Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18840 del 30/08/2010

Cassazione civile sez. lav., 30/08/2010, (ud. 09/06/2010, dep. 30/08/2010), n.18840

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – rel. Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29995/2006 proposto da:

D.G.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GORIZIA

14, presso lo studio legale SINAGRA – SABATINI – SANCI, rappresentato

e difeso dall’avvocato SABATINI Franco, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

CASA DI CURA PRIVATA PIERANGELI S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S.

TOMMASO D’AQUINO 80, presso lo studio dell’avvocato GRASSI Ludovico,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GALIZIA OSVALDO,

giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA EBREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI

ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, MARITATO LELIO, giusta delega in calce

alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 460/2006 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 18/05/2006 r.g.n. 784/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/06/2010 dal Presidente Dott. RAFFAELE FOGLIA;

udito l’Avvocato ALBERTO PICCININI per delega FRANCO SABATINI;

udito l’Avvocato GALIZIA OSVALDO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 2 agosto 2004 il Dr. D.G.R. impugnava la sentenza del Tribunale di Pescara del 9 giugno 2004 che aveva negato la natura subordinata del rapporto di lavoro intrattenuto con la Casa di Cura Pierangeli dal marzo 1989 al dicembre 1998, in qualità di addetto alla guardia medica.

Con sentenza del 18 maggio 2006, la Corte di appello degli Abbruzzi L’Aquila respingeva la domanda, affermando che il ricorrente – specializzando in chirurgia all’epoca dei fatti – svolgeva la sua attività di guardia medica in regime di autonomia, al di fuori di uno stabile inserimento nella struttura dei reparti e dell’equipe della sala operatoria.

Secondo il giudizio della Corte territoriale, ulteriori elementi significativi della natura non subordinata del rapporto in questione – secondo le ampie acquisizioni istruttorie raccolte nel corso di entrambi i giudizi di merito – quali ad es.: a) la variabilità dei compensi a seconda della sua presenza nei reparti; b) la possibilità di stabilire, d’accordo con gli altri medici addetti alla guardia medica, tempi e modalità di presenza o sostituzioni senza preventiva autorizzazione della amministrazione della Casa di Cura; c) la considerazione riferita da più testimoni che l’attività svolta dall’appellante non era esposta a conseguenze di natura disciplinare, a differenza di quanto invece poteva accadere nei confronti degli altri medici assunti con contratto di lavoro subordinato pur impegnati alle medesime prestazioni.

Avverso la sentenza della Corte di appello ricorre il ricorrente in cassazione deducendo due motivi. Resiste la Casa di Cura con controricorso.

L’INPS ha depositato atto di delega.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., nonchè omessa e contradditemi motivazione su un elemento decisivo per il giudizio, il ricorrente ha formulato i seguenti quesiti di diritto in applicazione dell’art. 366 bis c.p.c., all’epoca vigente:

“ove un imprenditore affida ai prestatori di lavoro in turni di lavoro, può escludersi il vincolo di subordinazione ex art. 2094 c.c., se i lavoratori non sono tenuti ad eseguire un predeterminato monte-ore mensili, con conseguente variabilità del corrispettivo, mentre hanno anche la facoltà di farsi sostituire da qualche collega in caso di improvvisa indisponibilità di quest’ultimo? “Deve qualificarsi lavoratore subordinato il sanitario addetto al servizio di guardia medica di una clinica che, osservando il turno pomeridiano o notturno, in assenza di altro personale medico sopperisce alle normali necessità dei ricoverati presso i vari reparti di degenza? Secondo il ricorrente, la motivazione della sentenza di appello risulta carente per non aver valutato non solo la durata decennale del rapporto di lavoro de qua, ma anche la sottoposizione dell’attore a direttive di ordine generale impartite dal primario o dai medici in reperibilità.

Col secondo motivo – afferente alla violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., in relazione all’art. 416 c.p.c., nonchè omessa e/o insufficiente motivazione su più elementi decisivi per il giudizio – il ricorrente ha dedotto che. ottenuta il 25 ottobre 1989 la specializzazione in chirurgia, fu inserito nell’organico del reparto con l le funzioni di chirurgo-assistente medico, svolgendo poi sistematicamente nel turno del martedì, giovedì e sabato non solo l’attività in corsia, ma anche in sala operatoria. Nella nuova veste il ricorrente era alle dirette dipendenze del primario (il Dr. P. sino al maggio 1989; il dr. L. dal maggio 1989 sino al 1998).

Controricorso della Casa di cura resistente:

Secondo la resistente, il ricorrente non ha assolto all’onere di provare la ricorrenza dei requisiti della subordinazione in concreto.

D’altra parte, la stessa sentenza di appello, non senza qualche ambiguità, afferma che “proprio l’obbligazione di risultato assunta dal ricorrente nello svolgimento della guardia medica (secondo modalità temporali decise d’accordo con gli altri medici addetti) smentisce la natura subordinata del rapporto.

Prosegue la sentenza di appello che “nelle attività intellettuali il vincolo di subordinazione risulta attenuato, e pur essendo ipotizzabile che anche nel rapporto di lavoro subordinato il datore di lavoro possa rimettere agli interessati il potere di organizzare i turni di lavoro (secondo lo schema del c.d. job sharing o “lavoro ripartito” introdotto nel nostro ordinamento attraverso la L. Biagi n. 276 del 2003, art. 41), ciò non toglie che in questi casi il rapporto si connota per una assenza o di riduzione di libertà del lavoratore nel determinare i tempi e i modi della sua prestazione, stabiliti dal datore di lavoro in relazione alle sue esigenze produttive o di funzionalità del servizio.

Nel caso di specie i medici impegnati nell’attività di guardia medica – come l’appellante – escussi come testi hanno affermato che erano loro (compreso il D.G.) ad organizzare i turni di presenza, in base alla disponibilità di ciascuno ed ai loro impegni, e che sempre autonomamente potevano sostituirsi, non essendo vincolati ad un prestablito monte ore.

I prospetti dei turni, peraltro, venivano portati a conoscenza della Casa di cura, ma solo al fine di prestabilire i compensi rapportati alle effettive presenze.

Confermando la natura autonoma dell’attività lavorativa svolta dall’appellante, la Corte territoriale ha precisato che “… la differenza tra questa situazione e quella, nella quale il datore di lavoro rimette ai dipendenti l’organizzazione dei turni, sta nel fallo che i medici-dipendenti sono tenuti a rispettare i turni – pur da loro organizzati – ma non sono liberi di sostituirsi tra loro, devono assicurare il rispetto di un monte ore, corrispondente all’orario di lavoro, non possono sottrarsi al turno a loro piacimento, e se ciò fanno sono passibili di conseguenze disciplinari.

La differenza tra questa situazione e quella nella quale il datore di lavoro rimette ai dipendenti l’organizzazione dei turni, emerge chiaramente dalla circostanza che i lavoratori – in questa seconda ipotesi tenuti a rispettare i turni, pur da loro organizzati debbono assicurare il rispetto di un monte ore di lavoro, corrispondente all’orario di lavoro, e non possono sottrarsi al turno a loro piacimento, pena l’applicazione di sanzioni disciplinari nei loro confronti.

Premesse le emergenze istruttorie già descritte in ordine alla classica bipartizione “subordinazione/autonomie, rimane del tutto attuale il punto di arrivo della giurisprudenza sulla interpretazione ed applicazione dell’art. 2094 c.c., che quella alternativa ripropone con frequenza crescente nelle controversie di lavoro.

Sotto questo profilo affatto generale, Cass. 3 aprile 2000. n. 4036.

con riferimento specifico ad una fattispecie in cui era stata escluso il carattere subordinato di un rapporto di lavoro di guardia medica presso una casa di cura, ha sottolineato che l’esistenza del vincolo di subordinazione va concretamente apprezzata dal giudice di merito con riguardo alla specificità dell’incarico conferito e al modo della sua attuazione, fermo restando che, in sede di legittimità, è censurabile soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto come tale incensurabile in tale sede se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici – la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice di merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o l’altro schema contrattuale.

Altrettanto attuale rimane l’indicazione della giurisprudenza di legittimità (Cass.. seni. 9956/05) secondo cui anche nel lavoro intellettuale, la natura subordinata del rapporto si esprime necessariamente attraverso il datoriale potere direttivo, disciplinare, e di controllo.

A volte, questo potere, che il datore conferisce espressamente ad altri (come ad un dirigente), penetra visibilmente nello stesso specifico contenuto intellettuale del lavoro (pur in misura adeguata alla natura delle mansioni stesse). E tuttavia, l’assoggettamento alle direttive può materialmente esprimersi mediante persona diversa dal datore solo ove questa, per espresso specifico incarico o per la stessa natura delle sue mansioni, esprima la volontà del datore stesso. Non è pertanto configurabile la subordinazione di un medico che lavori sotto la direzione del primario, ove non sia provata la volontà dell’ente di esercitare attraverso lo stesso primario il proprio potere direttivo, organizzativo e disciplinare nei confronti del medico stesso (Cass., 1 agosto 2000 n. 10064). Altre volte il potere si manifesta meno visibilmente in queste direttive, e prevalentemente nei tempi e nelle modalità della prestazione, con il vincolante obbligo della presenza e degli orari ed il diritto a ferie retribuite.

Nel caso in esame, il giudicante ha accertato l’assenza di direttive e di controlli che siano riconducigli alla subordinazione, li nei confronti di questo accertamento, la ricorrente non ha proposto censure specifiche.

In particolare (per quanto attiene alle pretese direttive ed alla pretesa autorizzazione per le assenze), la censura relativa alle risultanze della prova testimoniale, essendo assolutamente generica ed articolandosi attraverso elementi che il giudicante ha adeguatamente valutato (Cass. Sez. Un. 27 dicembre 1997 n. 13045, Cass. 9 aprile 2001 n. 3910), è infondata.

Nel caso in esame, non essendo provata la sussistenza di un rapporto subordinato, nè la legittimazione dei sanitari ad esprimere la volontà datoriale di determinazione degli orari di lavoro e la formazione di gruppi di medici destinati all’attività di guardia medica, secondo turni prestabiliti che ne assicurino la fungibilità degli addetti, deve riconoscersi l’esistenza di una autonomia non dissimile da quella che – ai sensi dell’art. 409 c.c., n. 3, caratterizza i rapporti di c.d. “parasubordinazione”.

Il ricorso va, pertanto, respinto e il ricorrente dev’essere condannato alle spese del giudizio di legittimità – in favore della sola Casa di cura Pierangeli (l’INPS non ha svolto attività difensiva) come da dispositivo che segue.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e pone a carico del ricorrente le spese di questo giudizio che liquida, in favore della Casa di cura Pierangeli s.r.l. in Euro 38,00 oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2010

 

 

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