Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1882 del 25/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 25/01/2017, (ud. 15/12/2016, dep.25/01/2017),  n. 1882

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21004-2015 proposto da:

O.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTRANTO 47,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ROMEO, rappresentato e

difeso dall’avvocato PIETRO MODAFFARI giusta procura in calce al

ricorso, quest’ultimo anche in proprio;

– ricorrenti –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELA

CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI MAURO RICCI giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 235/2015 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA de117/02/2015, depositata il 03/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato MAURO RICCI, difensore del controricorrente, che si

riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è, stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 15 dicembre 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con sentenza del 3.3.2015, la Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale accoglimento del gravame proposto da O.A. ed in riforma della pronuncia di primo grado – che aveva riconosciuto il diritto dell’ O. all’assegno ordinario di invalidità, con corresponsione dei relativi ratei a far data dal 28.12.2009 e non dalla domanda amministrativa – condannava l’INPS a corrispondere al predetto la prestazione suddetta dal febbraio 2009, oltre alla maggior somma fra interessi e rivalutazione monetaria dalla medesima data al soddisfo, compensava per la metà le spese di primo e secondo grado, ponendo la residua metà di ciascun grado a carico dell’istituto previdenziale, con distrazione in favore dell’avv.to Pietro Modaffari. Rilevava la Corte che, pure avendo la rinnovata cm medico legale accertato un quadro patologico che comportava un stato invalidante determinante una residua capacità lavorativa del l’ O. inferiore al terzo da data ben anteriore a quella indicata nella sentenza impugnata, tuttavia le relative conclusioni erano fondate su documentazione producibile già alla data del ricorso introduttivo e prodotta tardivamente in modo inammissibile, sicchè poteva aversi riguardo solo alla valutazione del CTU fondata sui dati clinici descritti nell’esame obiettivo condotto in primo grado dal Ctu ivi officiato.

Alla stregua di tali elementi, la Corte riteneva che la sussistenza delle condizioni sanitarie per l’affermazione del diritto dovessero essere retrodatate quanto meno di dieci mesi prima della constatazione ad opera del Ctu nominato dal Tribunale, in difetto di documentazione sanitaria, tempestivamente prodotta, che consentisse di ulteriormente retrodatare il diritto.

Quanto alla spese di lite, si riteneva che la decorrenza accordata rispetto a quella richiesta giustificasse la compensazione per metà delle spese di entrambi i gradi del giudizio, alla luce dell’esito complessivo dello stesso.

Per la cassazione di tale decisione ricorre l’ O., affidando l’impugnazione a due motivi (il secondo proposto dal difensore in proprio), cui resiste, con controricorso, l’INPS.

Con il primo motivo si deduce violazione di legge in relazione alla L. n. 222 del 1984 e degli artt. 112, 245 e 346 c.p.c., osservandosi che la produzione di documenti di formazione anteriore al ricorso introduttivo era avvenuta durante il procedimento di primo grado e che gli stessi non erano stati contestati dalla controparte, con assorbimento della questione per effetto della sentenza di primo grado che sul punto nulla aveva statuito e non oggetto di impugnazione da parte dell’INPS, il quale nulla aveva eccepito nel giudizio di gravame all’atto della sua costituzione.

Con il secondo motivo, viene dedotta violazione di legge in relazione agli artt. 112, 245 e 346 c.p.c. in relazione alla riforma in peius della sentenza di primo grado anche in relazione alle spese di lite, senza che sul punto la decisione fosse stata impugnata.

Il ricorso è inammissibile.

Quanto alla prima censura è sufficiente osservare che è stato di recente affermato che “è principio ormai consolidato di questa Corte quello secondo cui la decadenza prevista dall’art. 414 c.p.c., n. 5, e dell’art. 416 c.p.c., comma 3, ha carattere assoluto ed inderogabile e deve essere rilevata d’ufficio dal giudice indipendentemente dal silenzio serbato dalla controparte o dalla circostanza che la medesima abbia accettato il contraddittorio, atteso che nel rito del lavoro la disciplina dettata per il giudizio risponde ad esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento stesso del processo, in aderenza ai principi di immediatezza, oralità e concentrazione che lo informano (cfr. Cass. 26.2.2014 n. 4601, che rinvia a Cass., sez. un., 20 aprile 2005, n. 8202; Cass., 25 novembre 2005, n. 24900; nonchè pure a Cass., 20 novembre 2006, n. 24606, con riferimento al rito ordinario).

Peraltro nella specie risulta evidenziato nella sentenza impugnata che i documenti in questione, tutti risalenti ad epoca antecedente all’introduzione del giudizio (22 maggio 2009) e prodotti solo in occasione della visita peritale, sono stati consegnati al Ctu e neppure prodotti in udienza.

A maggior ragione la deduzione dell’ O. posta a fondamento del motivo di impugnazione avrebbe dovuto, oltre a riportare il contenuto dei documenti stessi, contenere l’indicazione della relativa sede di produzione o provvedere ad indicarne gli estremi per il reperimento nell’ambito di quelli prodotti nelle fasi di merito, anche eventualmente in contrasto con le affermazioni del giudice del gravame, per sostenere che la controparte avesse avuto reale e concreta possibilità di contestazione, in conseguenza di una rituale se pure tardiva produzione, in coerenza con la giurisprudenza di legittimità richiamata (Cass. 13351/2014 e Cass. 19810/2013).

Risulta in ogni caso violato il contenuto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, che prescrive che il ricorso deve contenere a pena di inammissibilità “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”. Ciò postula secondo il costante, consolidato insegnamento di questa Corte che, dovendo provvedersi alla individuazione di detti atti con riferimento alla sequenza di documentazione dello svolgimento del processo nel suo complesso, come pervenuta presso la Corte di cassazione (cfr. Cass. 8569/13; 4220/12; 6937/10), il ricorrente, anche in unione a quanto previsto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 che sanziona in termini di improcedibilità il ricorso, il cui deposito non sia accompagnato pure dal deposito degli atti processuali, dei documenti e degli accordi collettivi su cui si fonda, sia chiamato ad assolvere un duplice onere processuale. Ove, invero, egli intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito, il requisito in parola si intende soddisfatto, allorchè il ricorrente produca il documento agli atti e ne riproduca il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il suo esatto contenuto. (2861/14; 2427/14; 2966/11). In altri termini, occorre non solo che la parte precisi dove e quando il documento asseritamente ignorato dai primi giudici o da essi erroneamente interpretato sia stato prodotto nella sequenza procedimentale che porta la vicenda al vaglio di legittimità; ma al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (v. Cass. 761/14; 24448/13; 22517/13), occorre altresì che detto documento ovvero quella parte di esso su cui si fonda il gravame sia puntualmente riportata nel ricorso nei suoi esatti termini (Cass. 3748/14; 15634/13).

L’inosservanza anche di uno soltanto di questi oneri viola il precetto di specificità di cui al citato art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e rende il ricorso conseguentemente inammissibile (cfr. Cass. 14216/13; 23536/13 23069/13).

Quanto alla seconda censura attinente al capo sulle spese, va ribadito che il procuratore antistatario, in cui favore siano state distratte le spese di lite, non assume, nel successivo giudizio di impugnazione, la qualità di parte, salvo che si controverta proprio sulla concessione della distrazione (cfr., da ultimo, Cass. 27.4.2016 n. 8428).

Si popone, alla stregua delle svolte osservazioni, la declaratoria di inammissibilità del ricorso, potendosene assumere la decisione in sede camerale”.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla richiamata giurisprudenza di legittimità, e che le stesse conducano complessivamente alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le spese del presente giudizio di legittimità sono irripetibili, in presenza di idonea dichiarazione di esonero ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c..

Poichè il ricorso è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 si impone di dare atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sussistendo i relativi presupposti. (cfr. Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità ricorso.

Dichiara irripetibili le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2017

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