Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18817 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 12/07/2019, (ud. 09/05/2019, dep. 12/07/2019), n.18817

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5209-2014 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Lima 20,

presso lo studio dell’avv. Iacovino Vincenzo, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI CAMPOBASSO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Donizetti Gaetano

20, presso lo studio dell’avv. Mandorlo Anna, rappresentata e difesa

dall’avv. Matteo Iacovelli;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 245/2013 della Corte di Appello di Campobasso,

depositata il 9.12.2013 R.G.N. 9/2012.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

1. il Tribunale di Campobasso, in ragione della ingiustificata sottrazione dei compiti in precedenza svolti da P.G., inquadrato nella qualifica professionale di Ingegnere, categoria D, posizione economica D4, del CCNL del comparto Enti locali, in parziale accoglimento del ricorso proposto dal dipendente, condannò la Provincia di Campobasso datrice di lavoro al risarcimento del danno così quantificato: Euro 30.000,00 a titolo di danno patrimoniale determinato dalla riduzione dei compensi di cui alla L. n. 109 del 1994, art. 18 ed Euro 7.654,00 a titolo di danno non patrimoniale, oltre accessori;

2. la locale Corte di Appello, adita da entrambe le parti, ha poi accolto l’appello dell’amministrazione, rigettando le domande proposte dal P. con il ricorso introduttivo del giudizio, respingendo anche l’appello incidentale di questi e compensando le spese;

3. la Corte territoriale ha accertato “l’inesistenza del dedotto demansionamento”; da una nota del 30 ottobre 2000 ha evinto “che già prima dell’incidente nel quale il P. rimase coinvolto lo stesso aveva chiesto altro personale a propria completa disposizione o in alternativa di essere sollevato da alcuni dei lavori nella premessa indicati, “considerato che i suddetti lavori per la complessità della procedura richiedono un notevole impegno, sia tecnico che amministrativo””; secondo la Corte, dunque, “l’operato del dirigente appare tutt’altro che ingiustificato, essendo viceversa fondato su concrete, reali esigenze rappresentate dallo stesso P. nonchè sulla necessità di non rallentare o fermare i cantieri e le connesse attività tecnico-amministrative di cui quest’ultimo aveva una conoscenza non più attuale a causa della sua lunga assenza”; “al suo rientro – continua la Corte – il P. aveva dunque ritrovato intatto il suo pacchetto di pratiche che, come si evince dalle risultanze processuali, erano rimaste nel suo ufficio durante la sua assenza e che soltanto successivamente, in conformità della sua precedente richiesta, in parte vennero redistribuite tra altri tecnici”;

escluso il demansionamento la Corte di Appello ha escluso anche il consequenziale risarcimento del danno, con rigetto dell’appello incidentale del P., teso ad ottenere una maggiore quantificazione dello stesso, con assorbimento degli ulteriori motivi del gravarne principale;

4. per la cassazione di tale sentenza propone ricorso P.G. con 3 motivi, cui resiste la Provincia di Campobasso con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso si denuncia “omessa motivazione e/o confutazione critica delle motivazioni poste a base della sentenza di primo grado ex art. 360 c.p.c., n. 4 e n. 5”, sull’assunto che “in caso di decisione difforme da quella del giudice di primo grado”, la Corte di Appello “non può ricorrere a motivazione arbitraria e illogica, omettendo di confutare criticamente la motivazione di primo grado”;

la censura è inammissibile in quanto non riconducibile ad una delle ipotesi di critica vincolata previste dall’art. 360 c.p.c., invocandosi un inesistente principio di diritto (di cui neanche si indica la matrice) che opera invece all’opposto allorquando la sentenza di appello è motivata per relationem alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame (di recente v. Cass. n. 27112 del 2018) e non quando, come nella specie, il giudice d’appello sia giunto ad una decisione difforme mediante una diversa valutazione del materiale probatorio rispetto a quelle effettuata in prime cure e parte ricorrente neanche illustra il perchè tale diversa valutazione sarebbe “arbitraria e illogica”;

2. con il secondo motivo si denuncia “omessa, carente, erronea e/o illogica motivazione su di un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5; violazione e falsa applicazione art. 2087 c.c.ex art. 360 c.p.c., n. 3”; si lamenta che la Corte territoriale avrebbe fondato il suo giudizio sulla nota prot. n. 1704 del 30.10.2000 “anteriore di oltre un anno rispetto al demansionamento” avvenuto dopo l’incidente occorso al P.; si deduce che dall’istruttoria svolta in primo grado sarebbe “inequivocabilmente dimostrato il mutamento occorso nell’ambito lavorativo all’ing. P. a seguito dell’assenza per malattia del luglio-dicembre 2001” e che dalla stessa istruttoria sarebbe emerso “uno svuotamento pressochè totale dell’attività lavorativa” precedentemente compiuta;

anche tale motivo è inammissibile non solo perchè si duole di carenze motivazionali non più sindacabili secondo il testo novellato dell’art. 360 c.p.c., n. 5, della cui vigenza parte ricorrente non pare essersi avveduta visto che formula la censura secondo la precedente formulazione della disposizione non più applicabile alla sentenza impugnata, ma anche perchè non rispetta gli enunciati espressi da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 e non enuclea il fatto storico decisivo di cui sarebbe stato omesso l’esame; quanto alla eccepita violazione di legge, che presupporrebbe la mediazione di una ricostruzione dei fatti storici incontestata, all’evidenza il motivo propone una diversa valutazione delle risultanze probatorie, come è reso evidente dal richiamo ai materiali di causa, pretendendo un controllo del tutto estraneo al giudizio di legittimità;

3. parimenti inammissibile risulta il terzo mezzo con cui si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. e L. n. 108 del 1994, art. 18, lamentando che “le condotte illegittime” adottate dall’Amministrazione avrebbero cagionato danni patrimoniale e non patrimoniali, mentre la Corte territoriale avrebbe “ritenuto assorbite le censure proposte con l’appello incidentale” del P. sulla quantificazione effettuata in primo grado;

esso si fonda su presupposti errati in quanto la Corte molisana ha respinto l’appello incidentale del P. proprio perchè ha ritenuto che nessun inadempimento si era consumato in suo danno, per cui ovviamente alcun danno andava risarcito;

4. conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo; occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento di Euro 4.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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