Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18817 del 02/07/2021

Cassazione civile sez. III, 02/07/2021, (ud. 11/05/2021, dep. 02/07/2021), n.18817

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso iscritto al n. 23186/2019 R.G. proposto da:

Ministero dello Sviluppo Economico, rappresentato e difeso

dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per legge in Roma,

via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

A.R., + ALTRI OMESSI, rappresentati e difesi dagli Avv.ti

Giovanni Musitano, Giovan Battista Marrone e Paola Pampana, con

domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Via Ludovisi,

36;

– controricorrenti –

e contro

F.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Enrico Gaveglio, con

domicilio eletto in Roma, Via G.B. Morgagni n. 2/a presso lo studio

dell’Avv. Umberto Segarelli;

– controricorrente –

e nei confronti di:

D.P.A., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3112/2019 del 13

maggio 2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 maggio

2021 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.R. ed altri quarantotto risparmiatori convennero in giudizio davanti al Tribunale di Roma il Ministero dello Sviluppo Economico chiedendone la condanna al risarcimento del danno rappresentato dalla perdita dei capitali investiti nelle società finanziarie Reno S.p.a. e Previdenza S.p.a. (entrambe facenti capo a S.L.): danno ascritto a responsabilità extracontrattuale del Ministero per omissione di informativa e di vigilanza.

Il tribunale accolse la domanda, respingendo l’eccezione di prescrizione quinquennale (in quanto impedita dall’interruzione del relativo termine per effetto dell’insinuazione al passivo della l.c.a. di Previdenza S.p.a. e dalla sospensione del successivo decorso fino alla chiusura della procedura concorsuale); e condannò il Ministero al pagamento in favore degli attori di somma pari al capitale da ciascuno investito, oltre rivalutazione a far data dal 16/10/1985 e interessi legali (calcolati sulla sorte capitale via via rivalutata anno per anno).

2. Con sentenza n. 3112/2019 del 13 maggio 2019 la Corte d’appello di Roma ha confermato tale decisione rigettando l’appello con il quale il Ministero aveva riproposto l’eccezione di prescrizione e le contestazioni in ordine all’an ed al quantum della pretesa.

2.1. In punto di prescrizione la corte territoriale ha infatti ritenuto, conformemente al primo giudice, che l’effetto interruttivo/sospensivo della stessa – conseguente, ex art. 2943 c.c., comma 1, e art. 2945 c.c., comma 2, alla presentazione di domanda di ammissione al passivo nella procedura di l.c.a. della Previdenza S.p.a. e perdurante fino alla chiusura della procedura concorsuale – dovesse considerarsi esteso, ex art. 1310 c.c., anche nei confronti del Ministero, poichè solidalmente responsabile.

Ha richiamato a supporto il principio affermato da Cass. 17/01/2019, n. 1070, che, in fattispecie analoga (domanda risarcitoria nei confronti della Consob per omessa vigilanza) ed in relazione ad analoga eccezione di prescrizione del credito, ha affermato, a sua volta richiamando Cass. Sez. U. 15 luglio 2009, n. 16503, che:

“per il sorgere della responsabilità solidale dei danneggianti l’art. 2055 c.c., comma 1, richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorchè le condotte lesive siano tra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità di ciascuna di tali persone, anche nel caso in cui siano configurabili titoli di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, atteso che l’unicità del fatto dannoso considerata dalla norma suddetta deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identità delle norme giuridiche da essi violate”; “una volta che sia insorta la solidarietà passiva, stante l’unicità del danno pur in presenza di titoli di responsabilità diversi, non può in conclusione non trovare applicazione la relativa disciplina, ed in particolare l’art. 1310 c.c., comma 1”.

2.2. Quanto all’an della responsabilità la Corte d’appello ha richiamato il precedente di Cass. n. 7531 del 2009 che, pronunciandosi sui medesimi fatti oggetto di causa (ma con riguardo ad altri risparmiatori) ha rilevato che:

– la P.A., dotata della funzione/dovere della vigilanza, gode di un potere discrezionale quanto ai modi di esercizio della vigilanza ma, essendo comunque tenuta alla predetta attività, non può scegliere modalità di azione che rendano solo apparente o formale, e perciò non incisiva, quella vigilanza;

– la sua responsabilità è nella specie configurabile, per violazione della L. n. 1966 del 1939, in relazione: all’omesso esercizio, fino alla data del provvedimento di revoca della autorizzazione alla società Reno, di un effettivo controllo su quest’ultima società; all’omessa comunicazione ai fiducianti Reno che la Previdenza era di fatto posseduta da S.L. al pari della Reno e che ciò li esponeva, pertanto, ai medesimi rischi; al ritardo di cinque mesi della pubblicazione del decreto di revoca dell’autorizzazione alla Reno e della sua esecuzione; al non aver avvisato compiutamente nel comunicato stampa del 10 maggio 1985 dei rischi connessi alla situazione della società Previdenza.

I giudici a quibus hanno quindi soggiunto che:

– in particolare ciò che nel caso in esame viene fondatamente contestato al Ministero è l’omessa vigilanza sull’intera operazione di cessione compiuta dalla Reno S.p.a., che ha necessariamente coinvolto la Previdenza S.p.a., non avendo l’organo di vigilanza attribuito il necessario peso alle ripercussioni che la cessione dei contratti dalla Reno alla Previdenza avrebbe avuto stante la probabile replica da parte della società cessionaria delle modalità contra legem con le quali era stato gestito il pubblico risparmio già prima dalla Reno, circostanze che, anche se non note, come sostiene il Ministero, avrebbero potuto, comunque, dallo stesso essere scoperte nell’indagine ispettiva culminata con la revoca dell’autorizzazione alla Reno già nell’ottobre del 1983 e, quindi, ben prima della messa in liquidazione della Previdenza S.p.a.;

– la lettura atomistica, proposta dal Ministero, dei doveri di vigilanza su ciascuna delle due società stride, pertanto, con la visione complessiva che lo stesso Ministero avrebbe dovuto avere, una volta emerse le gravi irregolarità già compiute dalla Reno, e che avrebbe dovuto condurre ad impedire la cessione del portafoglio della Reno alla Previdenza ovvero ad una verifica immediata sulle attività di quest’ultima più incisiva e tempestiva di quella di fatto posta in essere.

2.3. In ordine al quantum la censura del Ministero – che lamentava che il tribunale avesse liquidato il danno subito dagli attuali appellati nella misura corrispondente all’intero importo dei capitali affidati alla società Reno e/o alla società Previdenza, senza tener conto del carattere speculativo degli investimenti e della pendenza ancora della procedura di liquidazione – è stata rigettata sul duplice rilievo che:

– non vi era prova che fosse stato recuperato qualcosa da parte degli appellati a seguito dell’insinuazione al passivo delle procedure concorsuali;

– nella sequenza causale ex artt. 40 e 41 c.p. ciò che ha provocato il danno costituito dal mancato recupero del capitale investito è, immediatamente e direttamente, la mala gestio delle due società non tempestivamente intercettata e sanzionata dall’organo di vigilanza senza che, dal punto di vista causale, possa riconoscersi alcuna rilevanza alla aleatorietà dell’investimento.

3. Avverso tale decisione il MI.S.E. propone ricorso per cassazione articolando tre motivi.

Vi resistono, depositando controricorsi, gli investitori indicati in epigrafe come controricorrenti; gli altri restano intimati.

Il Ministero ha depositato, in data 28/04/2021, memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., recante anche istanza di rimessione alle Sezioni Unite ex art. 376 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il Ministero ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2055 c.c.; art. 2943 c.c., comma 2; art. 2945 c.c., comma 1; art. 1310 c.c., comma 1.

La censura investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto estensibile l’effetto interruttivo e sospensivo della prescrizione, conseguente alla insinuazione al passivo della l.c.a. di Previdenza S.p.a., al terzo (Ministero) estraneo al rapporto obbligatorio tra il creditore insinuato e il debitore sottoposto a l.c.a., ma considerato responsabile a titolo extracontrattuale per omessa vigilanza.

Rileva anzitutto che tale questione non è trattata dal precedente, incidentalmente richiamato in sentenza, di Cass. Sez. U. n. 16503 del 2009 (riferito alla diversa questione della possibilità, esclusa dalle S.U., di estendere a beneficio del debitore solidale, estraneo al processo, l’affermazione del concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227 c.c., comma 1, in un caso in cui era pacifica la corresponsabilità ex art. 2055 c.c. del condebitore).

Critica la tesi accolta in sentenza secondo cui l’art. 2055 c.c., nel dare rilievo al “fatto dannoso” anzichè, come l’art. 2043 c.c., al “fatto colposo”, si porrebbe esclusivamente dal punto di vista del danneggiato ed escluderebbe qualsiasi considerazione dell’interesse del danneggiante.

Vi oppone argomenti di carattere letterale (ex art. 2055 c.c. il “fatto dannoso” deve essere “imputabile a più persone”) e sistematico (la collocazione della norma nella parte del codice dedicata alla responsabilità extracontrattuale; il carattere di stretta interpretazione della norma, perchè prevede un caso di estensione della responsabilità solidale che altrimenti non sussisterebbe).

Afferma che – presupposto della solidarietà essendo, ex art. 1292 c.c., che i diversi debitori, pur sulla base di diverse causae obligandi, siano tenuti alla medesima prestazione, sicchè l’adempimento di uno abbia effetto liberatorio nei confronti di tutti (Cass. 14/03/1996, n. 2120; 13/07/2010, n. 16391) – nella specie tale elemento comune non potrebbe ravvisarsi tra l’obbligo gravante sulle società fiduciarie di restituzione a titolo contrattuale delle somme loro affidate in gestione, e l’obbligo, gravante sul Ministero, di risarcimento del danno, che potrebbe anche non coincidere con l’importo delle somme affidate; ciò considerato anche che la prima è obbligazione di valuta, la seconda di valore.

Richiama il precedente di Cass. 18/07/2002, n. 10403, secondo cui la solidarietà deve escludersi se le condotte realizzate da più soggetti hanno leso separatamente interessi diversi del danneggiato (nel caso esaminato, relativo alla pretesa risarcitoria nei confronti di una società di revisione per i danni arrecati ai promissari acquirenti di quote di una società in conseguenza della infedele certificazione del relativo valore, la S.C. per tal motivo escluse la solidarietà passiva tra detta società e i venditori delle quote societarie sul rilievo che il danno cagionato dalla prima afferiva all’interesse negativo a non dar seguito al promesso acquisto delle quote, l’altro invece afferiva alla congruità del prezzo pagato ai venditori, superiore al valore effettivo delle quote).

Sostiene che anche nel caso in esame è apprezzabile analoga differenza: lesione dell’interesse negativo a non stipulare i mandati fiduciari, conseguente all’omissione del Ministero; lesione dell’interesse positivo all’adempimento del mandato conferito, da parte delle società fiduciarie.

Osserva in subordine che, comunque, ai sensi dell’art. 1310 c.c., comma 2, non potrebbe prodursi nei confronti del Ministero anche l’effetto sospensivo della prescrizione.

Argomenta in tal senso osservando che, se l’identità degli interessi sottostanti può giustificare l’estensione dell’effetto interruttivo, ex art. 1310 c.c., comma 1, nei confronti dei condebitori solidali che, non essendone destinatari, non conoscono l’atto interruttivo, tale estensione non può invece anche riguardare l’effetto sospensivo, considerato che “il terzo condebitore solidale, se non conosce l’atto interruttivo comunicato all’altro debitore, tanto meno, in quanto terzo estraneo, è in grado di influire sulla durata degli eventi sospensivi, ivi compresa la durata dei procedimenti giudiziari o concorsuali iniziati dal creditore con l’atto interruttivo i cui effetti si vorrebbero estendere al terzo”.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 40 c.p., comma 2, e dell’art. 2043 c.c.; nonchè della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 4, all. E, e del L. 23 novembre 1939, n. 1966, art. 2, e R.D. 22 aprile 1940, n. 531, art. 3.

Sostiene, in sintesi, richiamando Cass. Sez. U. n. 7339 del 1998 e Cass. n. 5477 del 1995, che non vi era obbligo di pubblicazione del decreto di revoca dell’autorizzazione a Reno S.p.a. o di altre specifiche attività informativa e che, quindi, non vi è omissione sanzionabile.

Afferma che ricavare dalle formulazioni generali della L. 23 novembre 1939, n. 1966, art. 2, e R.D. 22 aprile 1940, n. 531, art. 3, le vincolanti prescrizioni “informative” ipotizzate dalla corte d’appello significa costruire dopo il fatto, in via giurisprudenziale e in base alle caratteristiche storiche del fatto stesso, il parametro normativo che dovrebbe regolare il giudizio causale: laddove è evidente che il giudizio causale non può che essere basato su un criterio normativo necessariamente sussistente (se sussistente) ex ante.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, “ulteriore violazione dell’art. 40 c.p. e art. 2043 c.c.; artt. 115 e 116 c.p.c. e della L. 23 novembre 1939, n. 1966, art. 2, e R.D. 22 aprile 1940, n. 531, art. 3; violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per omissione totale di motivazione su punti di fatto decisivi”.

Rileva di aver sempre eccepito che tutti gli strumenti a disposizione erano stati posti in essere e che non si comprendeva quale fosse il rischio contro il quale non sarebbe stata svolta adeguata attività, anche perchè era stato rilevato un disordine amministrativo-contabile, ma non anche uno stato di insolvenza; era irrilevante la riconducibilità indiretta di entrambe le fiduciarie a S. (tanto più che, dopo la revoca dell’autorizzazione a Reno, era stata prevista la nomina di un commissario permanente presso Previdenza).

Lamenta che è comunque mancata ogni motivazione sul nesso tra informazioni omesse e danno.

4. Occorre preliminarmente rilevare che la notifica del ricorso nei confronti dell’appellato contumace U.N. risulta avvenuta presso il domicilio dallo stesso eletto per il primo grado di giudizio in cui si era costituito e, precisamente, all’indirizzo del difensore (Avv. Paola Pampana) cui era stata conferita procura per tale grado.

Poichè, però, il domicilio eletto rileva solo nel grado in cui è stato scelto e deve escludersi, dal tenore letterale dell’atto, che nella specie la procura o anche solo la contestuale elezione di domicilio siano stati conferiti anche per il successivo grado di giudizio, la notifica medesima deve considerarsi nulla, anche se non inesistente.

Il collegamento del domiciliatario alla parte evocata in causa almeno nel primo grado comporta infatti la nullità e non l’inesistenza della notificazione del ricorso (v. ex multis Cass. Sez. U. n. 14916 del 20/07/2016; Cass. Sez. U, Ordinanza interlocutoria n. 10817 del 29/04/2008; Cass. n. 11485 del 11/05/2018; n. 16952 del 25/07/2006; n. 7818 del 04/04/2006), della quale va pertanto disposta, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., la rinnovazione, da eseguirsi nei confronti dell’ U., nella residenza o nel domicilio dello stesso, nel termine perentorio di cui al dispositivo.

5. La necessità di provvedere a tale incombente non esclude che possa al contempo anche fin d’ora esaminarsi il tema del decidere e rilevare la sussistenza delle condizioni per la remissione del ricorso al Primo Presidente per le determinazioni di competenza in ordine al contrasto di giurisprudenza che – come segnalato, in memoria, dal ricorrente – in effetti si profila con riferimento alla questione posta dal primo motivo di ricorso.

Quale che sia, invero, il riscontro che sarà dato a detto ordine di rinnovazione (e senza pregiudizio, naturalmente, di ogni diversa eventuale valutazione delle Sezioni Unite anche sui presupposti di tale ordine), la questione si porrà comunque come rilevante ai fini del decidere, quanto meno con riferimento agli altri investitori che, non legati da litisconsorzio necessario, sono stati già ritualmente evocati nel presente giudizio.

La rilevanza della questione è data poi, con ogni evidenza, dall’afferire essa ad eccezione di prescrizione della domanda risarcitoria e dunque a passaggio logico dell’iter decisionale preliminare e potenzialmente assorbente: e, poichè nulla lo preclude, un ordine di rinnovazione di notifica del ricorso per cassazione ad uno degli intimati, che sia contestuale alla rimessione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite, va qualificato legittima estrinsecazione dei principi di ragionevole durata del processo e di concentrazione del giudizio di legittimità.

6. Il contrasto.

Come si diceva, sulla questione posta dal primo motivo – ossia sulla possibilità di estendere, ex art. 1310 c.c., comma 1, all’azione risarcitoria nei confronti dell’ente (MI.S.E. o Consob) tenuto alla vigilanza su società finanziaria, l’effetto interruttivo/sospensivo della prescrizione ex art. 2943 c.c., comma 2, e art. 2945 c.c., comma 1, della domanda di insinuazione al passivo della procedura concorsuale cui la società stessa sia sottoposta – si registra in effetti un contrasto di giurisprudenza.

Il contrasto è oggetto di segnalazione dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo (Rel. n. 36 del di 8 maggio 2020), relativa a due pronunce pubblicate a distanza di meno di un mese l’una dall’altra, entrambe rese dalla terza Sezione civile di questa Corte.

Si tratta di:

– Cass. sent. 21/02/2020, n. 4683: causa trattata all’udienza pubblica del 10/09/2019;

– Cass. ord. 11/03/2020, n. 7016: causa trattata nell’adunanza camerale del 19/12/2019.

6.1. La prima riguarda fattispecie identica a quella oggetto del ricorso in esame: pretesa risarcitoria di duecentonovantanove risparmiatori nei confronti del MISE per omessa vigilanza sulle società di gestione fiduciaria Reno e Previdenza: domanda accolta in primo grado, rigettata in appello (quella di alcuni investitori) per intervenuta prescrizione.

La S.C. esclude la cassazione di tale decisione, dichiarando inammissibile (poichè introducente questione non trattata in appello) e, comunque, infondato il (quarto) motivo di ricorso dei risparmiatori con il quale essi invocavano l’effetto interruttivo/sospensivo della presentazione della domanda di ammissione al passivo nella procedura di l.c.a. della Reno S.p.a..

Questi in sintesi gli argomenti a supporto della valutazione (come detto, però, sviluppata ad abundantiam) di infondatezza del motivo:

– la domanda di ammissione al passivo del credito vantato nei confronti della società assoggettata alla procedura concorsuale (che ha natura contrattuale) non può interrompere anche la prescrizione del (diverso) diritto (di natura risarcitoria) fatto valere nei confronti del Ministero;

– il Ministero, infatti, non risponde dell’obbligazione di restituzione dei capitali investiti, oggetto della domanda di ammissione al passivo dalla società finanziaria, ma risponde (a diverso titolo, e cioè ai sensi dell’art. 2043 c.c.) esclusivamente del danno causato agli investitori, in virtù di una specifica condotta propria, per non avere impedito lo svolgimento dell’attività finanziaria da parte della società divenuta insolvente;

– non si tratta di obbligazioni solidali, poichè il diritto risarcitorio fatto valere dagli investitori nei confronti del Ministero non solo è un diritto di natura diversa rispetto a quello fatto valere nei confronti della società (quale obbligata alla restituzione dei capitali investiti) in sede di ammissione al passivo, ma ha anche un oggetto totalmente diverso: si tratta del diritto al risarcimento, richiesto ai sensi dell’art. 2043 c.c., derivante dall’omessa vigilanza sulla società finanziaria e dall’omessa tempestiva revoca dell’autorizzazione alla stessa ad operare; la responsabilità del Ministero non ha, invece, ad oggetto l’adempimento del contratto di amministrazione fiduciaria del denaro conferito alla società dall’investitore, ma il danno derivato ai singoli investitori per avere essi stipulato tale contratto con una società inaffidabile, la quale non vi ha adempiuto (e nei limiti in cui non lo abbia fatto);

– si tratta, quindi, di ipotesi diversa da quella del concorso tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale in cui un determinato danno di cui si chiede il risarcimento sia imputabile a due diversi soggetti, di cui uno solo si trova in rapporto obbligatorio con il danneggiato (eventualmente avendo, in virtù di tale rapporto, uno specifico obbligo di impedire l’evento dannoso), mentre l’altro non si trova in tale relazione e risponde del medesimo danno solo in base al generale precetto del neminem laedere;

– è dunque diverso non solo il fatto imputabile all’uno ed all’altro dei soggetti responsabili, ma anche il danno conseguente e, dunque, i diritti fatti valere hanno oggetto, titolo e contenuto diversi, oltre ad avere comportato la lesione di interessi diversi del danneggiato, a prescindere dalle interferenze che possano esistere in ordine al conseguimento della soddisfazione dei rispettivi (differenti) crediti;

– la responsabilità risarcitoria del Ministero, infatti, sussiste solo nella misura in cui il credito contro la società non possa trovare soddisfazione; ma ciò non comporta trattarsi del medesimo diritto, con solidarietà tra i diversi obbligati; il nesso tra i due diritti, che restano distinti e autonomi, e quindi tra le due azioni volte a farli valere in giudizio, si manifesta esclusivamente nella necessità di liquidare il danno, nell’azione di responsabilità, tenendo conto (eventualmente con un giudizio prognostico futuro) delle prospettive di recupero del credito contrattuale nei confronti della società, in quanto – come già sottolineato – il pregiudizio subito dagli investitori in conseguenza della condotta illecita imputabile al Ministero consiste esclusivamente nella differenza tra il credito del singolo investitore nei confronti della società finanziaria e la parte di esso effettivamente recuperabile da quest’ultima.

6.2. La seconda pronuncia riguarda un caso in cui la pretesa risarcitoria per omessa vigilanza è diretta contro la Commissione nazionale per le società e la borsa – Consob.

La questione di diritto affrontata è nondimeno identica e riceve soluzione opposta a quella descritta: la domanda di ammissione al passivo della procedura concorsuale della società di gestione produce effetto interruttivo/sospensivo della prescrizione anche della pretesa risarcitoria fatta valere nei confronti della Consob, la quale è stata convenuta per omissioni analoghe a quelle ascritte al Ministero di volta in volta competente.

Questi gli argomenti:

– la decorrenza del termine prescrizionale, nonchè la sua interruzione, vanno considerate in relazione all’unico fatto dannoso subito dagli attori, rappresentato dalla perdita dei risparmi affidati alle società di gestione, di cui gli attori chiedono, a vario titolo, ristoro; la prospettiva, difatti, deve essere riferita al danno in concreto causato alla parte danneggiata;

– la diversa natura del “credito restitutorio” (relativo al capitale investito) oggetto della insinuazione al passivo di cui si chiede integrale restituzione, e del “credito risarcitorio”, fatto valere nei confronti di Consob, non costituisce valida ragione di discrimine (circa l’operatività dell’estensione dell’effetto interruttivo ex art. 1310 c.c., n.d.r.), posto che non corrisponde alla giusta prospettiva di valutazione dell’azione proposta dagli investitori;

– la distinzione attiene tanto alla causa petendi, atteso che gli obblighi restitutori sono ricollegati a fatti costitutivi che prescindono dalla violazione di obblighi di condotta imputabili a titolo di dolo o colpa e dalla verificazione di un danno ingiusto (e dunque prescindono dal titolo di responsabilità del soggetto tenuto alla restituzione), quanto al petitum, limitato -quantitativamente- nella pretesa restitutoria all’oggetto della prestazione in natura da ripetere od alla cosa determinata da recuperare od al controvalore di essi; mentre nel risarcimento del danno non si chiede (soltanto) il ripristino dello status quo ante (ossia della medesima situazione statica del patrimonio di un soggetto considerato in determinato momento anteriore all’illecito), ma si chiede il ristoro integrale di una situazione patrimoniale -compromessa dalla condotta illecita- nella sua “evoluzione dinamica”, da valutarsi, pertanto, non soltanto in relazione ai decrementi subiti, ma anche in relazione agli incrementi di valore che il patrimonio del danneggiato avrebbe potuto conseguire -con elevato grado di certezza ex art. 1223 c.c. in assenza dell’illecito;

– nella prospettiva di chi agisce, tuttavia, il risultato finale cui le due azioni tendono viene a sovrapporsi, non solo nel caso in cui i fatti costitutivi delle domande si cumulino nella medesima fattispecie concreta, ma anche in quello in cui si abbia una coincidenza tra la res oggetto della restituzione ed il pregiudizio patrimoniale arrecato dall’illecito civile, con la conseguenza, in tal caso, che la evidenziata distinzione concettuale delle due azioni non consente di scindere l’oggetto dei due diritti di credito, che viene pur sempre -almeno in parte- ad identificarsi nel minimo comune denominatore della reintegrazione della diminuzione patrimoniale corrispondente alla prestazione od al bene da restituire;

– ne discende, in tali casi, che deve essere ravvisata la unitarietà dell’evento pregiudizievole, idoneo a fondare la responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. di tutti i soggetti la cui condotta ha concorso, secondo il nesso di causalità materiale previsto dall’art. 41 c.p., a produrre il medesimo eventus damni, tutte le volte in cui quest’ultimo, nel suo atteggiarsi fenomenico, implichi una effettiva coincidenza tra l’oggetto della restituzione ed il danno risarcibile o, comunque, la continenza del primo nel secondo;

– la diversità delle condotte illecite e dei soggetti che le hanno poste in essere, è circostanza del tutto indifferente alla integrazione della fattispecie di cui all’art. 2055 c.c., atteso che l’unica questione rilevante ai fini della responsabilità solidale dei soggetti che hanno contribuito alla produzione dell’eventus damni, attiene alla verifica del rapporto di causalità materiale, ex art. 41 c.p., tale per cui tutte le cause concorrenti, preesistenti, simultanee o sopravvenute, debbono ritenersi parimenti determinanti, ove non accertata l’esclusiva efficienza causale di una di esse;

– viene in tal senso richiamato il consolidato principio di diritto, enunciato da questa Corte, secondo cui “l’unicità del fatto dannoso richiesta dall’art. 2055 c.c. ai fini della configurabilità della responsabilità solidale degli autori dell’illecito va intesa in senso non assoluto, ma relativo, sicchè ricorre tale responsabilità, volta a rafforzare la garanzia del danneggiato e non ad alleviare la responsabilità degli autori dell’illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel campo penalistico, l’assenza di un collegamento psicologico tra le stesse. Deve, altresì, escludersi, a norma dell’art. 41 c.p., comma 2, l’imputabilità del fatto dannoso a taluno degli autori delle condotte illecite esclusivamente nel caso in cui a uno solo degli antecedenti causali debba essere riconosciuta efficienza determinante ed assorbente, tale da escludere il legame eziologico tra l’evento dannoso e gli altri fatti, relegati al rango di mere occasioni, mentre non contrasta con tale principio la disposizione dell’art. 187 cpv. c.p., la quale, statuendo per i condannati per uno stesso reato l’obbligo in solido al risarcimento del danno, non esclude ipotesi diverse di responsabilità solidale di soggetti che non siano colpiti da alcuna condanna o siano colpiti da condanna per reati diversi o siano taluni colpiti da condanna e altri no” (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7507 del 04/06/2001; id. Sez. 1, Sentenza n. 13272 del 07/06/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 17397 del 08/08/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 6041 del 12/03/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 20192 del 25/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 18899 del 24/09/2015; id. Sez. 3, Ordinanza n. 18753 del 28/07/2017; id. Sez. 3, Ordinanza n. 23450 del 28/09/2018);

– il caso di specie non può essere assimilato a quello in cui è stato affermato che “la domanda proposta per chiedere l’adempimento di un’obbligazione per legge, o per convenzione o per atto dell’autorità, non vale ad interrompere la prescrizione della azione, successivamente esperita, di arricchimento senza causa”, essendo in tale fattispecie valevole il suddetto principio in ragione della diversa natura dell’indennizzo richiesto a una parte diversa da quella inizialmente citata a titolo contrattuale (cfr. Cass. sez. 3, n. 5575 del 9.04.2003; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6570 del 29/03/2005; Cass. Sez. 3, sentenza n. 24540 del 20/11/2009).

7. Può osservarsi che il nucleo della questione sul quale ricade il contrasto si concentra sulla possibilità (negata nella sentenza n. 4683 del 2020 ed affermata invece nell’ordinanza n. 7016 del 2020) di individuare, indipendentemente dalla diversità di causae obligandi (ritenuta a ben vedere non decisiva nemmeno dalla prima delle dette pronunce), un oggetto effettivamente identico nelle due obbligazioni. Secondo la sentenza n. 4683 del 2020 la diversità dell’oggetto sussisterebbe (soprattutto in ragione del fatto che “il pregiudizio subito dagli investitori in conseguenza della condotta illecita imputabile al Ministero consiste esclusivamente nella differenza tra il credito del singolo investitore nei confronti della società finanziaria e la parte di esso effettivamente recupera bile da quest’ultima”) e sarebbe ragione ostativa all’applicazione degli artt. 2055 e 1310 c.c..

Secondo l’ordinanza n. 7016 del 2020, invece, tale diversità non vi sarebbe, essendovi piuttosto “coincidenza tra la res oggetto della restituzione ed il pregiudizio patrimoniale arrecato dall’illecito civile” ed essendo conseguentemente unico (o unitario) l’evento pregiudizievole.

8. I precedenti.

Diverse pronunce sono rinvenibili sulla stessa questione, tutte per vero conformi all’indirizzo accolto da Cass. n. 7016 del 2020, rispetto al quale l’arresto di Cass. n. 4683 del 2020 costituisce, dunque, può dirsi, il solo precedente difforme.

Per completezza va rimarcato che sul nucleo del contrasto come sopra individuato raramente si rinvengono indicazioni altrettanto significative e si riscontra anche un distinguo (volto a rimarcare che su di esso il caso affrontato non dava modo di pronunciarsi) nel precedente di Cass., Sez. 3, ord. n. 1070 del 17/01/2019, richiamata come s’è detto anche nella sentenza qui impugnata e relativa ad un caso per il resto sovrapponibile a quello esaminato dalla ord. n. 7016 del 2020, relativo a pretesa risarcitoria avanzata nei confronti della Consob.

Nella motivazione di tale ordinanza, infatti, si precisa che “la pretesa restitutoria è effettivamente estranea al debito risarcitorio, in quanto trova fondamento non in un danno ma nella mancanza di causa (originaria o sopravvenuta) del pagamento eseguito. Il giudice di merito non ha però accertato che con l’insinuazione al passivo sia stata svolta una mera istanza di ripetizione di indebito. Ciò che è stato accertato è l’esistenza di un danno derivante dalla condotta dei de Asmundis (pag. 6 della sentenza) e la provenienza del debito di questi ultimi da un rapporto obbligatorio (pag. 16). Il giudice di merito ha dunque riconosciuto l’esistenza di un danno derivante dalla condotta dell’agente di cambio il cui titolo di responsabilità, stante l’evidenziato rapporto obbligatorio, risiede nel contratto”.

A tale precedente si richiamano poi le sentenze nn. 22164 del 05/09/2019 e 22524 del 10/09/2019, entrambe relative a domanda risarcitoria proposta nei confronti della Consob.

In entrambe dette sentenze si dichiara espressamente di condividere gli “orientamenti già presenti nella giurisprudenza di questa Corte… ai quali intende dare continuità” e significativamente si evidenzia che non si ritiene necessaria, “in assenza di effettivi e persistenti contrasti, una rimessione delle questioni implicate… ai sensi dell’art. 374 c.p.c.”.

Sono in proposito richiamati, oltre come detto a Cass. Ord. n. 1070 del 2019, e tra più numerosi altri riguardanti però fattispecie non pienamente sovrapponibili, i precedenti di Cass., Sez. 3, 29/05/2018, n. 13365 e Cass., Sez. 1, 12/04/2018, n. 9067, entrambi invece relativi a fattispecie identiche in tema di azione risarcitoria nei confronti della Consob per omessa vigilanza.

Solo il primo di essi (Cass. n. 13365 del 2018) si occupa, però, del problema della estendibilità, all’azione risarcitoria nei confronti di Consob, dell’effetto interruttivo/sospensivo della domanda di insinuazione al passivo della procedura concorsuale della finanziaria infedele sottoposta alla sua vigilanza.

Al riguardo, proprio sul tema centrale del contrasto qui segnalato, la sentenza svolge le seguenti considerazioni:

“Non può… escludersi, pur nella rilevata distinzione concettuale delle due azioni, che il risultato finale cui le stesse tendono possa praticamente venire a sovrapporsi, in particolare nel caso in cui i fatti costitutivi delle domande vengano a cumularsi nella medesima fattispecie concreta (la risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive, non di durata, può dare luogo contemporaneamente all’obbligo di restituzione della prestazione eseguita nonchè all’obbligazione risarcitoria della parte inadempiente colpevole), ovvero nel caso in cui si abbia una coincidenza tra la res oggetto della restituzione ed il pregiudizio patrimoniale -oggetto di risarcimento-arrecato dall’illecito civile.

“In tal caso, infatti, l’obbligo di restituzione” della res, ad esempio illecitamente sottratta (art. 185 c.p.), se non risulta già interamente coincidente con la “obbligazione risarcitoria”, è comunque idoneo ad assolvere, ed in parte elidere, anche tale obbligazione (in forma specifica ex art. 2058 c.c.), con la conseguenza che la evidenziata distinzione concettuale delle due azioni non consentirà di scindere l’oggetto dei due diritti di credito, che verrà pur sempre -almeno in parte- ad identificarsi nel minimo comune denominatore della reintegrazione della diminuzione patrimoniale corrispondente alla prestazione od al bene da restituire.

“Costituisce logico corollario… che, nel caso in cui vengano a cumularsi, nella medesima fattispecie produttiva della perdita patrimoniale, plurime e distinte condotte, anche riferibili a soggetti giuridici diversi, alcune sanzionate con la responsabilità civile (contrattuale od extracontrattuale) ed altre invece anche non qualificabili illecite, ma che obbligano comunque alle restituzioni, deve essere ravvisata la unitarietà dell’evento pregiudizievole -idoneo a fondare la responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. di tutti i soggetti la cui condotta ha concorso, secondo il nesso di causalità materiale previsto dall’art. 41 c.p., a produrre il medesimo eventum damni- le volte in cui quest’ultimo nel suo atteggiarsi fenomenico implichi una effettiva coincidenza tra l’oggetto della restituzione ed il danno risarcibile o comunque la continenza del primo nel secondo”.

Nello stesso senso va ancora segnalato il precedente di Cass., Sez. 1, sent. 13/07/2017, n. 17353, in ipotesi di azione risarcitoria nei confronti del Ministero del lavoro per danno da omessa vigilanza di cooperativa svolgente attività di raccolta del risparmio e di intermediazione finanziaria senza autorizzazione.

Anche nel caso esaminato da tale pronuncia si faceva questione dell’estendibilità all’azione risarcitoria dell’effetto interruttivo della domanda di insinuazione al passivo di procedura concorsuale e ad essa la S.C. ha dato risposta affermativa affermando che “anche verso i soggetti corresponsabili si produce, invero, l’effetto interruttivo, loro esteso dall’art. 1310 c.c.. La norma opera tra soggetti coobbligati solidali, indifferentemente a titolo contrattuale ed extracontrattuale (Cass. 19 febbraio 1999, n. 1415; 14 marzo 1996, n. 2120), postulando la solidarietà passiva, prevista a favore del danneggiato nell’ipotesi di fatto dannoso imputabile a più persone, l’unicità del danno configurabile, pur in presenza di più azioni od omissioni costituenti illeciti distinti (Cass. 18 luglio 2002, n. 10403). In particolare, la presentazione dell’istanza di insinuazione al passivo fallimentare, equiparabile alla domanda giudiziale, determina, ai sensi dell’art. 2945 c.c., comma 2, l’interruzione della prescrizione del credito, con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura concorsuale, anche nei confronti del condebitore solidale del fallito, ex art. 1310 c.c., comma 1, (Cass. 30 agosto 2016, n. 17412; 17 luglio 2014, n. 16408; 20 novembre 2002, n. 16380)”.

9. In conclusione, reputa il Collegio che il ricorso, fermo l’ordine di rinnovazione della sua notifica nei confronti di U.N., debba fin d’ora essere rimesso all’esame del Primo Presidente affinchè valuti l’opportunità di rimettere alle Sezioni Unite, con la cognizione del ricorso stesso e dei suoi motivi, la composizione del segnalato contrasto, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, prima ipotesi.

P.Q.M.

ordina la rinnovazione della notifica del ricorso nei confronti di U.N. fissando a tal fine termine perentorio di giorni sessanta dalla comunicazione della presente ordinanza; rimette fin d’ora il ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della risoluzione del contrasto di cui in motivazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2021

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