Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18827 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/09/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 10/09/2020), n.18827

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 316-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.F., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA COLA DI

RIENZO 92, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA NARDONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANGELO PUZO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5275/9/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata

il 04/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAPOZZI

RAFFAELE.

 

Fatto

RILEVATO

che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR della Campania, sezione staccata di Salerno, di rigetto dell’appello da essa proposto avverso una sentenza della CTP di Salerno, che aveva parzialmente accolto il ricorso della contribuente P.F. avverso un avviso di accertamento IRPEF 2011; secondo la CTR, per determinare il reddito non dichiarato dalla contribuente, proveniente dall’affitto di immobili per vacanze, gli esiti delle indagini bancarie esperite dovevano limitarsi ai soli introiti e non ai prelievi ed occorreva altresì tener conto che su una parte di detti immobili gravava l’usufrutto della madre della contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32, 38 e 39 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., in quanto erroneamente la CTR aveva ritenuto che l’ufficio fosse a conoscenza che sugli immobili locati alla contribuente gravava l’usufrutto della madre; era al contrario ravvisabile nella specie un reddito d’impresa facente capo esclusivamente alla contribuente; invero per imputare il reddito alla contribuente pro quota, avrebbe dovuto dalla medesima essere provata la costituzione in forma scritta di un’impresa familiare, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, comma 4, lett. a); inoltre il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 imponeva di considerare ricavi sia i prelevamenti che i versamenti sul conto corrente; e l’utilizzo dei dati ricavati dai movimenti sul conto corrente non imponeva l’obbligo della preventiva convocazione del contribuente, a carico del quale gravava l’onere di fornire la prova contraria, consistente nell’analitica dimostrazione dell’irrilevanza di ciascuna operazione finanziaria riscontrata; inoltre era errato quanto sostenuto dai giudici di merito, nella parte in cui avevano determinato una riduzione dei redditi del 10%, a titolo di incidenza dei costi sui ricavi, atteso che la presunzione legale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 riguardava tutti i movimenti in entrata ed in uscita sui conti correnti bancari, non avendo alcun rilievo i costi sostenuti dalla contribuente; erano cioè da considerare ricavi sia i prelevamenti sia i versamenti sui conti correnti, salvo l’onere della contribuente di provare che i versamenti erano registrati in contabilità e che i prelevamenti fossero serviti per pagare determinati beneficiari, senza costituire acquisizione di utili; pertanto alla presunzione prevista dalla legge andava contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice, ovvero una mera affermazione di carattere generale, non essendo consentito fare ricorso all’equità;

che la contribuente si è costituita con controricorso;

che il motivo di ricorso in esame è inammissibile nella parte in cui ha sostenuto che la contribuente, per giustificare l’acquisizione solo parziale degli utili prodotti dagli appartamenti oggetto di affitti estivi, per essere alcuni di essi nella disponibilità di sua madre, avrebbe dovuto provare l’esistenza di un’impresa familiare fra lei e sua madre; trattasi invero di tema di merito nuovo, che non poteva essere introdotto per la prima volta nella presente sede di legittimità; d’altra parte l’Agenzia ricorrente ha omesso di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito e di indicare in quale atto del giudizio precedente ciò sia stato fatto, come avrebbe dovuto fare in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione (cfr. Cass. n. 32804 del 2019);

che il motivo di ricorso in esame è fondato nella parte in cui ha rilevato che la presunzione di maggior reddito conseguito dalla contribuente poteva fondarsi non solo sui versamenti, ma anche sui prelevamenti effettuati sul suo conto corrente;

che, invero, come rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 2432 del 2017; Cass. n. 8266 del 2018; Cass. n. 23523 del 2018), la sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, con la quale è stata dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 limitatamente alle parole “o compensi”, è applicabile unicamente ai professionisti lavoratori autonomi e non ai soggetti che, come la contribuente, svolgono attività imprenditoriale (affitto di immobili ad uso estivo) al di fuori dell’esercizio di una professione; pertanto, nei confronti della contribuente, è interamente applicabile la presunzione legale posta dal citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, si che, nei suoi confronti, è legittimo presumere che sia i versamenti che i prelevamenti sui propri conti correnti bancari siano indici di maggiore disponibilità di reddito, salva la prova contraria che la contribuente poteva fornire che trattavasi di risorse già tenute presenti nella determinazione del reddito imponibile ovvero che trattavasi di risorse in qualche modo irrilevanti ai fini tributari; che, infine, il motivo di ricorso in esame è fondato nella parte in cui lamenta che la CTR, confermando quanto sul punto statuito dalla CTP di Salerno, aveva ritenuto che fosse equo riconoscere alla contribuente una decurtazione forfettaria del 10% a titolo di costi sostenuti;

che, invero, la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che, in materia di accertamento delle imposte sui redditi, è legittima la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, secondo cui sono considerati ricavi i versamenti sui conti correnti, salvo che il contribuente non provi che i versamenti siano stati registrati in contabilità; a tale presunzione è necessario tuttavia contrapporre prove e non altre presunzioni semplici e neppure mere affermazioni di carattere generale, non essendo consentito il ricorso all’equità, con conseguente illegittimità della disposta decurtazione forfettaria dei ricavi del 10% a titolo di costi sostenuti (cfr. Cass. n. 25365 del 2007; Cass. n. 1236 del 2015);

che, pertanto, dichiarato inammissibile il primo rilievo, vanno accolti i restanti due, in relazione ai quali la sentenza impugnata va cassata, con rimessione alla CTR della Campania, sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo rilievo ed accoglie i restanti due, con riferimento ai quali cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Campania, sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2020.

Depositato in cancelleria il 10 settembre 2020

 

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