Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18841 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. I, 12/07/2019, (ud. 14/06/2019, dep. 12/07/2019), n.18841

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso n. 22948/2018 r.g. proposto da:

I.A. (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Andrea

Maestri, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma,

Via Meucci n. 7.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso ex lege

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma

Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, depositata in

data 18.6.2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/6/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bologna – decidendo sull’appello proposto da I.A., cittadino del BANGLADESH, avverso l’ordinanza emessa in data 25 ottobre 2016 dal Tribunale di Bologna (con la quale erano state respinte le domande del richiedente volte ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato e la protezione sussidiaria ed umanitaria) – ha rigettato il predetto appello, confermando, pertanto, la decisione resa in primo grado.

La corte del merito ha ritenuto non credibile la vicenda raccontata dal richiedente come ragione giustificativa della decisione di espatriare: il ricorrente ha infatti raccontato di essere stato costretto a lasciare il suo paese perchè minacciato dai collaboratori di un noto esponente politico locale che, rivendicava un credito nei confronti del padre deceduto, per un sinistro causato da quest’ultimo con il taxi di proprietà del primo. La corte territoriale ha ritenuto non credibile che un deputato nazionale (che, peraltro, svolgeva la professione di giornalista) fosse proprietario di un taxi e ha ritenuto comunque non circostanziate le altre vicende che lo avevano portato a ricongiungersi con la famiglia in Libia; ha dunque escluso ogni forma di protezione richiesta.

2. La sentenza, pubblicata il 18.6.2016, è stata impugnata da I.A. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che

1.Con il primo motivo la parte ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 3, 14 e 17, del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e art. 32, comma 3, del D.Lgs. n. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra – si duole del mancato riconoscimento della protezione umanitaria. Si evidenzia in primo luogo che il ricorrente intendeva fornire acquiescenza al diniego sulla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e che pertanto l’oggetto dell’impugnazione era ristretto solo alle domande di protezione sussidiaria e umanitaria. Si denuncia l’omessa cooperazione istruttoria da parte del giudice di appello laddove quest’ultimo aveva ritenuto non credibile il richiedente e dunque non provata la provenienza del ricorrente stesso. Si evidenzia ancora che, sulla base dei rapporti informativi di Amnesty International, era emerso che il Bangladesh è stato interessato da situazioni di violenza indiscriminata e generalizzata, tale da consentire il riconoscimento della reclamata protezione sussidiaria.

2. Con il secondo motivo si articola, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 5 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, e dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra. Si osserva come la motivazione impugnata non avesse in alcun modo considerato la situazione del paese di transito del richiedente (la Libia) sempre al fine di valutare la situazione di particolare vulnerabilità del richiedente.

3. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo in ordine alla domanda di protezione umanitaria.

4. Occorre ricordare che, con le ordinanze interlocutorie nn. 11749, 11750, 11751 del 2019, depositate il 3 maggio 2019, la Prima Sezione di questa Corte ha rimesso al Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374, comma 2, per l’assegnazione alle Sezioni Unite, le seguenti questioni:

a) se la disciplina contenuta nel D.L. n. 113 del 2018, nella parte in cui abolisce le norme che consentivano il rilascio di un permesso per motivi umanitari (D.Lgs. n. 286 del 1998, del vecchio testo, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3) e le sostituisce con ipotesi tipizzate di permessi di soggiorno in “casi speciali”, sia applicabile anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L., relativi a fattispecie in cui, alla stessa data, la commissione territoriale non avesse ravvisato le ragioni umanitarie e avverso tale decisione fosse stata proposta azione davanti all’autorità giudiziaria;

b) se, risolta la prima questione nel senso di ritenere tuttora applicabili ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 i previgenti parametri normativi, debba essere confermato il principio affermato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, secondo cui il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, può essere riconosciuto anche al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, sulla base di una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

Ne consegue che – in ragione del contenuto delle doglianze sollevate dal ricorrente in riferimento al diniego della domanda di protezione umanitaria si impone il rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione delle SS.UU..

P.Q.M.

Rinvia la causa a nuovo ruolo in attesa della decisione delle SS.UU..

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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