Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18833 del 26/09/2016


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Cassazione civile sez. II, 26/09/2016, (ud. 25/05/2016, dep. 26/09/2016), n.18833

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10824-2011 proposto da:

CALZATURIFICIO 2G DI T.A. & C SNC, (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AUGUSTO RIBOTY 28, presso lo

studio dell’avvocato DOMENICO PAVONI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato STEFANO MATTII;

– ricorrente –

contro

M.M., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo

studio dell’avvocato LUCA PERTICONE, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SABINA ROSSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 149/2010 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 19/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2016 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – Nel 1999 il Calzaturificio 2G di T.A. & C. s.n.c. convenne in giudizio M.M. per la declaratoria di risoluzione del contratto di appalto avente ad oggetto lavori di ristrutturazione di parti di edificio industriale, o, in subordine la riduzione del prezzo oltre al risarcimento danni, per vizi dell’opera. Il convenuto propose domanda riconvenzione per il pagamento del residuo. Il Tribunale di Fermo, con sentenza n. 255 del 2002, rigettò la domanda di risoluzione e quella subordinata di riduzione del prezzo, e dichiarò inammissibili la domanda risarcitoria e quella riconvenzionale.

2. – La Corte di appello, con sentenza depositata il 19 febbraio 2010, ha rigettato sia l’appello principale, proposto dalla società committente, sia l’appello incidentale proposto dall’appaltatore.

2.1. – Per quanto ancora di interesse in questa sede, la Corte distrettuale ha rilevato l’inammissibilità del giuramento decisorio deferito dalla società committente e delle prove documentali dalla stessa prodotte nel giudizio di gravame, e nel merito ha escluso che fosse provato il riconoscimento dei vizi da parte dell’appaltatore, confermando la decadenza della società dall’azione di garanzia.

3. – Per la cassazione della sentenza la società Calzaturificio 2G ha proposto ricorso sulla base di cinque motivi, ai quali resiste M.M. con controricorso anche illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il ricorso è infondato.

1.1. – Con il primo motivo è dedotto vizio di motivazione con riferimento all’affermazione con cui la Corte d’appello ha negato che la lettera raccomandata del 9 febbraio 1999 contenesse l’ammissione tacita dei vizi da parte dell’appaltatore.

1.2. – La doglianza è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza in quanto, anzichè evidenziare le lacune ovvero gli errori del percorso argomentativo seguito dalla Corte d’appello, si limita a prospettare la propria contrapposta lettura del documento (ex plurimis, Cass., sez. L, sentenza n. 25728 del 2013), la cui produzione è stata tra l’altro ritenuta tardiva e giudicata non indispensabile.

2. – Con il secondo motivo è dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 2697 c.c., e si contesta la formulazione dell’eccezione di decadenza dalla garanzia per vizi che il convenuto M. aveva prospettato in comparsa di risposta senza indicare le ragioni a sostegno dell’eccezione, della cui prova era onerato lo stesso convenuto eccipiente.

2.1. – La doglianza è infondata.

La corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ai sensi dell’art. 112 c.p.c. riguarda il petitum, che deve essere determinato con riferimento a quello che viene domandato sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire, ed alle eccezioni che in proposito siano state sollevate dal convenuto (ex plurimis, Cass., sez. L, sentenza n. 6757 del 2011).

Nel caso in esame, il giudice ha pronunciato sull’eccezione di decadenza ex art. 1667 c.c. proposta tempestivamente dal convenuto in comparsa di risposta, come precisa la stessa ricorrente, e finalizzata a paralizzare la domanda di garanzia, e pertanto non sussiste la violazione dell’art. 112 c.p.c.. La formulazione dell’eccezione non richiedeva peraltro l’indicazione delle ragioni a sostegno, poichè l’onere della prova della tempestività della denuncia dei vizi è sempre a carico della parte che intende avvalersi della garanzia, in forma di azione, come nella specie, o di eccezione, per paralizzare la domanda di pagamento dell’appaltatore (art. 1667 c.c., comma 3).

3. – Con il terzo motivo è dedotta nullità della sentenza per contrasto tra una statuizione implicita e il contenuto del dispositivo, e vizio di motivazione.

Sotto il primo profilo, la società ricorrente assume che il rigetto dei motivi d’appello riguardanti la tempestività delle denunce dei vizi sul solo rilievo che le missive indicate non contenevano denunce, senza accertarne la tardività, comporterebbe l’implicita statuizione della tempestività. La Corte d’appello, inoltre, sarebbe incorsa nel vizio di omessa motivazione per non avere chiarito le ragioni per cui ha escluso che la lettera inviata dalla committente in data 17 dicembre 1998 contenesse la denuncia dei vizi dell’opera.

3.1. – Le doglianze sono infondate.

La Corte d’appello ha chiarito, anche richiamando la giurisprudenza di legittimità, che la contestazione effettuata dal direttore dei lavori privo di poteri di rappresentanza non era sufficiente ai fini della denuncia dei vizi, e che la successiva lettera inviata dalla committente, in cui era richiamata la precedente missiva del direttore dei lavori, non presentava contenuto tale da costituire manifestazione di volontà nel senso indicato. La Corte di merito ha dunque escluso l’esistenza di atti di denuncia dei vizi, e pertanto non si poteva porre la questione di tempestività e non può esservi alcuna statuizione implicita sul punto.

Quanto alla contestata valutazione del contenuto della missiva del 17 dicembre 1998, si tratta di accertamento in fatto che non può essere sindacato a fronte di motivazione che risulta immune da vizi logici.

4. – Con il quarto motivo è dedotta violazione degli artt. 345 e 359 c.p.c. e si lamenta la mancata ammissione del giuramento decisorio, che la Corte d’appello ha ritenuto tardivo in quanto deferito contestualmente al deposito della comparsa conclusionale, mentre l’art. 345 citato prevede che “può sempre deferirsi il giuramento decisorio”.

4.1. – La doglianza è infondata.

Come correttamente rilevato dalla Corte d’appello, se la dichiarazione di deferimento del giuramento decisorio è formulata per la prima volta con atto allegato alla comparsa conclusionale, il mezzo di prova non è ammissibile per tardività della relativa istanza, poichè gli scritti difensivi successivi alla rimessione della causa al collegio possono contenere solo le conclusioni già fissate davanti all’istruttore (Cass., sez. 2, sentenza n. 19727 del 2003).

5. – Con il quinto motivo è dedotto vizio di motivazione e si lamenta che la mancata ammissione della produzione documentale in grado di appello.

5.1. – La doglianza è infondata.

La Corte d’appello ha evidenziato che i documenti in oggetto, costituiti da fatture di pagamento, avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di primo grado, e che, in ogni caso, non apparivano indispensabili ai fini della decisione. La motivazione così resa si sottrae alla censura di illogicità prospettata dalla ricorrente, posto che non era in discussione il pagamento dei lavori oggetto dell’appalto, e quindi la relativa prova documentale non poteva rivestire significato ai fini della decisione.

6. – Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 25 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2016

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