Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1883 del 28/01/2010

Cassazione civile sez. I, 28/01/2010, (ud. 23/10/2009, dep. 28/01/2010), n.1883

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17100/2008 proposto da:

L.M.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA FILATTIERA 49, presso l’avvocato

MARTINELLI SIMONA, rappresentata e difesa dall’avvocato CAVUOTO

Carmen, giusta procura in calce;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il

23/04/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/10/2009 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto 23 aprile 2007, la Corte d’appello di Roma, decidendo in sede di rinvio dalla Corte Suprema di Cassazione sulla domanda proposta dalla Signora L.M.A., condannò il Ministero della giustizia a pagare, a titolo di equa riparazione per l’eccessiva durata di un processo, la somma di Euro 1.000,00 per un ritardo di circa un anno, e condannò l’amministrazione al pagamento delle spese del giudizio di rinvio e di quello precedente di legittimità.

Per la cassazione del decreto, non notificato, ricorre la Signora L.con atto notificato in data 5 giugno 2008, con due mezzi d’impugnazione.

L’amministrazione non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si censura il criterio di determinazione dell’equa riparazione commisurato al periodo di ritardo, invece che all’intera durata del giudizio.

Il mezzo è manifestamente infondato, essendo giurisprudenza consolidata di questa corte che la precettività, per il giudice nazionale, dell’indirizzo della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di liquidazione dell’indennità per l’irragionevole durata del processo non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore della base annuale di calcolo, perchè, mentre per la CEDU l’importo in questione quantificato va moltiplicato per ogni anno di durata del procedimento (e non per ogni anno di ritardo), per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole. Detta diversità di calcolo, peraltro, non tocca la complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2) (Cass. 13 aprile 2006 n. 8714; 23 aprile 2005 n. 8568).

Il secondo motivo censura per violazione dell’art. 91 c.p.c. (principio della condanna alle spese del soccombente) la compensazione integrale delle spese giudiziali disposta nel decreto impugnato per il precedente giudizio di merito, e la liquidazione delle spese dei giudizi di legittimità e di rinvio in misura inferiore ai minimi tariffari.

Il motivo, che non tocca questioni di motivazione, è manifestamente infondato nella sua prima parte, posto che la norma invocata, contenuta nell’art. 91 c.p.c., trova un’espressa e parziale deroga nel cpv. dell’art. 92 c.p.c., il quale consente al giudice di compensare in tutto o in parte, per giusti motivi, le spese del giudizio. Esso è poi, nella parte concernente i minimi tariffari, inammissibile a causa della sua totale genericità, non indicando lo scaglione applicabile, non riportando le voci della nota spese eventualmente depositata, o in mancanza quelle corrispondenti alle prestazioni professionali svolte, in ogni caso con l’indicazione dei minimi della tariffa applicabile pro tempore, e non consentendo a questa corte di legittimità di verificare la denunciata violazione di legge.

Il ricorso deve pertanto essere respinto. In mancanza di difese svolte dall’amministrazione non v’è luogo a pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte Suprema di Cassazione, il 23 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010

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