Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18826 del 16/07/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 18826 Anno 2018
Presidente: BRONZINI GIUSEPPE
Relatore: LORITO MATILDE

ORDINANZA

sul ricorso 22826-2016 proposto da:
DE GENNARO VINCENZO, elettivamente domiciliato in
ROMA, LUNGOTEVERE PIETRA PAPA 185, presso lo studio
dell’avvocato SIMONA DONATI, rappresentato e difeso
dagli avvocati MARCO MOCELLA e DANIELA MOCELLA,
giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2018
1950

BIG S.R.L., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE
ZEBIO 30, presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA
CAMICI,

che

la

rappresenta

e

difende

sia

congiuntamente che disgiuntamente agli avvocati

Data pubblicazione: 16/07/2018

FEDERICO CAMOZZI e MASSIMO NESPOLI, giusta delega in
atti;
– controrícorrente –

avverso

la

sentenza

n.

1132/2016

della

CORTE

,
/
r/

D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 05/04/2016, R. G.

N. 2519/2014.

n.

22826/2016

RILEVATO CHE
La Corte d’Appello di Napoli confermava la pronuncia del giudice di prima
istanza che aveva respinto la domanda proposta da Vincenzo De Gennaro
nei confronti della biG s.r.l. volta a conseguire la declaratoria di
illegittimità del licenziamento disciplinare irrogatogli in data 2/3/2011.

Questi aveva accertato la fondatezza degli addebiti mossi al ricorrente – il
quale svolgeva attività di collocazione e consegna dei prodotti alimentari
commercializzati presso i clienti in qualità di piazzista – e consistiti in
sintesi, nell’aver in una occasione trattenuto per sé i contanti ricevuti da
clienti diversi dal destinatario della merce, versando in cassa fra l’altro, un
assegno di elevato importo, emesso dal cliente “il Ghiottone” (bloccato
quanto a possibili dilazioni di pagamento), successivamente risultato
insoluto; nell’avere emesso due fatture con pagamento dilazionato in
favore dello stesso cliente “bloccato” per superamento di fido; nell’aver
versato due assègni rilasciati dal medesimo cliente a saldo di fatture, poi
rimasti insoluti.
Tali comportamenti rivestivano valore di particolare-gravità avuto riguardo
all’interesse della parte datoriale ad una corretta esecuzione della
prestazione lavorativa, giustificando l’irrogazione della massima sanzione
disciplinare.
Avverso tale pronuncia interpone ricorso per cassazione il De Gennaro
affidato ad unico motivo.
Resiste con controricorso la società intimata.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
1.Con unico articolato motivo si denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art.12 disp. sulla legge in generale in relazione all’art.360 comma
primo n.3 c.p.c., nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art.360 comma primo n.5
c.p.c..
Ci si duole che la Corte di merito abbia ritenuto dimostrate le circostanze
oggetto dell’atto di incolpazione e le abbia reputate idonee ad integrare la
giusta causa di licenziamento. Si richiama a sostengo della critica, la
prassi aziendale che consentiva ai piazzisti di cambiare gli assegni con

La Corte distrettuale perveniva a tali conclusioni, condividendo l’iter
motivazionale percorso dal giudice di prima istanza.

n. r.g. 22826/2016

Si deduce, poi, come non provata la sussistenza di un limite di vendita a
dilazione (cd.fido) il cui onere incombeva sulla parte datoriale, pur
accertata dalla Corte distrettuale alla stregua di una non ponderata
valutazione delle dichiarazioni testimoniali rese nel giudizio di primo
grado.
Ci si duole, da, ultimo, del giudizio di proporzionalità della sanzione
disciplinare irrogata, rispetto agli addebiti ascritti, espresso dai giudici del
gravame, ritenuto erroneo sul rilievo che: la mera “sostituzione di conianti
con un assegno personale”… non integrava “certo una sottrazione di
denaro ma una mera sostituzione con un titolo astrattamente identico”;
l’eventuale superamento del fido avrebbe comportato, “al più una cattiva
valutazione del rischio del cliente”; comunque vi era stata offerta di
restituzione dell’importo.
2. Il motivo presenta profili di inammissibilità.
Occorre premettere che, secondo l’insegnamento di questa Corte, la giusta
causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli
elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento
fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti
addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei
medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità
del profilo intenzionale; dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la
sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui
si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da
giustificare la massima sanzione disciplinare.
Quale evento “che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del
rapporto”, la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale,
che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione
dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente
richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura
giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come
violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli
elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di
fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se
2

denaro contante incassato durante le vendite, erroneamente considerata
smentita dalle testimonianze acquisite, e si evidenzia la circostanza
trascurata dai giudici del gravame, concernente if deposito di numerosi
assegni intestati alla convenuta ed incassati da esso ricorrente in assenza
di rilievi da parte dei superiori.

n. r.g. 22826/2016

Nello specifico, non può sottacersi che oltre all’invocazione – peraltro solo
formale – di violazioni o false applicazioni di norme, la articolata censura
investe l’accertamento in fatto compiuto dai giudici del merito in ordine
alla ritenuta sussistenza della giusta causa di licenziamento; tale
accertamento non è suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità
perché prospettato attraverso un rinnovato apprezzamento del merito,
ben oltre i limiti imposti dall’art. 360, co. 1, n. 5, novellato, così come
rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014.
Inoltre il vizio attinente alla ricostruzione dei fatti e la loro valutazione, per
i giudizi di appello instaurati – come quello oggetto di scrutinio successivamente, al trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore
della legge 7 agosto 2012 n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187
dell’11.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, non può
essere denunciato, rispetto ad un reclamo proposto dopo la data sopra
indicata, (art. 54, comma 2, del richiamato d.l. n. 83/2012), con ricorso
per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che conferma la
decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi
termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter, ultimo
comma, c.p.c.). Ossia il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., non è
deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme (vedi
ex plurimís, Cass. 27/7/2017 n. 18659), per cui l’invocato sindacato sul
giudizio di merito circa la sussistenza e l’apprezzamento dei fatti
disciplinari, espresso concordemente nel doppio grado ad esso riservato, è
precluso a questa Corte.

3. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Essendo stato il presente ricorso proposto successivamente al 30 gennaio
2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art.1, comma 17,
della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater
all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della
sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente principale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
la stessa impugnazione.
3

privo di errori logici e giuridici (ex plurimis, vedi Cass. 26/4/2012 n.6498,
Cass. 29/3/2017’n.8136).

n. r.g. 22826/2016

P.Q.M.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma i bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma nella Adunanza camerale del 15 maggio 2018.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00
per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese
generali al 15% e accessori di legge.

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