Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1885 del 29/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 1885 Anno 2014
Presidente: DI PALMA SALVATORE
Relatore: DE CHIARA CARLO

ORDINANZA
sul ricorso 3295-2012 proposto da:
BALDONI

GABRIELLA,

VIRGILI

ALDO

VRGLDA31H02E207M, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
BEVAGNA 7, presso il sig. CAPI SANDRO, rappresentati e difesi
dall’avvocato GALIFFA MARCELLO, giusta delega in calce al
ricorso;

– ricorrenti contro
BANCA DI RIPATRANSONE CREDITO COOPERATIVO SOC.
COOP. 0096910443 in persona del Presidente del Consiglio di
Amministrazione e legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA LISBONA 9, presso lo studio
dell’avvocato PERAZZOLI MARIA VIRGINIA, che la rappresenta e
difende, giusta procura speciale in calce al controricorso;

8N5

Data pubblicazione: 29/01/2014

- controricorrente nonchè contro
GAETANI BRUNO,
VILLA LA QUERCIA SRL;

avverso la sentenza n. 481/2011 della CORTE D’APPELLO di
ANCONA del 5.10.2010, depositata il 20/01/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
22/10/2013 dal Consigliere Relatore Dott. CARLO DE CHIARA;
udito per i ricorrenti l’Avvocato Daniela Bizzarri (per delega avv.
Marcello Galiffa) che si riporta ai motivi del ricorso;
udito per la controricorrente l’Avvocato Pierluigi Rocchi (per delega
avv. Maria Virginia Perazzoli) che si riporta agli scritti.
PREMESSO
Che nella relazione presentata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. si
legge quanto segue:
«1. — Nei giudizi riuniti aventi ad oggetto, tra l’altro,
l’opposizione dei coniugi sig. Aldo Virgili e sig.ra Gabriella Baldoni al
decreto ingiuntivo di pagamento di € 97.202,94 in favore della Banca
di Credito Cooperativo di Ripatransone e la domanda di quest’ultima
nei confronti dei primi di revoca, ai sensi dell’art. 2901 c.c., dell’atto in
data 28 novembre 2001 con cui il Virgili aveva venduto alla moglie la.
propria quota di un immobile, la Corte d’appello di Ancona ha
respinto il gravame dei coniugi predetti avverso la sentenza di primo
grado con cui l’opposizione era stata respinta e la domanda di revoca
era stata invece accolta.
I soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione
articolando due motivi di censura, cui ha resistito con controricorso la
Ric. 2012 n. 03295 sez. M1 – ud. 22-10-2013
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– intimati –

banca intimata.
2. — Con il primo motivo i ricorrenti lamentano che la Corte
d’appello abbia disatteso le censure che essi avevano mosso alla
sentenza di primo grado per avere il Tribunale respinto l’opposizione,
nonché le loro difese rispetto alla domanda di revoca senza provvedere

artt. 183 e 184 c.p.c., da essi formulata sia nell’atto di citazione in
opposizione al decreto ingiuntivo sia all’udienza di trattazione.
2.1. — Il motivo è infondato. La Corte d’appello, infatti, non ha
soltanto negato che gli appellanti avessero tempestivamente formulato
la richiesta in questione — ciò che i ricorrenti, come si è visto,
contestano — ma ha anche affermato, correttamente, sulla scorta della
giurisprudenza di legittimità, che la mancata concessione da parte del
giudice dei termini di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c. (secondo la
formulazione successiva alle norme modificative del d.l. 18 ottobre
1995, n. 432, conv. nella 1. 20 dicembre 1995, n. 534, e prima delle
modifiche apportate dalla 1. 14 maggio 2005, n. 80, oltre che dalla 1. 28
dicembre 2005, n. 263) non comporta la regressione della causa ai sensi
dell’art. 354 c.p.c., stante la tassatività delle ipotesi da quest’ultimo
previste che non ricomprendono quella della asserita violazione delle
suddette disposizioni del codice di rito; con la conseguenza che,
qualora il giudice di appello ravvisi un vizio del procedimento
consistente nella mancata assegnazione del termine di cui trattasi, è
tenuto soltanto a rimettere in termini le parti per l’esercizio delle
attività istruttorie non potute esercitare in primo grado, che è dunque
onere della parte interessata precisare (per tutte, Cass. 4448/2007) con
l’atto di appello, il quale nella specie era invece — come affermato dalla
Corte di Ancona e non smentito nel ricorso per cassazione —del tutto
carente in proposito.
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sulla richiesta di termini per articolare mezzi istruttori, ai sensi degli

3. — Con il secondo motivo di ricorso si lamenta che la Corte
d’appello non abbia tenuto conto di documenti riprodotti nella
comparsa conclusionale degli appellanti, dai quali sarebbe risultata la
cessazione della materia del contendere in virtù del pagamento di €
45.000,00 da parte di un altro cofideiussore, il sig. Bruno Gaetani, in
Lun ta

banca il 6

agosto 2009, mentre tali documenti avrebbero dovuto essere acquisiti
ai sensi dell’art. 345 c.p.c. essendo indispensabili ai fini del decidere.
3.1. — Il motivo è inammissibile perché si basa su documenti che
non è specificato se siano stati prodotti nel giudizio di merito e dove
siano rinvenibili fra gli atti processuali, né viene indicato se siano stati
prodotti con il ricorso per cassazione, in tal modo violando gli artt.
366, primo comma n. 6, e 369, secondo comma n. 4, c.p.c. (cfr. Cass.
Sez. Un. 28547/2008, 7161/2010 e successive conformi).
Né comunque potrebbe rilevarsi d’ufficio la cessazione della
materia del contendere, atteso che i ricorrenti non dichiarano né
indicano di aver dichiarato di voler profittare della transazione stipulata
dal condebitore solidale ai sensi dell’art. 1304 c.c., che neppure
invocano.>>;
che detta relazione è stata comunicata al P.M. e notificata agli
avvocati delle parti costituite;
che il solo avvocato dei ricorrenti ha presentato memoria;

CONSIDERATO
Che il Collegio condivide le considerazioni svolte nella relazione
di cui sopra, non superate dalle osservazioni svolte nella memoria;
che pertanto il ricorso va respinto;
che al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti alle
spese processuali, liquidate come in dispositivo, in favore della banca
controricorrente;
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fen-za di una trangazione dal five-dentmo Ntiptdata

che infatti va rigettata anche l’eccezione di irritualità del
controricorso per essere intestato alla “Banca di Ripatrasone Credito
Cooperatovo soc. coop.”, anziché alla “Banca di Credito Cooperativo
di Ripatrasone”, che aveva partecipato al giudizio di merito, atteso che
l’identità della società, aldilà delle diverse denominazioni con cui viene

controricorso che nella comparsa di costituzione in appello, del suo
numero di iscrizione (861.50) all’albo degli istituti bancari.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese
processuali, liquidate in € 5.100,00, di cui € 5.000,00 per compensi di
avvocato, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22 ottobre
2013

indicata, è confermata senza margine di dubbio dall’indicazione, sia nel

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