Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1884 del 25/01/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 1884 Anno 2018
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 21494-2013 proposto da:
COMUNE LIGNANO SABBIADORO 83000710307, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 13, presso lo
studio dell’avvocato MARIO ETTORE VERINO, rappresentato e
difeso dall’avvocato ENRICO BULFONE giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente contro

GALETTI MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.
AVEZZANA 6, presso lo studio dell’avvocato LORETTA BURELLI,
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
MASSIMILIANO SINACORI in virtù di procura in calce al
controricorso;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 25/01/2018

avverso la sentenza n. 357/2013 della CORTE D’APPELLO di
TRIESTE, depositata il 12/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 15/11/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO,

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

dinanzi al Tribunale di Udine il Comune di Lignano Sabbiadoro,
deducendo di essere proprietaria di un’unità immobiliare
facente parte del Condominio Villa Isotta sita nel predetto
Comune alla Calle Donatello n. 2, sul fondo in catasto al foglio
59, mapp. 991/12, e che aveva posseduto da oltre venti anni
una fascia di terreno appartenente al comune convenuto,
censita come area verde e contigua alla sua proprietà.
Deduceva altresì che la società costruttrice del suo immobile,
pur avendo alienato l’area contesa al Comune, aveva però in
precedenza provveduto a recintare la stessa con una siepe,
asservendola di fatto all’unità immobiliare poi acquistata
dall’attrice, la quale, unitamente ai suoi danti causa, ne aveva
sempre avuto il possesso pacifico ed esclusivo.
Si costituiva il Comune che si opponeva alla domanda
eccependo la non usucapibilità del bene in quanto area
demaniale o comunque appartenente al patrimonio
indisponibile del comune medesimo. In via riconvenzionale
chiedeva la condanna dell’attrice al rilascio del terreno.
All’esito dell’istruttoria, il Tribunale adito con la sentenza n.
1370 del 30/9/2008 accoglieva la domanda della Galetti,
riconoscendo l’avvenuta usucapione del bene.
La Corte d’Appello di Trieste, con la sentenza n. 357 del 12
aprile 2013 rigettava il gravame proposto dal convenuto,
escludendo in primo luogo che il bene oggetto di causa avesse
carattere demaniale.

Ric. 2013 n. 21494 sez. 52 – ud. 15-11-2017 -2-

1. Galetti Maria in data 26/4/2001 conveniva in giudizio

Ed, infatti, sebbene lo stesso fosse stato acquistato a titolo
gratuito dal Comune con atto del 12 dicembre 1978, giusta
trasferimento effettuato da parte della S.I.L., originaria
proprietaria esclusiva dell’area, e sebbene vi fosse una
precedente delibera del 13 febbraio 1978, con la quale l’ente

percorsi pedonali, tuttavia, una volta esclusa la possibilità di
ritenere il bene come facente parte del demanio necessario,
andava esclusa anche l’applicabilità dell’art. 22 della legge n.
2248/1865.
Infatti, tale norma pone una mera presunzione di demanialità
che però doveva reputarsi essere stata vinta nella fattispecie in
esame, in quanto la società, che aveva poi ceduto la proprietà
dell’area al Comune, aveva in data anteriore a tale atto già
provveduto a delimitare la porzione oggetto di causa con una
siepe, sottraendola in tal modo all’uso o al servizio pubblico,
venendo quindi a mancare il requisito oggettivo della effettiva
destinazione del bene alla pubblica funzione.
Quanto invece all’ulteriore doglianza circa il mancato
riconoscimento della natura di bene appartenente al patrimonio
indisponibile comunale, la Corte d’appello rilevava che per
acquisire tale qualità è necessaria, oltre ad una specifica
previsione amministrativa (nella specie sussistente, atteso il
tenore della richiamata delibera comunale del 1978), anche
un’effettiva ed attuale destinazione del bene al servizio
pubblico, che nel caso di specie difettava posto che l’area,
stante la presenza della recinzione, era risultata sempre
inaccessibile per la collettività.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il
Comune di Lignano Sabbiadoro sulla base di due motivi.
Ha resistito con controricorso Galetti Maria.

Ric. 2013 n. 21494 sez. 52 – ud. 15-11-2017 -3-

locale aveva inteso destinare l’area a verde pubblico ed a

2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa

applicazione degli artt. 822 c.c. e dell’art. 22 della legge n.
2248/1865 all. F, contestandosi l’affermazione del giudice di
merito circa l’esclusione della natura demaniale per il bene in
contesa.

atto del 12 dicembre 1978, e che già in precedenza con
delibera n. 15 del 13 febbraio 1978, si era prevista la sua
destinazione a percorsi pedonali ed a verde pubblico, attesa la
peculiare conformazione architettonica del Comune di Lignano
Sabbiadoro, che non prevedeva la creazione di marciapiedi.
Nello stesso atto con il quale il bene era pervenuto al Comune
si era data contezza che la cessione avveniva al fine di far
rientrare nel demanio comunale la aree destinate a verde
pubblico, riconoscendosi in tal modo che anche il bene oggetto
di causa aveva già ricevuto tale destinazione.
Pertanto, poichè l’area de qua ha sempre assolto alla duplice
funzione di verde pubblico e percorso pedonale, non può che
riaffermarsene la natura demaniale e la conseguente non
usucapiblità.
Il motivo è infondato e deve essere rigettato.
Nella sostanza, lo stesso non sfugge alla considerazione, che
ne evidenzia quindi l’infondatezza, secondo cui mira in realtà a
sollecitare una diversa valutazione in fatto della vicenda, non
potendosi, infatti, ravvisare una non corretta applicazione delle
norme di cui si denunzia la violazione.
La sentenza impugnata ha, invero, fatto puntuale applicazione
dei principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, la
quale reiteratamente ha affermato che (cfr. da ultimo Cass. n.
2795/2017) la presunzione di demanialità stabilita dall’art. 22
della I. n. 2248 del 1865, all. F, non si riferisce ad ogni area

Ric. 2013 n. 21494 sez. 52 – ud. 15-11-2017 -4-

Osserva il Comune che l’area de qua era stata acquistata con

comunicante con la strada pubblica, ma solo a quelle che, per
l’immediata accessibilità, integrano la funzione viaria della rete
stradale, in guisa da costituire pertinenza della strada; nelle
altre ipotesi, invece, affinché un’area privata venga a far parte
del demanio, è necessario che essa sia destinata all’uso

trasferito il dominio alla Pubblica Amministrazione (in
applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza
impugnata, che aveva ritenuto la natura demaniale di un’area
sulla base del solo requisito della contiguità alla strada,
omettendo ogni valutazione sull’effettiva funzione integrativa
della viabilità stradale svolta dalla stessa; conf. Cass. n.
8876/2011).
Infatti, affinché un’area privata venga a far parte del demanio,
non è sufficiente che essa sia destinata all’uso pubblico, ma è
invece necessario che sia intervenuto un atto o un fatto che ne
abbia trasferito il dominio alla P.A., e che essa sia destinata
all’uso pubblico dalla stessa P.A., a meno che non possa
operare, trattandosi di aree adiacenti a una strada pubblica, la
presunzione di demanialità stabilita dall’art. 22 della legge
n.2248 del 1865, all. F – la quale sancisce una presunzione
“iuris tantum” di proprietà pubblica di quegli spazi adiacenti
alle strade comunali che, per l’immediata accessibilità,
appaiono parte integrante (pertinenza) della strada, salvo
prova contraria idonea a dimostrare il carattere privato degli
stessi spazi ( così Cass. n. 4975/2007).
Orbene, nel caso in esame, la decisione impugnata, con una
valutazione tipicamente in fatto, e come tale non suscettibile di
essere oggetto di riesame da parte di questa Corte, in assenza
di denuncia di un vizio motivazionale, ha ritenuto che l’area de
qua, originariamente e pacificamente appartenente a privati,

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pubblico e che sia intervenuto un atto o un fatto che ne abbia

ancor prima del suo trasferimento alla P.A. era stata
interessata da una recinzione che l’aveva di fatto resa
suscettibile di utilizzazione esclusivamente da parte dei titolari
dell’unità immobiliare poi pervenuta all’attrice, sicchè, al
momento del passaggio della proprietà al Comune, la presenza

ovvero la qualificazione della porzione di terreno quale
pertinenza della rete viaria.
La pur prevista destinazione programmatica dell’area a verde
pubblico ed a percorso pedonale è stata di fatto impedita dalla
presenza della siepe, che ha precluso l’asservimento del bene
alla pubblica funzione, di talchè alla data del passaggio della
proprietà è risultata carente l’oggettiva funzionalizzazione del
bene all’uso pubblico, requisito necessario per l’acquisto del
carattere della demanialità, dovendosi quindi ritenere vinta la
presunzione in tale direzione posta dal menzionato art. 22.
In tal senso, le Sezioni Unite di questa Corte hanno poi
precisato che (cfr. Cass. S.U. n. 5522/1996) tale presunzione
non si riferisce ad ogni area comunicante con la strada
pubblica, ma solo a quelle aree che, per l’immediata
accessibilità, appaiono integranti della funzione viaria della rete
stradale, in guisa da costituire pertinenza della strada, essendo
quindi destinata a cadere di fronte all’esistenza di elementi
probatori che, secondo il prudente ed incensurabile
apprezzamento del giudice di merito, siano idonei a dimostrare
il carattere privato degli spazi medesimi (in senso conforme
per l’affermazione che tale indagine è di fatto, e sindacabile in
sede di legittimità solo nei limiti consentiti dal vizio di cui al n.
5 dell’art. 360 c.p.c., si veda altresì Cass. n. 3497/1987).
La conclusione che si trae dalla sentenza gravata, secondo cui
solo le fasce verdi poste a ridosso delle proprietà private e

Ric. 2013 n. 21494 sez. 52 – ud. 15-11-2017 -6-

stessa della recinzione impediva l’utilizzo in chiave pubblica

della rete viaria non recintate, una volta trasferite al Comune,
abbiano acquistato il carattere demaniale, lungi dal porsi come
paradossale, come invece sostenuto dal ricorrente, è una
inevitabile conseguenza del fatto che solo in tal caso le aree
hanno assunto una funzione integrativa della rete viaria,

Né appare sostenibile, come pure dedotto in ricorso, che
aderendo alla conclusione dei giudici di merito si
permetterebbe l’accaparramento di beni demaniali, ovvero si
consentirebbe ai privati di potere successivamente sottrarre i
beni alla loro natura demaniale semplicemente recintandoli, in
quanto il ragionamento della Corte di merito ha in realtà
affermato che l’area oggetto di causa non ha mai acquisito il
carattere demaniale, proprio in ragione della sua delimitazione
ed attribuzione al godimento esclusivo della titolare della
villetta limitrofa, ancor prima del suo acquisto da parte del
Comune, dovendosi a contrario ritenere che le aree non
recintate, una volta cedute al Comune hanno assunto carattere
pertinenziale rispetto alla rete viaria, operando in tal modo la
presunzione di cui al citato art. 22, con il conseguente acquisto
della qualità di bene demaniale (il che ne impedisce oggi
I ‘usucapione).
3. Il secondo motivo di ricorso denunzia la violazione dell’art.

826 c.c., sostenendosi che il bene appartiene al patrimonio
indisponibile del Comune in quanto destinato a pubblico
servizio.
Il motivo oltre a richiamare il contenuto di altra diversa
sentenza del Tribunale di Udine, la quale concerne beni diversi
da quelli oggetto di causa, riproduce essenzialmente le stesse
difese già poste a fondamento dell’analogo motivo di appello,
sostenendosi che l’acquisto della qualifica di area adibita a

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venendo pertanto asservite al pubblico uso.

verde prescinde dalla circostanza che l’ente locale abbia
effettivamente provveduto alla sua manutenzione e cura.
In realtà la stessa precisazione compiuta dal Comune a pag. 24
del ricorso, secondo cui la concreta ed attuale possibilità di
godimento dell’area da parte dell’intera collettività prescinde

affìnchè possa parlarsi di area adibita a verde pubblico,
conforta la necessità che il bene sia oggetto di una fruizione
collettiva, elemento questo, che, come detto, con valutazione
tipicamente in fatto, è stato reputato essere assente nel caso
in esame.
La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, costantemente
ribadito che (cfr. Cass. S. U. n. 6019/2016) affinché un bene
non appartenente al demanio necessario possa rivestire il
carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in
quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell’art. 826,
comma 3, c.c., deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e
oggettivo) della manifestazione di volontà dell’ente titolare del
diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui
risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel
determinato bene a un pubblico servizio) e dell’effettiva e
attuale destinazione del bene al pubblico servizio (conf. Cass.
S.U. n. 24563/2010, che ha ribadito la necessità della concreta
utilizzazione, negando che la destinazione in questione possa
discendere automaticamente dalla inclusione del bene nell’area
di un parco regionale istituito, e cioè da un provvedimento
avente carattere programmatico cui non abbia fatto seguito
l’effettivo asservimento alla pubblica funzione; si veda anche
Cass. n. 26402/2009, che ha del pari riconosciuto la possibilità
di usucapione per il privato, laddove, pur in presenza di un atto
amministrativo che prevedeva la destinazione del bene a

Ric. 2013 n. 21494 sez. 52 – ud. 15-11-2017 -8-

dalla necessità di particolari interventi di manutenzione,

finalità

pubbliche,

non

era

seguita

alcuna

concreta

utilizzazione).
Ritiene il Collegio di dover dare continuità a tale giurisprudenza
di cui è autorevole espressione anche Cass. S.U. n. 391/1999,
citata dai giudici di merito, la quale, pur in presenza di un bene

amministrativo da cui risultava la specifica volontà dell’ente di
destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio (nella
specie il terreno era stato acquistato dal Comune di Roma nel
1884 per realizzare una “passeggiata pubblica” o parco), ha
escluso che il bene avesse acquisito il carattere della
indisponibilità in difetto della concreta ed attuale destinazione
al pubblico servizio (conf. Cass. S.U. n. 16831/2002).
L’esistenza di una recinzione, risalente ad una data anteriore
allo stesso acquisto da parte del Comune, con giudizio di fatto,
è stata ritenuta impeditiva della possibilità che il bene sia mai
stato destinato a servizio pubblico, dovendosi quindi escludere
la denunciata violazione di legge.
Il ricorso deve quindi essere rigettato e ciò conformemente ai
precedenti di questa Corte intervenuti in analoghe controversie
che hanno visto contrapposto l’ente locale ad altri privati
(Cass. n. 22074/2014; Cass. n. 14016/2017; Cass. n.
25344/2017).
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo che segue.
6. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30
gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare
atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013),
che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico

Ric. 2013 n. 21494 sez. 52 – ud. 15-11-2017 -9-

effettivamente acquistato da un Comune e di un atto

di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza
dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM

della controricorrente delle spese del presente giudizio che
liquida in complessivi C 2.200,00, di cui C 200,00 per esborsi,
oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori
come per legge;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1

quater, del d.P.R. n. 115/2002,

inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza
dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del
contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma
dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio del 15 novembre 2017
Il Ppsidente

t>,

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso in favore

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