Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18836 del 28/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 28/07/2017, (ud. 06/04/2017, dep.28/07/2017),  n. 18836

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19871/2015 proposto da:

P.L., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato ENRICO

LUBERTO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CARPOINT S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELL’UMANESIMO

69, presso lo studio dell’avvocato CARMELA DEL PRETE, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1054/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/02/2015 R.G.N. 4539/13;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’improcedibilità del

ricorso;

udito l’Avvocato ENRICO LUBERTO;

udito l’Avvocato CARMELA DEL PRETE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 11.2.2015, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto l’impugnativa del licenziamento disciplinare del 26 marzo 2009 proposta da P.L. nei confronti di Carpoint Spa.

La Corte territoriale ha ritenuto, conformemente al primo giudice, sussistente l’addebito contestato al lavoratore, consistente nell’avere “aggredito dapprima verbalmente, poi fisicamente con un colpo di testa inferto al volto”, un collega, suscitando la reazione di questi, che lo aveva spintonato, “forse anche per allontanarlo da sè”. Ha ritenuto, pertanto, integrata la giusta causa di licenziamento con lesione irrimediabile del vincolo fiduciario, “perchè il contrasto che sfoci nell’aggressione fisica, oltre che verbale, non può non incidere sulla vita aziendale, in quanto idoneo a scuotere la serenità e la normalità dei rapporti di colleganza tra i lavoratori e di collaborazione tra questi e il datore di lavoro”.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso P.L. con due motivi. Ha resistito la società con controricorso. Parte ricorrente ha anche depositato memoria ex art. 378 c.p.c., irritualmente corredata dalla fotocopia di atti processuali la cui produzione non è consentita da detta disposizione (cfr. ad ex. Cass. n. 26670 del 2014, in motivazione).

3. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la stesura della motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione dell’ art. 112 c.p.c., artt. 1175, 1375, 2106, 2119 e 139 CCNL, e L. n. 300 del 1970, art. 7, criticando la sentenza impugnata per non aver rilevato che il P. era stato licenziato per un complesso di addebiti, mentre i giudici del merito ne avevano ritenuto fondato solo uno. Lamenta che “in nessun punto degli atti difensivi di primo grado si afferma che ciascuno dei fatti contestati, considerati singolarmente e non congiuntamente, poteva/doveva essere considerato idoneo a costituire giusta causa di risoluzione del rapporto”. Sostiene che la Corte di Appello avrebbe violato il principio della “immodificabilità della contestazione e della domanda”.

Il motivo è privo di fondamento, avendo la Corte di Appello correttamente applicato il principio secondo cui “qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa, consistente non in un fatto singolo ma in una pluralità di fatti, ciascuno di essi autonomamente costituisce una base idonea per giustificare la sanzione, a meno che colui che ne abbia interesse non provi che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravità complessiva, essi sono tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro; ne consegue che, salvo questo specifico caso, ove nel giudizio di merito emerga l’infondatezza di uno o più degli addebiti contestati, gli addebiti residui conservano la loro astratta idoneità a giustificare il licenziamento” (Cass. n. 454 del 2003; Cass. n. 24574 del 2013; Cass. n. 12195 del 2014).

Non era dunque il datore di lavoro a dover provare che aveva licenziato solo per il complesso delle condotte addebitate, bensì era la parte che ne aveva interesse, e cioè il lavoratore, a dover provare che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravità complessiva, i singoli episodi fossero tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro; mentre la Corte territoriale ha correttamente valutato che anche l’unico addebito ritenuto effettivamente sussistente manteneva la sua idoneità a giustificare il recesso.

2. Con il secondo motivo si denuncia “violazione art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2119 c.c., art. 139 CCNL, L. n. 300 del 1970, art. 7”, censurando la “metodologia” con cui le prove raccolte nei gradi di merito sono state poste a fondamento della decisione, con riguardo soprattutto alla comparazione e al giudizio di attendibilità che, invece, non sono stati affatto compiuti”.

Il motivo è inammissibile perchè censura la ricostruzione della vicenda storica come concordemente effettuata nel doppio grado di giudizio, denunciando inadeguatezza motivazionali non più sindacabili nel vigore del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, senza rispettare gli enunciati prescritti da Cass. SS.UU. n. 8053 e 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici).

3. Conclusivamente il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 6 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2017

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