Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18825 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. I, 10/09/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 10/09/2020), n.18825

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13996-2019 proposto da:

N.E., rappresentato e difeso dagli avvocati MASSIMILIANO

CORNACCHIONE, e ROCCO BARBATO, e domiciliato presso la cancelleria

della Corte di Cassazione.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 20/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/07/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato il 25.6.2018 il ricorrente impugnava il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, sezione di Monza, con il quale era stata respinta la sua istanza volta ad ottenere la predetta tutela.

Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano rigettava il ricorso.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione N.E. affidandosi a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 8, artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè il vizio della motivazione, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto generico e non credibile il suo racconto. In particolare, il ricorrente si duole del fatto che il giudice di merito abbia considerato non verosimile il fatto che il padre, dopo aver progettato con la seconda moglie il sacrificio del ricorrente, figlio di primo letto, ed essere stato denunciato da questi, che aveva ascoltato la conversazione tra il padre ed una terza persona, non abbia desistito dal suo proposito, ma anzi si sia dimostrato deciso a compiere il sacrificio umano.

La censura è inammissibile, in quanto – oltre ad essere formulata in termini generici, ovverosia senza alcun riferimento ad uno o più elementi concreti che il giudice di merito avrebbe erroneamente valutato, o totalmente omesso di valutare – non si confronta con il fatto che il Tribunale ha verificato l’esistenza, in (OMISSIS), di una pratica di sacrifici umani, affermando che “La ricerca nel portale (OMISSIS) e nel portale (OMISSIS) ha dato esito negativo…” (cfr. pag. 6 del decreto). Il ricorrente nulla deduce a contrario rispetto a tale informazione, tratta da autorevoli fonti internazionali nel corretto esercizio, da parte del Tribunale, del potere-dovere di cooperazione istruttoria ufficioso che contraddistingue la materia della protezione internazionale. La doglianza proposta, pertanto, si risolve in una inammissibile richiesta di riesame della valutazione di merito, da ritenere certamente estranea alla natura e alla finalità del giudizio in Cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv.627790).

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè il vizio della motivazione, perchè il giudice lombardo avrebbe erroneamente negato al richiedente anche il riconoscimento della protezione sussidiaria, senza considerare in modo corretto la situazione di pericolosità diffusa esistente in (OMISSIS).

La censura è inammissibile. Il decreto impugnato dà atto, infatti, della condizione interna del (OMISSIS), ricostruendone i passaggi salienti ed indicando in modo corretto le fonti internazionali dalle quali il giudice di merito ha tratto le informazioni (cfr. pag.8). Anche in questo caso, la censura si risolve in una generica allegazione di scorretto esame del merito, e quindi non supera i limiti di ammissibilità del vizio di motivazione previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo in vigore a seguito della novella di cui al D.L. n. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv.629830).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 34, art. 10 Cost., art. 6 della Direttiva comunitaria n. 115 del 2008, della Direttiva n. 95 del 2011, artt. 112 e 116 c.p.c., nonchè il vizio della motivazione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente denegato anche il riconoscimento della protezione umanitaria.

La censura è inammissibile. Il decreto impugnato dà atto delle condizioni esistenti in (OMISSIS), escludendo la sussistenza di una situazione di pericolo generalizzato o comunque di un rischio collegato al rimpatrio del richiedente; esamina inoltre il suo percorso di integrazione in Italia, escludendo la sussistenza di una condizione socio-lavorativa autonoma e indipendente, posto che il richiedente vive nella struttura di accoglienza che lo ha ospitato, non ha riferimenti affettivi sul territorio nazionale e non lavora.

Rispetto a tale valutazione il ricorrente non allega alcun elemento concreto che il giudice di merito avrebbe omesso di considerare, o apprezzato in modo non adeguato, con conseguente carenza di specificità delle doglianze, che si risolvono in una istanza di revisione del giudizio di merito, da ritenere estranea alle finalità e alla natura del giudizio in cassazione (Cass. Sez.U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv.627790).

Del pari inammissibile è la deduzione, contenuta in tutti e tre i motivi di ricorso, relativa all’omessa considerazione, da parte del giudice di merito, della condizione esistente in Libia, dovendosi ribadire, sul punto, il principio per cui “Nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione” (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018, Rv. 651868). Occorre dunque che il richiedente dimostri, alternativamente, un particolare radicamento nel contesto del Paese di transito del cui contesto interno invoca la considerazione, tale da far ritenere che, in caso di rimpatrio, egli possa essere effettivamente rimandato in quel Paese, e non invece nel suo Paese di origine; ovvero, che alleghi di aver subito particolari traumi durante la sua permanenza in Libia, o in altra diversa zona di transito, in ottemperanza al principio per cui “… non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13096 del 15/05/2019, Rv.653885). Nè sotto il primo, nè sotto il secondo profilo il ricorrente ha dimostrato alcunchè, nè ha indicato alcun elemento specifico atto a dimostrare la rilevanza, nel suo particolare caso, della condizione interna esistente in Libia. La stessa deduzione di essersi “stabilizzato in Libia” (cfr. pag. 11 del ricorso) non è corredata da alcuna indicazione di ordine temporale che valga a dimostrare l’esistenza di quel nesso che, solo, giustifica ed impone la considerazione anche del contesto interno al cd. Paese di transito.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di notificazione di controricorso da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2020

 

 

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