Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18837 del 28/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 28/07/2017, (ud. 06/04/2017, dep.28/07/2017),  n. 18837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29737-2011 proposto da:

R.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DEI COLLI PORTUENSE 57, presso lo studio dell’avvocato FABIO

CIPRIANI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti

– ricorrente –

contro

TRENITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

U. TUPINI 113, presso lo studio dell’avvocato NICOLA CORBO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati LUIGI

CALIULO, GIUSEPPINA GIANNICO, ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN,

giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3939/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/08/2011 R.G.N. 9842/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2017 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARCELLO MATERA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CIPRIANI FABIO;

udito l’Avvocato PREDEN SERGIO;

udito l’Avvocato CORBO NICOLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n.3939/2011 la Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda proposta a titolo di bonus L. n. 243 del 2004, ex art. 1, comma 12, da R.R. nei confronti di INPS e Trenitalia SPA.

A fondamento della decisione la Corte sosteneva che fosse inammissibile, in quanto nuova, la denuncia di illegittimità del D.M. 6 ottobre 2004 il quale stabilisce espressamente che la facoltà di optare per il beneficio in argomento “ha effetto fino al 31 dicembre 2007 e comunque non oltre il conseguimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia”. Inoltre, secondo la Corte territoriale, non aveva rilievo che il ricorrente, in quanto addetto a lavori usuranti (per l’appartenenza all’area professionale del personale viaggiante di Trenitalia), avesse maturato il diritto a pensione di vecchiaia al 58^ anno di età ed avesse optato per la prosecuzione del servizio fino al 65^ anno di età, in quanto l’opzione rilevava sul piano del rapporto di lavoro con il datore e non del rapporto previdenziale, legato alla sussistenza dei requisiti minimi previsti dalla legge per la prestazione di vecchiaia. Non era vero in sostanza, secondo la Corte che, come preteso dall’appellante, con l’opzione sarebbe stato rimosso il limite previsto dalla legge nei termini sopraindicati.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione R.R. con tre motivi; resistono con controricorso Trenitalia e l’INPS. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo il ricorso deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 in relazione agli artt. 345,113,99 e 112 c.p.c., con riferimento alla L. n. 2248 del 1865, all. E, artt. 4 e 5 sulla rilevabilità d’ufficio della disapplicazione del D.M. 6 ottobre 2004, lamentando la mancata disapplicazione anche d’ufficio del summenzionato decreto ministeriale. Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al contrasto della L. 23 agosto 2004, n. 243, art. 1, comma 12 e segg., con il D.M. 6 ottobre 2004.

2. Il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 in relazione alla L. n. 243 del 2004, art. 1, comma 12 e ss. nella parte in cui consente di rimanere in servizio anche oltre il limite di età per il pensionamento di vecchiaia.

3. Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 in relazione alla L. 29 dicembre 1990, n. 407, art. 6, comma 5 come modificato dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 1, comma 2, circa l’irrilevanza del raggiungimento del 58^ anno di età nel caso di opzione per il regime ordinario.

4. Le censure proposte con i tre motivi di ricorso – da valutare nella loro globalità e connessione – sono infondate per le corrette ragioni compiutamente esposte da questa Corte con la sentenza n. 15356/2014 e poi ribadite dalle sentenze 14948/2016 e 15442/2016, nelle quali si è affermato il seguente principio: “la L. 23 agosto 2004, n. 243, art. 1, comma 12, in base alla sua interpretazione letterale e logico-sistematica, va intesa nel senso che il “bonus” ivi previsto (consistente nella possibilità, per le categorie di lavoratori indicate, di ottenere in busta paga la somma corrispondente alla complessiva contribuzione per l’assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti, che il datore di lavoro è tenuto a versare agli enti previdenziali, previa rinuncia all’ordinario accredito dei contributi stessi) non può essere attribuito a coloro che abbiano conseguito i requisiti per il pensionamento di vecchiaia, in quanto tale beneficio, espressamente finalizzato ad incentivare il posticipo del pensionamento, è destinato a coprire il periodo intercorrente tra il momento in cui l’interessato (in possesso dei requisiti per la pensione di anzianità) esercita la facoltà di ottenerlo e quello della maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, in cui si ripristina l’obbligo contributivo del datore di lavoro”.

5. Ne consegue che è da escludere qualsiasi illegittimità del D.M. 6 ottobre 2004 (a cui la L. n. 243 del 2004, art. 1, comma 15 demanda le modalità di attuazione) nella parte in cui, riaffermando quanto già contenuto nella legge, stabilisce che “il diritto al bonus sussiste non oltre il conseguimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia”.

6. In base alla lettera ed alla ratio della legge occorre altresì escludere la fondatezza della tesi secondo cui l’esercizio dell’opzione di cui alla L. n. 407 del 1990, art. 1, comma 15 (in base al quale il lavoratore soggetto a lavori usuranti maturava il diritto al pensionamento di vecchiaia a 58 anni, salvo richiesta di posticipo fino al 65^ anno di età valevole per tutti i lavoratori dipendenti) avrebbe determinato lo slittamento sino al 65^ anno di età del termine finale di percezione del bonus. Sul piano letterale occorre infatti rilevare che la legge fissa il limite ultimo per il diritto al bonus alla data di conseguimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia onde a nulla rileva se dopo la maturazione di detto limite il lavoratore soggetto a lavori usuranti abbia deciso discrezionalmente di rimanere in servizio fino al raggiungimento dell’ulteriore termine di 65 anni stabilito per il conseguimento materiale e per il godimento della pensione di vecchiaia, di cui aveva già perfezionato i requisiti.

7.- Sul piano logico è del pari evidente, poi, che anche in tal caso esista la stessa ragione che porta ad individuare il fondamento del limite di godimento del diritto al bonus, per tutti i lavoratori, nel conseguimento dei requisiti per il diritto al pensionamento di vecchiaia, quale che sia la disciplina in base alla quale esso sia stato ottenuto. La ratio legis è quella di contenere, nel periodo 2004/2007, il ricorso alle pensioni di anzianità, con il duplice effetto, per la spesa pubblica, di differire la corresponsione della pensione attraverso il mantenimento in servizio dei dipendenti, incentivato dalla possibilità di ricevere direttamente la contribuzione previdenziale e di cristallizzare l’anzianità contributiva al momento dell’esercizio dell’opzione in favore del beneficio in oggetto. Ne consegue che sia incompatibile con l’anzidetta normativa il riconoscimento del beneficio a coloro che avessero già maturato i requisiti per il pensionamento di vecchiaia; in quanto una volta venuta meno la possibilità del verificarsi dell’evento che la norma aveva inteso scongiurare – ossia l’anticipazione del momento di collocamento in quiescenza con accesso alla pensione di anzianità con conseguente maggiore aggravio per la finanza pubblica – ed il lavoratore prosegua nel rapporto di lavoro (benchè avesse maturato il diritto a pensione di vecchiaia) riprendono vigenza le disposizioni di carattere generale, senza che si giustifichi l’erogazione di bonus.

8.- La sentenza impugnata si è attenuta ai principi fin qui espressi e non può essere cassata. I motivi di ricorso si rivelano infondati e vanno quindi rigettati.

Le spese possono essere compensate in quanto l’orientamento di questa Corte è sopravvenuto alla presentazione del ricorso.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e dispone la compensazione delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2017

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