Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18819 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. I, 10/09/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 10/09/2020), n.18819

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32489/2018 proposto da:

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

A.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1620/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 29/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/07/2020 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Milano, pubblicata il 29 marzo 2018, con cui è stato parzialmente accolto il gravame proposto da A.M. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale del capoluogo lombardo. La nominata Corte ha negato che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed ha altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria; ha tuttavia accertato spettasse il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ha osservato, in particolare, che andava valutata sia la preoccupante generale situazione del (OMISSIS) (tale da esporre il ricorrente a rischi maggiori rispetto a quelli che riguardano i richiedenti provenienti da altri paesi), sia il lungo percorso migratorio affrontato dall’istante, sia infine il reperimento, da parte dello stesso, di una stabile regolare attività lavorativa.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su di un solo motivo. Il richiedente non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente Ministero denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Rileva che la Corte di appello avrebbe dovuto verificare se in capo al richiedente potesse individuarsi una situazione caratterizzata da gravi esigenze umanitarie; per contro, essa aveva riconosciuto il diritto all’invocata forma di protezione basandosi sulla situazione generale del paese di origine dell’appellante e sulla sua integrazione sociale in Italia.

2. – Il motivo è fondato, in quanto il giudice del gravame ha mancato di applicare i principi elaborati, in tema di protezione umanitaria, dalla giurisprudenza della S.C..

2.1. – Di recente le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: quello per cui, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, non si può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che la alimentano. Si tratta di una enunciazione che riguarda diritti che non si prestano a catalogazioni: gli interessi protetti che ricevono tutela attraverso la nominata forma di protezione “non possono restare ingabbiati in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali; sicchè (…) l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni” (Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459, in motivazione, ove i richiami a Cass. 15 maggio 2019, n. 13079 e a Cass. 15 maggio 2019, n. 13096; sul tema cfr. già Cass. Sez. U. 9 settembre 2009, n. 19393, la quale rilevava, in motivazione, come “i motivi di carattere umanitario debbano essere identificati facendo riferimento alla fattispecie previste dalle convenzioni universali o regionali che autorizzano o impongono al nostro Paese di adottare misure di protezione a garanzia dei diritti umani fondamentali e che trovano espressione e garanzia anche nella Costituzione, non solo per il valore del riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo in forza dell’art. 2 Cost., ma anche perchè, al di là della coincidenza dei cataloghi di tali diritti, le diverse formule che li esprimono si integrano, completandosi reciprocamente nell’interpretazione”).

Il giudice deve dunque valutare la sussistenza di situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale capace di determinare una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti inviolabili, e ciò considerando globalmente e unitariamente i singoli elementi fattuali accertati e non in maniera atomistica e frammentata (Cass. 30 marzo 2020, n. 7599).

Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre poi operare la valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459). Tale principio trova una rispondenza nella giurisprudenza elaborata dalla Corte EDU in tema di flussi migratori, la quale appare ispirata al bilanciamento del diritto al rispetto della persona con gli interessi alla sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, oltre che con l’esigenza di assicurare la protezione dei diritti e delle libertà altrui (art. 8, comma 2 CEDU). A tal fine, la nominata Corte ha precisato che tra i fattori da prendere in considerazione è ricompresa l’entità del legame che le persone interessate hanno allacciato con lo Stato contraente di accoglienza (per tutte: Corte EDU 31 gennaio 2006, Rodrigues da Silva e Hoogkamer c. Paesi Bassi, 39; la valorizzazione dei legami col paese ospitante è affermata anche nell’apprezzamento delle ragioni che possano giustificare l’espulsione per la commissione di reati: Corte EDU Uner c. Paesi Bassi 18 ottobre 2006, 57-58, richiamata, di recente, da Corte EDU 14 febbraio 2019, Narlis c. Italia, 41, ove è parola della necessità, anche in tali evenienze, di valutare la solidità dei legami sociali, culturali e familiari esistenti col paese ospitante, oltre che con quello di destinazione).

2.2. – Poichè la comparazione investe una situazione (quella cui il richiedente va incontro in caso di rientro nel paese di provenienza) che deve essere segnata dal rischio della lesione di diritti fondamentali, è dunque anzitutto necessario che il giudice del merito chiarisca in cosa consista, in concreto, un rischio siffatto, dando conto di quali siano i diritti esposti a pericolo per effetto del rimpatrio. Una precisazione in tal senso si impone proprio per dar ragione della sussistenza delle ragioni da porre a fondamento della forma di protezione invocata. E si impone, alla luce del principio jura novit curia, ove pure la parte richiedente non abbia puntualmente indicato il diritto o i diritti fondamentali oggetto di compromissione, ma abbia comunque proceduto a una congrua allegazione dei fatti che li sottendano: condizione, quest’ultima, che segna il limite di ammissibilità della stessa domanda di protezione internazionale; è noto, infatti, che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottragga all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016; come precisato da Cass. 2 luglio 2020, n. 13573, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria è in particolare necessario che il richiedente fornisca elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza; è il caso di rilevare, tuttavia, che i fatti storici posti a fondamento della positiva valutazione della condizione di vulnerabilità ben possono essere gli stessi già allegati per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o la concessione della protezione sussidiaria, giacchè – appunto – compete al giudice qualificare detti fatti ai fini della riconduzione all’una o all’altra forma di protezione: Cass. 12 maggio 2020, n. 8819).

2.3. – La Corte non poteva allora limitarsi ad affermazioni generiche evocando il percorso migratorio dell’istante, che nulla dice quanto alla violazione dei diritti fondamentali della persona, o la “preoccupante generale situazione del (OMISSIS)”: profilo, questo, che, al di là della vaghezza di significato, non potrebbe comunque rilevare nel quadro dell’indagine che qui interessa, giacchè la condizione di vulnerabilità che fonda la richiesta forma di protezione deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, finendosi altrimenti per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, quanto, piuttosto, quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; cfr. pure la recente Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459, sempre in motivazione).

Non è del resto sufficiente, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, il dato della concreta esistenza di aspetti della vita del richiedente che siano indicativi del suo inserimento nel tessuto sociale del nostro paese: e ciò perchè non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072; ora anche Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459). In tal senso, non è dunque decisivo che l’istante svolga un’attività lavorativa nel nostro paese.

3. – La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio della causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità. Il giudice del rinvio, conformandosi ai principi di cui si è detto, dovrà nuovamente accertare se ricorrono le condizioni per il riconoscimento, a A.M., del diritto alla domandata protezione umanitaria.

PQM

LA CORTE

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2020

 

 

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