Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18844 del 30/08/2010

Cassazione civile sez. lav., 30/08/2010, (ud. 15/06/2010, dep. 30/08/2010), n.18844

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 34356/2006 proposto da:

C.N.A., dom.to in Roma, presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. CADEO Fausto

per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

VALTEMPER dei F.lli Fezzardi di Fezzardi G. e C. s.n.c.,

elettivamente dom.ta in Roma, Corso Trieste n. 87, presso lo studio

dell’avv. BELLI Bruno, che lo rappresenta e difende assieme all’avv.

Pietro Bonari per procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 317/2006 della Corte d’appello di Brescia,

depositata il 25.8.2006; R.G. 383/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

15.06.2010 dal Consigliere Dott. Giovanni Mammone;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 24.3.05 il Tribunale di Brescia dichiarava inefficace, per omessa comunicazione dei motivi, il licenziamento intimato l'(OMISSIS) a C.N.A. da Valtemper dei f.lli Fezzardi di Fezzardi G. e C. snc e condannava quest’ultima a corrispondere al lavoratore le retribuzioni maturate dall’offerta della prestazione, ravvisata nella convocazione per il tentativo obbligatorio di conciliazione.

Proponeva appello il datore di lavoro sostenendo di non aver mai ricevuto l’offerta della prestazione e la Corte d’appello di Brescia con sentenza depositata il 25.8.06, in accoglimento dell’impugnazione, respingeva la domanda proposta dal lavoratore di pagamento delle retribuzioni arretrate a titolo di risarcimento del danno.

La Corte di merito poneva in evidenza che nella lettera di convocazione dinanzi alla Commissione provinciale ricevuta dal datore di lavoro non era contenuta alcuna esplicita offerta della prestazione lavorativa e che la convocazione non era accompagnata dall’istanza di esperimento del tentativo di conciliazione, di modo che doveva escludersi in fatto che l’azienda avesse ricevuto una richiesta di reintegrazione o di ripristino del rapporto. Ritenuto che per richiedere la corresponsione della retribuzione il lavoratore avrebbe dovuto offrire formalmente la prestazione e che tale offerta non si ravvisava neppure nel ricorso introduttivo, la Corte rigettava la domanda risarcitoria di pagamento delle retribuzioni medio tempore perdute.

C. proponeva ricorso per cassazione successivamente seguito da memoria. Resisteva il datore di lavoro con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., in relazione alla L. n. 604 del 1966, art. 2 ed all’art. 2909 c.c.. Sostiene parte ricorrente che l’inefficacia del licenziamento comminata della L. n. 604, art. 2, per la mancata comunicazione dei motivi non ha effetti sulla continuità del rapporto di lavoro, in quanto costituisce conseguenza automatica del mancato rispetto delle formalità richieste dalla legge; chiede, pertanto, l’affermazione del seguente principio di diritto ex art. 366 bis c.p.c.: qualora il datore di lavoro non indichi i motivi del licenziamento richiesti dal lavoratore, il recesso non produce effetti sulla continuità giuridica del rapporto ed il lavoratore che non goda della tutela reale ha diritto al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni dalla data del licenziamento a quella del ripristino del rapporto.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce omessa motivazione e violazione dell’art. 1217 c.c., in relazione alla L. n. 604 del 1966, art. 2. Ritiene parte ricorrente che il giudice non abbia fornito motivazione all’affermazione che la situazione di mora accipiendi del datore non sarebbe integrata dalla domanda di annullamento del licenziamento con la reintegrazione nel posto di lavoro (quale quella proposta ab initio dal lavoratore). Il giudice sarebbe, inoltre, incorso in errore di diritto non considerando che l’art. 1217, non impone al lavoratore alcuna formalità nel formulare la richiesta di ricevere la prestazione lavorativa.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente in ragione della consequenzialità logica tra di essi esistente.

Sostiene parte ricorrente che il giudice di merito avrebbe fatto erronea applicazione di un principio di diritto enunziato dalla Corte di legittimità per il caso di trasformazione in unico rapporto di lavoro a tempo determinato di più contratti a termine succedutisi tra lo stesso datore e lo stesso lavoratore, in cui, non essendo applicabili le norme della L. 15 luglio 1966, n. 604 e la L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, il datore è tenuto a risarcire il dipendente per il proprio rifiuto a ricevere la prestazione solo dal momento in cui la prestazione stessa sia stata formalmente offerta.

In proposito deve rilevarsi che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che il licenziamento affetto da uno dei vizi formali di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 2 – tra cui la mancata indicazione dei motivi – non produce effetti sulla continuità del rapporto, che pertanto deve ritenersi mai interrotto. Per i rapporti non rientranti nell’area della tutela reale, la conseguenza di tale continuità è che il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno, da determinarsi secondo le regole generali dell’inadempimento delle obbligazioni contrattuali (v. Cass, 18.8.03 n. 12079, 18.2.03 n. 2392, 20.12.02 n. 18194 e, soprattutto, S.u. 27.7.99 n. 508).

Il risarcimento del danno può essere determinato anche facendo eventualmente riferimento alle mancate retribuzioni, dunque, ma sempre nel rispetto delle regole in materia di inadempimento delle obbligazioni e, quindi, considerando che dalla natura sinallagmatica del rapporto deriva che l’adempimento dell’obbligazione retributiva di regola presuppone la messa a disposizione delle operae e, cioè, l’offerta della prestazione lavorativa (Cass. 19.5.01 n. 18979 e 18.11.00 n. 19949, nonchè le citate 12079 del 2003 e 18194 del 2002).

Il giudice di merito si è attenuto a questa impostazione, recependo il principio della continuità del rapporto (già affermato dal primo giudice) e verificando in concreto se il lavoratore, successivamente al licenziamento, avesse posto a disposizione della controparte la sua prestazione, mediante formale costituzione in mora o, comunque, con altra modalità.

Il negativo accertamento compiuto dalla Corte d’appello costituisce un apprezzamento di merito, congruamente motivato ed incensurabile in sede di legittimità.

Deve, dunque, concludersi che il giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, procedendo ad un accertamento di merito incensurabile per cassazione.

Consegue l’infondatezza di entrambi i motivi ed il rigetto del ricorso.

Le spese di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 15,00 per esborsi ed in Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2010

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