Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18828 del 28/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/07/2017, (ud. 10/07/2017, dep.28/07/2017),  n. 18828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 349 del ruolo generale dell’anno 2011,

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persone del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– ricorrente –

contro

P.M., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in

calce al controricorso, dagli avvocati Antonio Lovisolo e Francesco

D’Ayala Valva, elettivamente domiciliatosi presso lo studio del

secondo in Roma, al viale Parioli, n. 43;

– controricorrente e ricorrente in via incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Liguria, sezione 8^, depositata in data 2 novembre

2009, n. 120.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate per l’anno d’imposta 1998 rideterminò il reddito del contribuente ed accertò maggiore materia imponibile ai fini dell’iva e dell’irpef, in esito alla qualificazione dell’attività da lui svolta come commerciale, anzichè agricola. Il contribuente impugnò il conseguente avviso, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale.

Quella regionale ha respinto l’appello dell’Ufficio. Al riguardo, ha considerato che il contribuente aveva provato di esercitare prevalentemente attività agricola, anche in considerazione delle quantità di concimi e fertilizzanti che aveva acquistato e della capacità produttiva della quantità di terreni che aveva a disposizione, emergente da una perizia prodotta dalla parte; laddove i sopralluoghi compiuti dai verificatori su porzioni limitate di terreno non assumevano rilevanza dirimente. Contro questa sentenza l’Agenzia propone ricorso per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, cui il contribuente reagisce con controricorso e ricorso incidentale, affidato ad un mezzo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con i due motivi del ricorso principale, da esaminare congiuntamente, perchè connessi, che, contrariamente a quanto sostenuto in controricorso, sono ammissibili, perchè identificano in maniera deguata i fatti controversi e le pertinenti questioni di diritto, l’Agenzia lamenta:

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata in ordine al fatto controverso e decisivo della prevalenza dell’attività di natura agricola rispetto a quella connessa di commercio di flora (primo motivo);

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2135 c.c., del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 29 (ora 32) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, là dove il giudice d’appello si è contentato, al fine di escludere la natura commerciale, anzichè agricola, dell’attività connessa svolta dal contribuente di commercio di flora, del parametro della prevalenza, nel novero dei prodotti agricoli commercializzati, di quelli provenienti dai fondi da lui coltivati, senza verificare se tale attività rientri nell’esercizio normale dell’agricoltura (secondo motivo).

1.1.- Va premesso, in diritto, che, ai fini tributari, l’attività di commercializzazione dei prodotti svolta da un’impresa, per essere considerata agraria per connessione, deve riguardare, almeno prevalentemente, i prodotti propri dell’impresa agricola e non assumere dimensioni tecnico-organizzative tali da assurgere ad attività del tutto autonoma; in nessun caso, inoltre, l’attività di commercializzazione di prodotti acquistati da terzi può considerarsi agraria per connessione, se su detti prodotti l’imprenditore, prima di operarne la rivendita, non esegua alcun intervento (ad esempio, di manipolazione o di trasformazione) idoneo ad inserire in qualche modo i prodotti stessi nel proprio ciclo intermediario per la collocazione sul mercato di prodotti di altri imprenditori, realizzando utilità del tutto indipendenti dall’impresa agricola o comunque prevalenti rispetto ad essa (Cass. 10 aprile 2015, n. 7238).

1.2.- Il principio si correla a quello più generale, in base al quale nell’attività dell’impresa agricola rientrano, oltre alla coltivazione del fondo, anche le lavorazioni connesse, complementari ed accessorie dirette alla trasformazione ed alienazione dei prodotti agricoli, purchè, però, sia riscontrabile uno stretto collegamento fra l’attività agricola principale e quella di trasformazione dei prodotti, come finalizzata all’integrazione od al completamento dell’utilità economica derivante dalla prima secondo il naturale svolgimento del ciclo produttivo.

Si deve, invece escludere questo vincolo di strumentalità o complementarietà funzionale quando l’attività dell’imprenditore, oltre a perseguire finalità inerenti alla produzione agricola, risponda soprattutto ad altri scopi, commerciali o industriali, e realizzi quindi utilità del tutto indipendenti dall’impresa agricola o comunque prevalenti rispetto ad essa (Cass., sez. un., 13 gennaio 1997, n. 265; conf., 21 gennaio 2013, n. 1344).

1.3.- In questo contesto, la motivazione della sentenza impugnata, la quale si riduce alla considerazione, espressa in maniera apodittica, relativa alla quantità, non specificata, di concimi e fertilizzanti acquistata ed alla condivisione, non argomentata, delle conclusioni della perizia esibita dal contribuente concernenti la capacità produttiva degli oltre 200.000 mq di terreno che ne erano oggetto, si rivela insufficiente.

Il giudice d’appello non ha difatti considerato gli elementi, ritualmente introdotti in giudizio dall’Agenzia, dei quali dà esaurientemente conto il ricorso, idonei ad orientare la formazione di una decisione di segno diverso, consistenti:

– nella circostanza che i dipendenti trovati a lavorare in nero in azienda hanno dichiarato di esercitare mansioni proprie di un’attività di scambio dei beni;

– nella constatazione che fosse impossibile per il contribuente coltivare da solo i fondi a propria disposizione ricavandone la quantità di raccolto venduta;

– nel dato che il contribuente non sia stato in grado d’indicare quali fossero i terreni da lui coltivati.

1.4.- In definitiva, la sentenza impugnata non dà esaurientemente conto della prevalenza, quanto ai prodotti commercializzati, di quelli provenienti dai fondi coltivati dal contribuente dei prodotti ed ha del tutto trascurato di verificare la sussistenza del nesso di strumentalità o di complementarità funzionale tra l’attività di commercializzazione di prodotti e quella agricola.

La complessiva censura va quindi accolta.

2.- L’accoglimento del ricorso principale conduce all’esame di quello incidentale, col quale il contribuente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’omessa pronuncia sull’eccezione pregiudiziale afferente all’intervenuta decadenza dell’Ufficio dall’esercizio del potere impositivo ai fini iva, a causa dell’inapplicabilità, per incompatibilità con la normativa unionale, della proroga biennale del termine di decadenza previsto dalla L. n. 289 del 2002, art. 10.

La censura è al contempo inammissibile ed infondata.

2.1.- L’inammissibilità sta nel fatto che il giudice d’appello ha dato conto in narrativa dell’avvenuta formulazione dell’eccezione, sicchè la pronuncia nel merito ne implica l’implicito rigetto, a fronte del quale non è configurabile il vizio di omessa pronuncia.

Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311; conf., tra varie, 11 settembre 2015, n. 17956).

2.2.- La censura è comunque infondata, alla stregua del principio di diritto già affermato da questa Corte (vedi, in particolare, tra le ultime, Cass. 15 marzo 2017, n. 6715 e 24 novembre 2016, n. 24014), secondo cui, in tema di condono fiscale, dalla incompatibilità con il diritto dell’Unione europea del condono per iva di cui alla L. n. 289 del 2002 non discende la disapplicazione dell’art. 10 L. citata, che dispone la proroga di due anni dei termini per l’accertamento, poichè tale norma non comporta alcuna rinuncia al pagamento di quanto dovuto per tale imposta, ma, anzi, ne costituisce un rafforzamento dell’accertamento e della riscossione.

3.- Il ricorso incidentale va dunque respinto.

4.- In definitiva, in accoglimento del ricorso principale, la sentenza va cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Liguria in diversa composizione.

PQM

 

la Corte:

accoglie il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Liguria in diversa composizione. Rigetta il ricorso incidentale.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2017

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