Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1884 del 02/02/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 1884 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA
sul ricorso 3013-2013 proposto da:
MERIDIANA SPA 01846710901, in persona del Presidente del
Consiglio di Amministrazione, MERIDIANA FLY SPA 03184630964,
in persona dell’amministratore delegato, elettivamente domiciliate in
ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio degli
avvocati CARLO BOURSIER NIUTTA, MARCELLO DE LUCA
TAMAJO giusti mandati a margine della prima e della seconda pagaine
del ricorso;
– ricorrenti contro

_9(45ti

Data pubblicazione: 02/02/2015

CURRELI LUISA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CRESCENZIO 19, presso lo studio dell’avvocato CARLO
BALDASSARI, rappresentata e difesa dagli avvocati LUIGI PAU,
ALESSANDRO MELONI giusta procura a margine del

– C011trOfiCOITC12tC –

avverso la sentenza n. 293/2012 della CORTE D’APPELLO di
CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA di SASSARI dell’11/07/2012,
depositata il 17/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
19/11/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES;
uditi gli Avvocati Boursier Niutta Carlo e Antonio Armentano (delega
avvocato Marcello De Luca Tamajo) difensori delle ricorrenti che si
riportano ai motivi e depositano dopo la discussione nota d’udienza;
uditi gli Avvocati Galleano Sergio e De Michele Vincenzo (delega
avvocato Pau) difensori della controricorrente che si riportano ai
motivi e si oppongono al deposito di nota spese d’udienza.

FATTO
Il Tribunale di Tempio, in parziale accoglimento della domanda
proposta da Curreli Luisa nei confronti di Meridiana s.p.a., dichiarava
la nullità del termine apposto ai contratti stipulati dalla ricorrente con
Meridiana dal 2004 condannando detta società al pagamento di sei
mensilità globali di fatto godute.
Avverso tale decisione proponevano separati appelli tanto la Curreli
che Meridiana s.p.a. e Meridiana Fly s.p.a. ( cui medio tempore era stato
ceduto il ramo di azienda comprendente tutte le attività connesse al
volo) e la Corte di appello di Cagliari sez. distaccata di Sassari — li
accoglieva in parte entrambi, dichiarando cessata la materia del
Ric. 2013 n. 03013 sez. ML – ud. 19-11-2014
-2-

controricorso;

contendere con riferimento alla riammissione in servizio ed alla
anzianità e condannando in solido le dette società a corrispondere alla
Curreli qualunque emolumento spettantele tenuto conto dell’anzianità
di servizio riferita ai periodi di effettiva prestazione sulle retribuzioni

In particolare la Corte territoriale, per quello che in questa sede
ancora rileva, riteneva il diritto al computo, a fini di anzianità
retributiva e contributiva, degli scatti e del trattamento retributivo, di
tutti i periodi effettivamente lavorati, ma non anche di quelli non
lavorati (nei quali il rapporto era stato consensualmente quiescente) a
fini di maturazione di scatti e differenze retributive.
Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso Meridiana Fly
s.p.a. e Meridiana s.p.a. affidato a due motivi.
La Curreli resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

DIRITTO
Il Collegio rileva preliminarmente che non è di ostacolo alla trattazione
del ricorso la mancata presenza, alla odierna udienza, del rappresentante
della Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, cornma 2, cod. proc. civ., quale risultante dalle
modifiche introdotte dall’art. 75 decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69,
convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede
che il pubblico ministero “deve intervenire nelle cause davanti alla Corte
di cassazione nei casi stabiliti dalla legge”. A sua volta, l’art. 76 r.d. 10
gennaio 1941, n. 12, come sostituito dall’art. 81 del citato decreto legge
n. 69, al primo comma dispone che: “il pubblico ministero presso la
Corte di cassazione interviene e conclude: a) in tutte le udienze penali;
b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze
pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad
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-3-

erogate durante i rapporti a termine.

:

eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui all’art. 376,
primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile”. L’art.
376, primo comma, cod. proc. dv. stabilisce che: “Ti primo presidente,

pronunzia in camera di consiglio”.
Infine, l’art. 75 del già citato decreto legge n. 69 del 2013, quale
risultante dalla legge di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto,
al primo comma, la sostituzione dell’art. 70, secondo comma, del codice
di rito, e la modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e 390,
primo comma, del medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito
camerale alla disposta esclusione della partecipazione del pubblico
ministero alle udienze che si tengono dinanzi alla sezione di cui all’art.
376, primo comma, al secondo comma ha stabilito che: “Le disposizioni
di cui al presente articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di
cassazione nei quali il decreto di fissazione dell’udienza o dell’adunanza
in camera di consiglio sia adottato a partire dal giorno successivo alla
data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”,
e cioè a far data dal 22 agosto 2013. Il Collegio, a tal fine, rileva che
l’esplicito riferimento contenuto, sia nell’art. 76, comma primo, lett b),
del r.d. n. 12 del 1941 (come modificato dall’art. 81 del decreto legge n.
69 del 2013), sia nell’art. 75, comma 2, citato, alle udienze che si tengano
presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art. 376, primo comma,
cod. proc. civ.), consenta di ritenere, non solo che la detta sezione è
abilitata a tenere, oltre alle adunanze camerali, anche udienze pubbliche,
ma anche che alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è
più obbligatoria la partecipazione del pubblico ministero. Rimane
impregiudicata, ovviamente, la facoltà dell’ufficio del pubblico ministero
di intervenire ai sensi dell’art. 70, terzo comma, cod. proc. civ., e cioè
Ric. 2013 n. 03013 sez. ML – ud. 19-11-2014
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tranne quando ricorrono le condizioni previste dall’art. 374, assegna i
_
ricorsi ad apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la

ove ravvisi un pubblico interesse (cfr. in tal senso Cass. 17 marzo 2014,
n. 6152; Cass. 20 gennaio 2014, n. 1089; Cass. 8 aprile 2014, n. 8243).
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna è
stato emesso in data successiva al 22 agosto 2013, sicché deve

partecipazione del rappresentante della Procura generale presso questa
Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia integrale del ruolo
di udienza è stata trasmessa, ravvisato un interesse pubblico che
giustificasse la propria partecipazione ai sensi dell’art. 70, terzo comma,
cod. proc.
E’ del tutto evidente che laddove il pubblico ministero non
partecipi, come nel caso di specie, all’udienza pubblica, non vi è alcuno
spazio per le “note di udienza” che, a norma dell’alt 379 cod. proc. civ.,
in sede di discussione davanti alla Corte di cassazione sono consentite
alle parti solo per replicare alle conclusioni assunte dal P.M. in udienza.
Tali note, dunque, vanno considerate irricevibili.
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa
applicazione degli arti. 99 e 112 c.p.c. nonché dell’art. 32, comma 70 ,
della legge n. 183/2010, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per avere la
Corte di merito rigettato il motivo di appello nella parte in cui era stata
censurata la decisione del primo giudice di condannare le attuali
ricorrenti al pagamento della indennità ex art. 32 1. 183/2010 anche in
assenza di una specifica domanda in tal senso. In particolare si assume
la erroneità dell’impugnata sentenza laddove aveva affermato che la
“..la parte ha domandato un risarcimento che poi il giudice quantifica
e, nel caso in discussione, detta quantificazione è già prevista dalla
legge”. Si evidenzia che in tal modo anche la Corte territoriale aveva
violato il principio del chiesto e pronunciato.
11 motivo è del tutto infondato.
kic, 2013 n. 03013 sez. ML – ud. 19-11-2014
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concludersi che l’udienza pubblica ben può essere tenuta senza la

Come correttamente rilevato dalla Corte territoriale il Tribunale, a
fronte della domanda di risarcimento del danno avanzata dalla
lavoratrice ha applicato l’art. 32, comma 5, che appunto prevede una
liquidazione forfetizzata del danno come emerge evidente dal tenore

determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del
lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura
compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri
indicati nen’ articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604.”). La
disposizione contenuta nel comma 7 0 del citato art. 32 non può essere
letta nel senso preteso dalle ricorrenti cioè che debba essere proposta
una distinta domanda di liquidazione della indennità in questione ad
integrazione della domanda di risarcimento del danno nei giudizi
pendenti alla data di entrata in vigore della legge n. 183/2010 in
quanto la norma stabilisce che ai soli fini della determinazione di detta
indennità il giudice fissa, ove necessario, un termine per l’integrazione
della domanda delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai
sensi dell’art. 421 c.p.c..
Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 32, comma 5, della 1. n. 183/2010, così come chiarito ed
interpretato dall’art. 1, comma 13, della 1 n 92/2012, in relazione all’art.
360, a 3, cod. proc. civ., rilevando che l’indennità de qua va
integralmente a sostituirsi ad ogni conseguenza economica connessa e
derivante dalla dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto
di lavoro e che pertanto la stessa assorbe, ricomprendendola, qualsiasi
differenza retributiva e contributiva connessa al riconoscimento
dell’esistenza del rapporto a tempo indeterminato, ivi compreso ogni
incremento legato all’anzianità e/o alla progressione di carriera, nonché
Ric. 2013 n. 03013 sez. ML – ud. 19-11-2014
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testuale della norma (“Nei casi di conversione del contratto a tempo

-.•

ogni compenso successivo al termine del rapporto ovvero alla messa in
mora del datore. Si chiede la riforma della sentenza nella parte in cui ha
dichiarato che la somma dei periodi di servizio dall’inizio del primo
contratto deve essere computata ai fini dell’anzianità di servizio e dei

Il motivo è infondato.
L’art. 32 della legge n. 183 del 2010 ha modificato il regime della
tutela del lavoratore assunto con un contratto a termine illegittimo.
Il precedente assetto era così organizzato: nel caso in cui si
accertasse l’illegittimità del termine, il giudice doveva ordinare la
riammissione in servizio del lavoratore, con conseguente diritto a
percepire le retribuzioni anche qualora il datore di lavoro non
consentisse la ripresa del lavoro. Questa prima fondamentale
conseguenza è rimasta immutata. Anche dopo la legge n. 183 del 2010 e
la legge di interpretazione autentica, la sentenza che accerta l’illegittimità
del termine converte il contratto a termine in contratto a tempo
indeterminato e dispone la riammissione del lavoratore in servizio. Da
quel momento il lavoratore avrà diritto a percepire le retribuzioni tanto
se il datore di lavoro adempie, quanto se non adempie (in questo
secondo caso a titolo di risarcimento del danno commisurato al
pregiudizio economico derivante dal rifiuto di assunzione: Cass. 11
aprile 2013, n. 8851; Corte cost 30 luglio 2014, n. 226).
Con riferimento, invece, al periodo che precede la sentenza, il
quadro è parzialmente cambiato.
Nel regime previgente mancava una norma che regolasse
specificamente questo profilo e la regolamentazione venne delineata in
base ai principi generali del diritto civile e del lavoro. Fondamentale fu
la sentenza delle Sezioni unite 5 marzo 1991, n. 2334, che risolse il
contrasto tra due orientamenti: quello che riteneva che al lavoratore
Ric. 2013 n. 03013 sez. ML – ud. 19-11-2014
-7-

relativi trattamenti economici.

spettassero tutte le retribuzioni pregresse e quello che invece riteneva
che il lavoratore avesse diritto alle retribuzioni pregresse solo se e a
decorrere dal momento in cui avesse messo a disposizione del datore di
lavoro le sue energie lavorative.

diritto alla retribuzione per gli intervalli non lavorati tra un contratto a
termine e l’altro, in caso di sequenza di contratti a termine, mentre
nessuna delle sentenze in conflitto negava che spettasse la retribuzione
per i periodi di lavoro effettuati nella sequenza di contratti a termine.
Le Sezioni unite ritennero che il problema concernente i periodi
“non lavorati”, non trovasse soluzione in una norma specifica, come
invece avveniva nella materia affine ma non identica dei licenziamenti
illegittimi con l’art. 18 St lav., e dovesse quindi essere risolto in base ai
principi generali dell’ordinamento. Affermarono che il principio
regolatore della materia, data la natura sinallagmatica del rapporto di
lavoro, fosse quello della corrispettività tra lavoro e retribuzione e che
non potesse esservi retribuzione in assenza della prestazione lavorativa.
Per questa ragione ritennero non fondato l’orientamento che
riconosceva tutte le retribuzioni pregresse per i periodi non lavorati, ed
invece fondato quello che le riconosceva, ma solo a condizione ed a fax
tempo da un eventuale atto di messa a disposizione delle energie
lavorative da parte del lavoratore. Queste conclusioni hanno guidato la
giurisprudenza dei decenni successivi.
Le Sezioni unite si espressero anche sui “periodi lavorati” e
precisarono che l’unificazione del rapporto di lavoro “comporta, a
prescindere dalle eventuali spettanze, nei limiti anzidetti, per gli
intervalli non lavorati, un ricalcolo delle spettanze per i periodi lavorati
una volta considerati inseriti nell’unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, con conseguente applicazione degli istituti propri di
Ric. 2013 n. 03013 sez. ML – ud. 19-11-2014
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È bene ricordare che la diversità dei due orientamenti concerneva il

questo quali, ad esempio, gli aumenti di anzianità, la misura del periodo
di comporto, la misura del periodo di preavviso, e determina comunque
sicuri vantaggi per il lavoratore …. quali l’acquisizione della
corrispondente anzianità, quanto meno per sommatoria dei periodi

Il quadro regolativo è cambiato con la legge n. 183 del 2010, ma
come si vedrà, il cambiamento riguarda solo i periodi non lavorati.
L’art. 32, quinto comma, così si esprime: “nei casi di conversione
del contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di
lavoro al risarcimento del lavoratore, stabilendo un’indennità
onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un
massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto
riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604”.
L’art. 1, comma 13, della legge n. 92 del 2012, ha sancito che detta
norma “si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per
intero il pregiudizio subìto dal lavoratore, comprese le conseguenze
retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza
del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice
abbia ordinato la ricostruzione del rapporto di lavoro”.
Dalla norma si desume che l’indennità è volta al “risarcimento” del
lavoratore. Quindi concerne un danno subito dal lavoratore e cioè il
danno derivante dalla perdita del lavoro dovuta ad un contratto a
termine illegittimo, un danno da mancato lavoro.
La norma di interpretazione autentica afferma che l’indennità
“ristora un pregiudizio” ribadendo, ancor più esplicitamente, che è
correlata ad un danno, un pregiudizio, derivante dalla perdita del lavoro
e che essa onnicomprensiva perché ristora per intero le “conseguenze”
retributive e contributive di quel danno da mancato lavoro. Quindi tutti

Ric. 2013 n. 03013 sez. MI – ud. 19-11-2014

-9-

lavorati”.

i danni sul piano retributivo e contributivo che sono conseguenza, cioè
sono legati da un nesso di causalità con la perdita del lavoro.
Se l’indennità serve a risarcire le conseguenze retributive e
contributive del danno da mancato lavoro è evidente che il legislatore

infatti esclude dal computo il periodo sino alla scadenza del termine,
che è periodo di lavoro, in cui il lavoratore è stato retribuito e quindi
non ha subito, né può subire conseguenze negative sul piano retributivo
o contributivo. In tale periodo la retribuzione è dovuta e detto periodo
si computa ai fini degli effetti riflessi e dell’anzianità di servizio.
L’anzianità di servizio maturata in questo periodo lavorato, vale a tutti
gli effetti. Rileva persino per la quantificazione della indennità volta a
risarcire il danno derivante dalla perdita del lavoro, perché è uno dei
criteri indicati dall’art. 8 della legge 604 del 1966, richiamati dall’art. 32,
quinto comma, della legge n. 183 del 2010.
Il problema oggetto della presente controversia deriva dal fatto che
il datore di lavoro ha stipulato con il lavoratore non un unico contratto
a termine, ma una serie di contratti a termine. Il legislatore non ha
espressamente considerato questo caso, ma l’interpretazione logicosistematica della norma impone di ritenere che, se è estraneo al
risarcimento il periodo del primo contratto a termine, lo saranno anche
i periodi lavorati in successivi contratti a tempo determinato.
Sarebbe assurdo affermare che per questi periodi la retribuzione
non spetti e sia assorbita nella indennità, ma è parimenti contrario alla
logica della norma ritenere che questi periodi di lavoro è come se non
fossero stati effettuati e non rilevino ai fini dell’anzianità di servizio e
delle sue implicazioni economiche. Questi periodi non possono non
avere lo stesso trattamento giuridico del periodo di lavoro per il primo
contratto a termine in quanto, al pari del primo, sono estranei al danno
Ric. 2013 n. 03013 sez. ML – od. 19-11-2014
-10-

+

considera solo i periodi di non lavoro ai fini di tale risarcimento. Ed

determinato dal non lavoro, quindi estranei alla indennità prevista dal
legislatore per risarcire le conseguenze retributive e contributive di quel
pregiudizio. Il risarcimento riguarderà solo i periodi di “non lavoro”.
Solo per questi periodi vi è un danno da risarcire e un pregiudizio da

Pertanto l’indennità prevista dall’art. 32, risarcisce il danno subìto
per il mancato lavoro e lo risarcisce in tutte le sue conseguenze
retributive e contributive, in tal senso è onnicomprensiva. Mentre non
riguarda il periodo (in caso di un unico contratto a termine) o i periodi
di lavoro (in caso di più contratti a termine). I diritti relativi a questi
periodi non possono essere intaccati e inglobati nell’indennizzo
forfetizzato del danno causato dal non lavoro. Per questi periodi non vi
è niente da risarcire ed il risarcimento mediante indennizzo non può, in
una sorta di eterogenesi dei fini, risolversi nella contrazione di diritti
legati da un rapporto di corrispettività con la prestazione lavorativa
effettuata.
Questa ricostruzione è in continuità con quanto affermato nelle
prime sentenze sull’art. 32, come interpretato dalla legge n. 92 del 2012.
In particolare, Cass. n. 15265 del 12 settembre 2012, nell’enudeare il
principio di diritto parla di “indennità forfetizzata ed onnicomprensiva
per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo considerato
intermedio”. Forfetizzazione dei danni determinatisi “nel” periodo
intermedio, significa che l’indennizzo non incide sui diritti maturati in
quel periodo nella parte del rapporto che non ha determinato danni:
non tocca le retribuzioni per i periodi lavorati e gli effetti riflessi di tali
retribuzioni, né tocca l’anzianità lavorativa maturata in tale o in tali
periodi.
La medesima pronuncia afferma: “legittimamente la sentenza
impugnata ha considerato nell’anzianità lavorativa e retributiva tutti i
Ric. 2013 n. 03013 sez. ML – ud. 19-11-2014
-11-

ristorare.

periodi effettivamente lavorati, da sommarsi a quelli successivi alla
formale assunzione a tempo indeterminato, in ragione del principio
ripetutamente affermato da questa Corte (Cass., sez. un., 5 marzo 1991,
n. 2334 e succ.)”. L’affermazione è netta ed è esplicito il richiamo alla

di trasformazione, in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
di più contratti a termine succedutisi fra le stesse parti, per effetto
dell’illegittimità dell’apposizione del termine, gli “intervalli non lavorati”
fra l’uno e l’altro rapporto, in difetto di un obbligo del lavoratore di
continuare ad effettuare la propria prestazione o di tenersi disponibile
ad effettua 1-12, non implicano il diritto alla retribuzione … e nemmeno
sono computabili come periodi di servizio”, mentre i “periodi lavorati”
danno diritto alla retribuzione e sono rilevanti ai fini della maturazione
degli scatti di anzianità. Quest’ultimo profilo dell’assetto dato dalle
Sezioni unite del ’91 alla materia – sottolinea la sentenza del 2012 – va
oggi pienamente riaffermato non essendo stato scalfito minimamente
dallo ius superveniens costituito dalla legge n. 183 del 2010.
Le più recenti Cass. 16 giugno 2014, n. 13630 e Cass. 17 giugno
2014, n. 13732 hanno fissato il seguente principio di diritto: “L’art. 32,
quinto comma, legge n. 183 del 2010 commisura l’indennità, dovuta nei
casi di conversione, all’ultima retribuzione globale di fatto, così
riferendosi al danno subìto dal lavoratore, ossia alla perdita della
retribuzione (ed accessori) per essere stato allontanato dal proprio
posto di lavoro nel periodo compreso tra l’allontanamento e la sentenza
di merito. L’espressione ‘onnicomprensiva’, adoperata dal legislatore
con riferimento all’indennità, si riferisce soltanto al danno ora detto, e
non a quanto spetta al lavoratore per eventuale ricostruzione della
carriera, una volta unificati i diversi rapporti a tempo determinato in un
unico rapporto a tempo indeterminato”.
Ric. 2013 n. 03013 sez. ML – ud. 19-11-2014
-12-

sentenza delle Sezioni unite che, come si è visto, affermò che nel caso

In questo principio di diritto è detto chiaramente che l’indennizzo
onnicomprensivo copre soltanto il danno derivante dall’allontanamento
dal lavoro e quindi il danno subito per il “non lavoro” nel periodo o nei
periodi “non lavorati”. Il che ancora una volta conferma che i diritti per
_

risarcitoria perché non sono stati danneggiati, sono fuori dal perimetro
del danno e quindi del risarcimento.
Quanto alle conseguenze giuridiche di tale assetto sull’anzianità, la
Corte in queste ultime sentenze aggiunge, e non potrebbe essere più
chiara, che: “L’espressione ‘onnicomprensiva’, adoperata dal legislatore
con riferimento all’indennità, si riferisce soltanto al danno ora detto, e
non a quanto spetta al lavoratore per eventuale ricostruzione della
carriera, una volta unificati i diversi rapporti a tempo determinato in un
unico rapporto a tempo determinato”.
In conclusione, nonostante i problemi lessicali derivanti dal fatto
che probabilmente il legislatore ha configurato l’indennità avendo
presente il caso, statisticamente più frequente, della stipulazione di un
unico contratto a termine, deve affermarsi che l’indennità prevista
dall’art. 32 legge n. 183 del 2010 ristora in generale il danno subito dal
lavoratore per l’allontanamento dal lavoro, tanto se questo sia stato
unico, quanto se sia stato ripetuto. Per tali periodi di non lavoro,
mentre prima il lavoratore aveva diritto ad essere comunque retribuito a
decorrere dalla messa a disposizione delle energie lavorative pur non
avendo lavorato, oggi è prevista solo l’indennità da un minimo di 2,5 ad
un massimo di 12 mensilità.
Al contrario, per il periodo di lavoro (o i periodi di lavoro, in caso
di sequenza di contratti) il lavoratore ha diritto ad essere retribuito ed
ha diritto a che tale periodo o tali periodi siano computati ai fini della
anzianità di servizio e, quindi, della maturazione degli scatti di anzianità.
Ric. 2013 n. 03013 sez. MI – ud. 19-11-2014
-13-

i periodi in cui si è prestato lavoro non vanno ricompresi nell’indennità

Questa interpretazione del quinto comma dell’art. 32 1. n. 183 del
2010 è la più coerente sul piano logico sistematico. Si coordina con i
tratti del sistema delineato dalle Sezioni unite che, come si è visto e
come hanno sottolineato le decisioni del 2012, sotto questo profilo
rimangono fermi, ed è in continuità con i primi interventi di questa

espressi dall’art. 5 della legge n. 230 del 1962 e dall’art. 6 del decreto
legislativo n. 368 del 2001, nonché con i principi costituzionali e del
diritto dell’Unione europea: in particolare con il principio di non
discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo
indeterminato, anche e specificamente in ordine all’anzianità di servizio,
affermato con la Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno
1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a
tempo determinato.
Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza,
sono poste a carico delle ricorrenti, in solido, e vengono liquidate come
da dispositivo con attribuzione agli avv.ti Luigi Pau e Alessandro
Meloni per dichiarato anticipo fattone.

P. Q.M .
La Corte rigetta il ricorso, condanna le ricorrenti in solido alle spese
del presente giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi ed. in euto
1000,00 per compensi professionali , oltre rimborso spese forfetario
nella misura del 15% con distrazione.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2014.

Corte successivi a1l modifica legislativa. È coerente con i principi

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