Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18835 del 16/07/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 18835 Anno 2018
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: BESSO MARCHEIS CHIARA

ORDINANZA

sul ricorso 24512-2014 proposto da:
LATTUCA STEFANIO MAURIZIO, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato
ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso dall’avvocato
CRISTINA GUARNERI;
– ricorrente contro

BENI STABILI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA ADDA 55, presso lo studio dell’avvocato NICOLA
FRANCIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato
GIANLUCA D’ALOJA;
– controricorrente non chè contro

ITALGESTIONI IMMOBILIARI SRL, DOMUS INVESTIMENTI SRL;

Data pubblicazione: 16/07/2018

- intimati –

avverso la sentenza n. 1630/2014 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 11/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 10/11/2017 dal Consigliere CHIARA BESSO
MARCHE IS;
Sostituto

Procuratore Generale CORRADO MUSTRI che ha chiesto il
rigetto del ricorso proposto da Stefanio Maurizio
LATTUCA.

Lette le conclusioni scritte del P.M.,

R.G. 24512/2014

Stefanb Maurizio Lattuca ricorre in cassazione contro la sentenza
della Corte d’appello di Roma, depositata 1’11 marzo 2014, che ha
accolto l’appello proposto dalla società Beni Stabili e ha respinto la
domanda da egli fatta valere in primo grado, così riformando la
pronuncia del Tribunale di Roma. Il Tribunale aveva accolto la
domanda di Lattuca di condanna della società convenuta al
pagamento del doppio della caparra confirmatoria, previo
accertamento della risoluzione del contratto preliminare di
compravendita di un appartamento, per grave inadempimento della
promittente venditrice Beni Stabili che non aveva rispettato il termine
fissato per la stipulazione del contratto definitivo; la società,
costituendosi, aveva affermato che il termine previsto (30 novembre
2001) non era essenziale e il ritardo era comunque imputabile a
Italgestioni Immobiliari e a Domus Investimenti e chiamava in causa
le due società, chiedendo in via principale il rigetto della domanda e
in via subordinata di essere manlevata dalle società chiamate in
garanzia.
Resiste con controricorso la società Beni Stabili.
Le intimate Italgestioni Immobiliari e Donnus Investimenti non
hanno proposto difese.
Il ricorrente e la controricorrente hanno depositato memoria ai
sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c.

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PREMESSO CHE

CONSIDERATO CHE
I. Il ricorso è articolato in quattro motivi.
a) Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 112 e 342
c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per avere la
Corte d’appello pronunciato d’ufficio su fatti che non sono stati
dall’appellante,

particolare

in

in

relazione

alla

qualificazione quale non inadempimento grave del silenzio tenuto
dalla promittente venditrice a partire dalla comunicazione del recesso
da parte del promissario acquirente sino alla citazione in giudizio.
Il motivo è infondato. Esso censura non l’esame di un fatto non
allegato, ma la diversa valutazione operata dalla Corte d’appello,
rispetto al giudice di primo grado, di un fatto pacificamente acquisito
al processo, valutazione, quella del primo giudice, censurata dalla
società Beni Stabili con i primi due motivi d’appello, così che nella
decisione non è ravvisabile il vizio di ultra petizione.
b) Il secondo e il terzo motivo sono tra loro strettamente connessi: il
secondo contesta violazione ed errata applicazione dell’art. 1457 c.c.
per avere la Corte d’appello negato valore di termine essenziale alla
data fissata per la stipulazione del contratto definitivo, dopo aver
condotto una indagine limitata al solo profilo oggettivo, senza
considerare le motivazioni personali del ricorrente; il terzo lamenta
violazione degli artt. 1455 e 1453 c.c. per non avere ritenuto
rilevante l’inadempimento costituito dalla mancata stipulazione del
definitivo alla data fissata, passando “sotto la lente di ingrandimento”
gli interessi perseguiti dall’attore e invece limitandosi a esaminare “en
passant” il contegno della società Beni Stabili.
I motivi sono infondati. L’accertamento dell’essenzialità del termine,
l’importanza dell’inadempimento, il comportamento tenuto dalle parti
nell’esecuzione del contratto rientrano nella sfera di apprezzamento
del giudice di merito, incensurabile davanti a questa Corte di
legittimità ove congruamente e plausibilmente motivato. Nel caso di
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prospettati

specie la Corte d’appello da un lato ha considerato che i motivi
soggettivi allegati dal ricorrente non traspaiono dal testo del
contratto, e in particolare dalla lettura della clausola 6, e dall’altro
lato ha valorizzato, ai fini della valutazione dell’importanza
dell’inadempimento, la nota del 7 dicembre 2001 con la quale il

stipulazione del contratto definitivo, aveva dichiarato di ritenere
risolto il contratto preliminare concluso. La pronuncia è così coerente
con l’orientamento di questa Corte, per cui “il termine per
l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti
dell’art. 1456 c.c. solo quando, all’esito dell’indagine istituzionalmente
riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle
espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e
dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle
parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile
decorso del termine medesimo; tale volontà non può desumersi solo
dall’uso dell’espressione “entro e non oltre” quando non risulti
dall’oggetto del negozio o da specifica indicazione delle parti che
queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di
conclusione del negozio stesso oltre la data considerata” (Cass.,
21838/2010).
c) Il quarto motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art.
91 c.p.c. e degli artt. 4 e 11, comma 2, del d.m. 140/2012: la Corte
d’appello ha condannato il ricorrente alle spese di entrambi i gradi di
giudizio “senza dare contezza di quanto liquidato per ogni singola fase
del giudizio”, così violando l’art. 11, comma 2 del citato d.m., che
recita “il compenso è liquidato per fasi”.
Il motivo è infondato. La Corte d’appello ha liquidato le spese di
entrambi i gradi del giudizio distintamente liquidando quelle relative
al primo grado e quelle concernenti il grado d’appello, così che, non
lamentando il ricorrente la mancata considerazione di specifiche fasi
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ricorrente, dopo soli sette giorni dalla scadenza del termine per la

del giudizio ovvero il superamento dei limiti massimi stabiliti dal citato
d.nn., l’invocata violazione non sussiste.
II. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115/2002, si

del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente
che liquida in euro 5.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese
generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1-bis del d.p.r. n. 115/2002, i
presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione
seconda civile, in data 10 novembre 2017.

dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte

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