezzi per farvi fronte;

con conseguente nullità anche della deliberazione che tale cessione aveva autorizzato; C) per aver attribuito al terreno destinazione edificatoria, malgrado lo stesso nel precedente P.R.G. fosse adibito a viabilità e verde pubblico;ed al PEEP dovesse essere attribuita natura espropriativa della quale secondo il disposto della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis non doveva tenersi conto per la stima dell’indennizzo.

3.Le suesposte censure sono infondate.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che il breve termine di decadenza previsto dalla L. n. 865 del 1971, art. 19 presuppone necessariamente che il proprietario dell’immobile sia stato destinatario di un decreto di espropriazione e che intenda proporre opposizione alla stima dell’indennità definitiva determinata dalla Commissione provinciale di cui all’art. 15 della stessa Legge (e prima ancora dall’U.T.E.), onde ottenere dalla Corte di appello la liquidazione della giusta indennità dovutagli per l’ablazione subita.

Detta azione è dunque del tutto diversa da quella esperita dall’espropriato, cui l’indennità avente per oggetto un suolo edificabile, sia stata liquidata in misura corrispondente all’acconto stabilito in via provvisoria dalla L. n. 385 del 1980, salvo conguaglio, e rivolta a conseguirne l’integrazione prevista proprio dalla menzionata disposizione di legge; e/o, dopo la declaratoria In di illegittimità di quest’ultima da parte della nota sentenza 223/1983 della Corte Costituzionale, dalle leggi esistenti o sopravvenute applicabili al procedimento espropriativi posto che detta indennità, appunto perchè soggetta a conguaglio in un rapporto per espressa disposizione di legge incompleto e non esaurito, ma da completare con un intervento successivo, lascia integro ed impregiudicato il diritto del proprietario espropriato a conseguirne l’integrazione in base alle future norme da emanarsi.

E la presente azione rientrante nella previsione della L. n. 865, art. 12, comma 1 è rivolta proprio al conseguimento del conguaglio o della differenza rispetto a quanto sarebbe spettato agli espropriati – cedenti in base ai nuovi criteri determinativi dell’indennità, sostitutivi di quelli contenuti nelle norme dichiarate illegittime, vigenti al momento della cessione volontaria; per cui non può più configurarsi come opposizione ad una stima dell’indennità definitiva che non c’è mai stata e nell’ambito di applicazione dello speciale termine di decadenza previsto da detta norma (che presuppone peraltro l’avvenuta adozione del decreto di espropriazione), ma resta sottoposta soltanto al termine prescrizionale di cui all’art. 2946 cod. civ. (Cass. 120/2005; 258/2004, in motivi; 17351/2002;

16026/2000).

4. Lo stesso comune,poi ha riferito che il contratto di cessione volontaria 6 giugno 1981 è stato preceduto dalla Delib. comunale 14 luglio 1975, n. 1409 che conteneva la previsione dell’impegno finanziario e dei mezzi per farvi fronte,in conformità alle disposizioni allora vigenti del R.D. n. 383 del 1934, art. 284 segg.;

per cui tanto è bastato ad evitare la sanzione della nullità del contratto posta dal successivo art. 288,dato che il conguaglio che l’amministrazione espropriante è stata condannata a corrispondere non deriva dalla clausola contenuta nell’art. 3 della ricordata Delibera, bensì direttamente dalla L. n. 385 del 1980, art. 1 e successive proroghe, nonchè dalle note decisioni 5/1980 e 223/1983 della Corte Costituzionale che ne hanno dichiarato la illegittimità costituzionale,sostanzialmente ripristinando il criterio generale di determinazione dell’indennità stabilito dalla Legge Fondamentale n. 2359 del 1865, art. 39.

La giurisprudenza di legittimità, infatti ha ripetutamente affermato al riguardo che la cessione volontaria, significativamente inclusa fra i contratti ad oggetto pubblico, è parzialmente regolata da norme imperative imposte dalla presenza di un soggetto pubblico, e inderogabilmente dettate ad integrazione del contenuto necessario del negozio:fra le quali assume qui rilievo l’inderogabilità delle regole sulla determinazione dell’indennità di esproprio,necessariamente ancorata nell’interesse pubblico al parametro legale e con la prevista maggiorazione (nell’interesse della sollecita definizione bonaria) onde evitare che le cessioni di beni la cui acquisizione sia stata dichiarata di p.u. restino affidate alla discrezionale (se non arbitraria) valutazione delle parti. Con la conseguenza che la convenzione del prezzo deve essere comunque conforme ai parametri di valore generalmente quanto inderogabilmente prevalutati dalla legge dello Stato e che entro tali limiti si verifica (ed è giustificata) una radicale riduzione dei margini di autonomia negoziale dell’amministrazione espropriante e dell’espropriato.

Siffatta regola vale anche dopo la menzionata declaratoria di incostituzionalità, a seguito della quale, dunque, non è data all’espropriante nè all’espropriato la scelta di avvalersene ovvero di continuare ad invocare la clausola contrattuale divenuta invalida,con conseguente necessità di integrare i mezzi per far fronte ad un più elevato impegno di spesa: perchè da tale momento la pattuizione suddetta viene automaticamente sostituita con il precetto retraibile dal criterio legale,che costituisce la sola fonte genetica del diritto al conguaglio e,nel contempo,il solo parametro cui il prezzo della cessione e/o il supplementare indennizzo per essa dovuto, deve essere commisurato (Cass. 651/2003 in motivi; 2091/1997;

1890/1996).

5.Neppure è censurabile la qualificazione edificatoria attribuita al terreno B. dalla Corte di appello che ha puntualmente applicato il principio enunciato dalle sezioni Unite di questa Corte (sent. 125/2001; 11433/1997) ed ormai assolutamente consolidato che l’inclusione di un’area nel piano di zona per l’edilizia economica e popolare, anche ove l’originaria zonizzazione del piano regolatore generale ne comportasse la qualificazione come suolo agricolo, implica che, in virtù della variante introdotta dal p.e.e.p. (che in tale parte va considerato strumento programmatolo e conformativo), la stessa abbia acquisito carattere di edificabilità e che la determinazione dell’indennità di esproprio debba adottare il criterio previsto dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis (come modificato dalla sentenza 348/2007 della Corte Costituzionale), essendo irrilevante che nel contesto del p.e.e.p. l’area sia destinata ad usi che non comportano specifica realizzazione di opere edilizie (verde pubblico, viabilità di piano regolatore generale). E perciò restando escluso che il relativo valore possa essere stabilito in base alle localizzazioni interne al programma espropriativo eseguite dall’Amministrazione, cioè in funzione delle disposizioni del piano per l’edilizia attinenti alla collocazione sui singoli fondi di specifiche edificazioni ovvero di servizi ed infrastrutture (Cass. 23584/2010; 1043/2007; 10555/20041).

6. Con il ricorso principale,che si articola in due motivi, i B. e la Ga., deducendo difetti di motivazione, censurano la sentenza impugnatala) per aver riferito la stima degli immobili all’anno 1974, recependo la c.t.u. dopo avere disatteso l’assunto del comune ritenendo,invece la cessione andava ravvisata nel menzionato atto del 1981; b) per avere da un lato confermato la natura edificatoria del terreno secondo le indicazioni della giurisprudenza, ed averla dall’altro sminuita in base alle localizzazioni delle varie opere interne al piano; e soprattutto recependo valutazioni che si riferivano ad anni pregressi ed a specifici alloggi di natura popolare.

Queste doglianze sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

Infatti, contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti,la Corte di appello non soltanto ha accertato che la cessione volontaria era avvenuta con atto del 6 giugno 1981 e che a tale data doveva essere calcolato il conguaglio per il trasferimento dell’immobile,ma ha espressamente determinato, sulla base della c.t.u. il suo “valore di mercato in L. 37.572.500 all’epoca della cessione”; sicchè per contestare l’accertamento suddetto gli espropriati dovevano anzitutto riportare le risultanze della ct. che assumevano erroneamente valutata dalla sentenza dalle quali si ricavava che invece l’ausiliare aveva proceduto alla stima del fondo in tale importo facendo riferimento al suo prezzo di mercato nel 1975; e quindi che detto valore era aumentato negli anni successivired in particolar modo nell’anno 1981 divenendo più elevato di quello stabilito all’epoca della asserita stima, avendo questa Corte più volte rilevato che il valore degli immobili non aumenta automaticamente per effetto del fattore tempo, ma è influenzato da numerosi fattori che devono essere individuati e dimostrati rigorosamente nel caso concreto. Laddove nel ricorso non è stata neppure prospettata la sussistenza di un qualsiasi variazione in quegli anni nell’ambito del mercato immobiliare relativo al Piano di zona in cui era ubicato il fondo B..

D’altra parte, l’inclusione dello stesso nel PEEP valeva ad attribuirgli il requisito dell’edificabilità legale posto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis ma non a renderne il valore eguale a tutti gli altri fondi edificabili dello stesso Piano, o addirittura dell’intero comune di Terni, avendo la giurisprudenza ripetutamente avvertito che per essi la edificabilità va da un minimo (tendente a zero) ad un massimo,con una vasta gamma di situazioni quantitative intermedie su cui incide in misura determinante proprio l’edificabilità effettiva – quale attitudine del suolo ad essere sfruttato e concretamente destinato a fini edificatori; e che dunque proprio in tale funzione – valutazione dei suoli caratterizzati da edificabilità legale – la cd. edificabilità di fatto diviene elemento di valutazione decisivo per definire il maggiore o minore valore di scambio dell’immobile nell’ambito della già accertata attitudine edificatoria, anche in rapporto alle limitazioni quantitative prescritte dagli strumenti urbanistici:perciò avvalendosi al riguardo principalmente e significativamente del “metodo cd. sintetico-comparativo, fondato sul riferimento ai prezzi di mercato di immobili omogenei per elementi materiali (natura, posizione, consistenza morfologica e simili) e condizione giuridica, Per cui proprio in conformità a questi principi la ct. e la sentenza impugnata hanno accertato il valore di mercato del terreno B. facendo riferimento a quello di immobili considerati omogenei per condizione urbanistica:quali quelli utilizzati per la costruzione di Case per i lavoratori in attuazione della L. n. 60 del 1963. Ed ancora una volta spettava ai ricorrenti documentare la non rappresentatività di detti elementi di comparazione, laddove i B. ne hanno confuso la funzione con quella delle opere localizzate all’interno del PEEP che per la loro natura di vincoli preordinati all’espropriazione risultano inidonei ad escludere l’edificabilità legale in tutti i fondi rientranti nel piano.

7. Deve invece accogliersi la richiesta dei ricorrenti di conseguire un’indennità più elevata di quella calcolata dalla sentenza impugnata con il criterio riduttivo di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis posto che con la nota sentenza 348 del 2007 la Corte Costituzionale, ne ha dichiarato l’illegittimità per contrasto con l’art. 117 Cost..

Questa Corte ha ritenuto al riguardo, che una volta espunto – a seguito della declaratoria di incostituzionalità il criterio riduttivo suddetto, torna nuovamente applicabile il criterio generale dell’indennizzo pari al valore venale del bene, fissato dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 che è l’unico criterio ancora vigente rinvenibile nell’ordinamento, e per di più non stabilito per singole e specifiche fattispecie espropriative, ma destinato a funzionare in linea generale in ogni ipotesi o tipo di espropriazione salvo che un’apposita norma provvedesse diversamente. E che quindi nel caso concreto si presenta idoneo ad essere applicato, riespandendo la sua efficacia per colmare il vuoto prodotto nell’ordinamento dall’espunzione del criterio dichiarato incostituzionale anche per la sua corrispondenza con la riparazione integrale in rapporto ragionevole con il valore venale del bene garantita dall’art. 1 del Protocollo allegato alla Convenzione europea, nell’interpretazione offerta dalla Corte EDU (Cass. 9321/2008; 9245/2008; 8384/2008; e per le cessioni: 28431/2008; 330/2008).

D’altra parte alla fattispecie non è applicabile neppure lo ius superveniens costituito dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90 in base ai quali “Quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l’indennità è ridotta del venticinque per cento”: sia per la sua inapplicabilità ratione temporis alla fattispecie,dato che la norma intertemporale di cui al menzionato comma 90 prevede una limitata retroattività della nuova disciplina di determinazione dell’indennità di espropriazione solo con riferimento “ai procedimenti espropriativi” e non anche ai giudizi in corso (Cass. sez. un. 5269/2008, nonchè 11480/2008).

8. Cassata pertanto la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, siccome non occorrono ulteriori “accertamenti, la Corte deve decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. determinando la giusta indennità dovuta ai B. – Ga.

per la cessione del loro immobile nella misura di L. 44.030.000 (37.572.500 + 6.457.500); e quindi il conguaglio ancora ad essi spettante in L. 43.104.855 (44030.000-925145), pari ad Euro 22.261,80 con gli interessi legali dal 28 aprile 1986. Le spese del giudizio di merito vanno gravate sul comune di Terni nella misura disposta dalla sentenza impugnata; mentre per quanto riguarda il giudizio di legittimità, il Collegio ritiene che atteso il rigetto di entrambi i ricorsi, le stesse vadano interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi e li rigetta. Decidendo su quello principale, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, determina l’indennità di espropriazione dovuta ai proprietari espropriati nella misura di Euro 22.261,80, oltre agli interessi legali dal 28 aprile 1986. Ne ordina il deposito presso la Cassa depositati e prestiti, mantiene ferma la disciplina delle spese processuali del giudizio di merito e dichiara interamente compensate quelle del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 2 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2011

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