Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18850 del 15/09/2011

Cassazione civile sez. I, 15/09/2011, (ud. 29/04/2011, dep. 15/09/2011), n.18850

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.D., P.R., elettivamente domiciliati in Roma,

Via C. Passaglia, n. 14, nello studio dell’Avv. Sara Merlo;

rappresentati e difesi, giusta procura speciale in calce al ricorso,

dall’Avv. CORSO Antonio;

– ricorrenti –

contro

CONSORZIO QUARTO POZZUOLI, elettivamente domiciliato in Roma, P.le

Porta Pia, n. 121, nello studio dell’Avv. Giancarlo Navarra,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del

controricorso, dall’Avv. CIMADOMO Bruno;

– controricorrente –

e contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia

in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

e contro

IMPRESA SCHIAVO E C. S.P.A., IMPRESA DE ROSA ANTONIO;

– intimate –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli, n. 1050,

depositata in data 12 aprile 2005;

Sentita la relazione all’udienza del 29 aprile 2011 del Consigliere

Dott. Pietro Campanile;

Sentito l’Avvocato Generale dello Stato Daniele Giacobbe, che ha

chiesto, previa declaratoria di estraneità della PCM; il rigetto del

ricorso;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott.ssa Elisabetta Cesqui, la quale ha concluso per

l’inammissibilità, o, comunque, per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – D.D. e P.R., proprietari e coltivatori diretti di un fondo rustico in agro di (OMISSIS), convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Napoli, con atto di citazione del 24 novembre 1989, l’Impresa Schiavo e C. S.p.a., chiedendone la condanna alla restituzione del fondo e al risarcimento del danno in relazione all’occupazione illegittima di una parte del terreno di loro proprietà per la realizzazione di un asse stradale di collegamento, ovvero, in caso di intervenuta trasformazione irreversibile del fondo, la sola condanna dell’impresa convenuta al risarcimento del danno.

L’impresa Schiavo, costituitasi, chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa la ditta Antonio De Rosa, cui erano stati affidati i lavori di movimento terra, e dalla quale chiedeva di essere garantita. Venivano successivamente chiamati in causa il Funzionario CIPE e il Consorzio Quarto Pozzuoli.

Con sentenza del 13 novembre 2003 il Tribunale adito, espletata consulenza tecnica d’ufficio, rilevata l’illegittimità dell’occupazione, affermava la solidale responsabilità del Consorzio, della S.p.a. Schiavo e dell’impresa De Rosa, condannandoli al pagamento, in favore degli attori, della somma di Euro 10.502,05, oltre interessi e spese del giudizio.

La Corte di appello di Napoli, pronunciando sulle impugnazioni proposte, in via principale, dal Consorzio, e in via incidentale, dal D. e dalla P., nonchè dalle imprese Schiavo e De Rosa, così provvedeva.

Rigettava le eccezioni di carenza di legittimazione passiva riproposte dalle imprese Schiavo, De Rosa e dal Consorzio, nonchè i rilievi di quest’ultimo circa la tardività della propria chiamata in giudizio e l’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio prima del proprio intervento, e, in accoglimento della censura all’uopo proposta dal Consorzio e dalle dette imprese, ritenuta la legittimità della procedura in considerazione dei successivi provvedimenti di proroga, nonchè della circostanza che i movimenti di terra e la formazione del rilevato asse strada non comportavano, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, irreversibile trasformazione del fondo, rigettava la pretesa risarcitoria avanzata dai coniugi D. e P., con compensazione integrale delle spese processuali.

Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso il D. e la P., deducendo tre motivi, illustrati con memoria.

Resistono con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Consorzio, che produce memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 342 c.p.c., error in procedendo e carenza di motivazione, affermandosi, in sostanza, che la sentenza impugnata avrebbe violato il principio di devoluzione dell’impugnazione, escludendo che in data 11 marzo 1988, come affermato nella decisione di primo grado e come pacifico fra le parti, senza che sul punto fosse stato proposto uno specifico motivo di appello, si fosse realizzata l’irreversibile trasformazione del fondo.

2.1 – Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 6 dell’ordinanza commissariale n. 1107 del 6 agosto 1987, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione alla tardiva redazione del verbale di consistenza, eseguita in data 22 giugno 1988.

2.2 – Con il terzo motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e n. 3: la questione dell’intervenuta trasformazione del fondo nei termini sopra indicati viene riproposta sotto il profilo del giudicato formatosi in merito al rigetto della domanda di restituzione del fondo.

3 – La particolarità della vicenda induce ad esaminare congiuntamente le questioni che i singoli motivi, fra loro intimamente connessi, pongono, assumendo in ogni caso rilievo fondamentale il dato, assorbente, dell’esclusione da parte della corte territoriale dell’intervenuta trasformazione del fondo alla data dell’11 marzo 1988.

4 – Deve in primo luogo rilevarsi l’infondatezza dell’eccezione, proposta dal controricorrente Consorzio, relativa all’inammissibilità del primo motivo di ricorso, per difetto di autosufficienza. Invero, a prescindere dall’erroneità, o, meglio, dall’incompletezza delle norme richiamate, essendo chiaramente desumibili dagli argomenti addotti le ragioni giuridiche della doglianza e le norme di riferimento (Cass., 26 gennaio 2005, n. 1606;

Cass., 17 luglio 2003, n. 11212), risultano chiaramente esplicitate, con adeguato rispetto del principio di autosufficienza, le circostanze in base alle quali risarebbe stata una violazione del principio “tantum devolutum quantum appellatum”, per altro espressamente evocato.

5 – L’aspetto peculiare della vicenda esaminata è costituito dall’esclusione, nella sentenza impugnata, dell’intervenuta trasformazione del fondo, assunta dal tribunale come elemento fondante dell’intervenuta occupazione acquisitiva dello stesso. Tale profilo si intreccia con l’originaria contemplazione, nella prima ordinanza commissariale n. 107 del 6 agosto del 1987, di una superficie (mq 126) inferiore a quella realmente occupata, tanto che venne successivamente emesso nuovo provvedimento – ordinanza del Funzionario Delegato CIPE n. 1470/est del 7 novembre 1989 – con cui si disponeva l’occupazione della complessiva area di mq 408.

La Corte di appello di Napoli, in effetti, rinviene una soluzione di carattere generale nel rilevare che “la sola esecuzione di movimenti di terra e del rilevato asse strada” attestati nel giornale dei lavori dell’11/3/1988 non è sufficiente ad affermare che, in tale data, si sia concretizzata la fattispecie dell’occupazione appropriativa in ordine ai terreni non contemplati dall’ordinanza commissariale del 6 agosto 1987. L’assenza di ulteriori elementi atti a comprovare la irreversibile trasformazione del suolo anteriormente alla emissione dell’ordinanza del 7 novembre 1989 e la successiva proroga dei termini di occupazione e di completamento della procedura espropriativa… esclude l’illegittimità dell’occupazione medesima”.

6 – Vale bene richiamare preliminarmente il principio secondo cui il giudice d’appello, in relazione al dovere, di cui all’art. 112 c.p.c., di non pronunciarsi oltre i limiti della domanda ed all’onere dell’appellante, di cui all’art. 434 c.p.c., di proporre specifici motivi di appello, non può ritenere non provati fatti accertati nella sentenza impugnata, quando la loro sussistenza non abbia formato oggetto dell’appello, trattandosi di questione non devoluta al giudice di secondo grado ed essendosi conseguentemente formato sull’accertamento dei predetti fatti il giudicato interno (Cass., 2 gennaio 2001, n. 6; Cass., 9 gennaio 2002, n. 191).

Per il vero a tale principio si contrappone la tesi secondo cui, formandosi il giudicato interno solo sui capi autonomi della sentenza, detta autonomia manca non solo quando si tratti di mere argomentazioni, ma anche nell’ipotesi di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione (cfr. Cass., 19 marzo 2009, n. 6651).

Ritiene il Collegio che, non potendosi prescindere dal carattere del giudizio di appello inteso quale revisio prioris instantiae (cfr., per tutte, Cass. Sez. Un., 6 giugno 1987, n. 4991), debba in questa sede ribadirsi che, anche ai fini della valutazioni inerenti alla c.d. acquiescenza presunta o tacita, di cui all’art. 329 cpv. c.p.c., la nozione di “parti della sentenza non impugnata” si estende ad ogni punto deciso e ad ogni fatto accertato, dovendosi in ogni caso ritenere che siano stati implicitamente impugnati anche quegli aspetti che, nell’ambito della proposta censura, si presentino in rapporto di diretta connessione con quelli espressamente dedotti nei motivi di appello, costituendone necessari antecedenti logici e giuridici (Cass., 11 febbraio 2009, n. 3379; Cass., 10 febbraio 2006, n. 2973; Cass., 8 novembre 2005, n. 21659; Cass., 23 luglio 2002, n. 10734).

6 – Con riferimento all’appello proposto dal Consorzio Quarto Pozzuoli avverso la decisione di primo grado, i cui termini sono stati riportati nel ricorso in esame, non risulta che sia stata espressamente dedotta la questione inerente alla manipolazione del bene come accertata nel giudizio di primo grado, essendosi proposte le questioni inerenti alla tardività della chiamata in causa, alla carenza di legittimazione passiva e alla legittimità dell’occupazione in base alle ordinanze succedutesi nel tempo. Lo stesso Consorzio nel controricorso riproduce il tenore del terzo motivo di appello, che si riferisce esclusivamente alla legittimità dell’occupazione, aggiungendo che “la questione relativa al mancato perfezionamento della irreversibile trasformazione era senza dubbio compresa nel tema di indagine devoluto al giudice di appello con il motivo di gravame avente ad oggetto l’accertamento della legittimità della procedura ablatoria in virtù dei provvedimenti amministrativi e di legge che tale occupazione avevano dapprima autorizzato e poi, di volta in volta, prorogato…”.

Tale assunto non è condivisibile, in quanto, verificandosi l’acquisto della proprietà in capo alla pubblica amministrazione non in virtù del mero verificarsi della trasformazione irreversibile del suolo, ma anche per effetto della scadenza dell’occupazione legittimar durante la quale rimane possibile la valida emanazione del decreto di esproprio (Cass., 15 gennaio 2010, n. 556; Cass., 27 febbraio 2003, n. 2962), appare del tutto evidente come la deduzione della legittimità dell’occupazione non comporti necessariamente la contestazione dell’intervenuta manipolazione del suolo, che costituisce un aspetto del tutto autonomo, anzi, per ragioni testè evidenziate, privo di rilievo nel perdurare dell’occupazione legittima.

Pertanto la corte territoriale, capovolgendo i termini di un dato fattuale, di certo non rilevabile d’ufficio, e quindi ormai definitivamente acquisito al giudizio, ha violato i limiti del giudicato interno, fondando la propria decisione su un presupposto contrario rispetto a quello da assumere ai fini della decisione. In particolare, la decisione impugnata si fonda sulla negazione, in contrasto con il giudicato interno al riguardo formatosi, della irreversibile trasformazione del fondo in data 11 marzo 1988 (per altro – si sostiene – in presenza di rilevanti opere murarie).

7 – L’accoglimento del primo motivo assume carattere assorbente, salva la questione della tardiva redazione del verbale di consistenza, che, sulla base delle stesse deduzioni dei ricorrenti, non depone nel senso di un’intempestiva immissione nel possesso, tale da refluire negativamente sulla validità dell’occupazione.

La sentenza scrutinata, pertanto, deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Napoli, che, in diversa composizione, esaminerà la vicenda alla stregua dei principi esposti, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2011

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