Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18813 del 16/07/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 18813 Anno 2018
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: DI PAOLANTONIO ANNALISA

ORDINANZA

sul ricorso 7301-2013 proposto da:
COMUNE DI SERRADIFALCO C.F. 00136780855, in persona
del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, PIAZZA MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio
dell’avvocato LIVIO ALESSI, rappresentato e difeso
dall’avvocato ANTONIO CAMPIONE, giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2018

GENCO FILIPPO, BARONE ASSUNTA;
– intimati –

1216

avverso la sentenza n. 495/2011 della CORTE D’APPELLO
di CALTANISSETTA, depositata il 21/03/2012 R.G.N.
381/2009.

Data pubblicazione: 16/07/2018

R.G. 7301/2013

RILEVATO CHE
1. la Corte di Appello di Caltanissetta ha respinto l’appello del Comune di Serradifalco
avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che, in parziale accoglimento delle
domande proposte da Filippo Genco e Assunta Barone, aveva dichiarato il diritto dei
ricorrenti a vedersi riconoscere, ai fini della quantificazione dell’indennità di fine servizio,
l’attività lavorativa prestata «in posizione di fuori ruolo a tempo indeterminato»
rispettivamente dal 25 gennaio 1978 e dal 10 febbraio 1976;

difetto di giurisdizione del giudice ordinario, rilevando che l’indennità premio di servizio
ha natura previdenziale e non retributiva, e ha ritenuto inammissibili le censure che
prospettavano questioni nuove, atteso che nel giudizio di primo grado il Comune si era
limitato ad eccepire il difetto di giurisdizione, la prescrizione dei crediti, l’infondatezza
della pretesa sotto l’unico profilo della mancata precisazione del quantum;
3. il giudice di appello ha ritenuto, pertanto, di non potere esaminare i motivi con i quali
l’appellante aveva per la prima volta dedotto che l’esistenza di un valido rapporto di
pubblico impiego non poteva essere desunta dalla delibera n. 147 del 1991 e che gli
originari ricorrenti avevano rinunciato in via transattiva a far valere pretese relative al
rapporto di lavoro;
4. la Corte territoriale ha escluso che fosse maturata l’eccepita prescrizione, perché il
Comune aveva rinunciato ad avvalersi della prescrizione nel momento in cui aveva
riconosciuto l’anzianità di servizio dei ricorrenti e proceduto alla regolarizzazione
contributiva per il periodo 1982/1991 e comunque perché la cessazione dal servizio si era
verificata in data 10 gennaio 2000, allorquando gli appellati erano transitati nei ruoli dello
Stato, ed il diritto era stato esercitato prima della maturazione del quinquennio mediante
validi atti interruttivi;
5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Comune di Serradifalco
sulla base di otto motivi, ai quali Filippo Genco e Assunta Barone non hanno opposto
difese;
6. con decreto del 7 ottobre 2013 il ricorso è stato assegnato dal Primo Presidente alla
Sezione Lavoro ex art. 374 comma 1 cod. proc. civ.;
7.

con istanza depositata il 21 marzo 2018 il ricorrente ha domandato il rinvio

dell’adunanza, finalizzato «a consentire di chiedere un duplicato della ricevuta di ritorno»
comprovante l’avvenuta notifica del ricorso.

CONSIDERATO CHE
1. il primo motivo di ricorso denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione degli
artt. 112,132, 2 0 comma n. 4, 281 sexies cod. proc. civ. per non avere la Corte

2. la Corte territoriale ha rigettato il motivo con il quale era stata riproposta l’eccezione di

territoriale pronunciato sul motivo di appello con il quale era stata eccepita la nullità della
sentenza di primo grado per assoluta insufficienza della motivazione;
2. la seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., evidenzia che
l’omessa pronuncia sul motivo di appello inerente una questione pregiudiziale integra
anche «omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio»;
3. con la terza critica si addebita alla sentenza impugnata la violazione dell’art. 69, 7 0
comma, del d.lgs. n. 165/2001 in quanto trattandosi di diritti che potevano essere
azionati a far data dal 31 ottobre 1991, ossia dalla delibera con la quale il rapporto di
lavoro era stato riconosciuto, doveva essere dichiarata la giurisdizione del giudice

attinenti al periodo del rapporto di lavoro antecedente al 30 giugno 1998;
4. il quarto motivo denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la
violazione degli artt. 2948, nn. 4 e 5, e 2935 cod. civ. perché, anche a voler riconoscere
alla deliberazione di Giunta Municipale n. 166 del 17 marzo 1993 « un effetto ricognitivo
e non meramente esecutivo», la prescrizione sarebbe comunque maturata il 17 marzo
1998;
5. con la quinta censura il Comune ricorrente addebita alla Corte territoriale di avere
violato l’art. 112 cod. proc. civ. nel porre a fondamento della decisione una circostanza,
ossia l’asserito passaggio nei ruoli dello Stato a far tempo dal

10 gennaio 2000, mai

dedotta dalle parti e non risultante dagli atti di causa;
6. la sesta critica, rubricata «violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per omessa, insufficiente
o contraddittoria motivazione», è volta a sostenere che comunque il passaggio nei ruoli
dello Stato non poteva essere valorizzato per respingere l’eccezione di prescrizione
giacché a quella data il diritto era già prescritto;
7. il settimo motivo denuncia «violazione dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. in relazione alle
norme contenute nell’art. 414 n. 4 c.p.c. e nell’art. 112 c.p.c. non avendo la Corte
territoriale valutato il motivo di appello inerente la omessa indicazione da parte dei
ricorrenti/appellati dei presupposti di fatto e delle norme giuridiche su cui si fondavano la
pretesa sostanziale e la domanda processuale»;
8. infine con l’ottava censura si addebita alla sentenza impugnata la violazione del d.P.R.
n. 3/1957 e dell’art. 2697 cod. civ., «non avendo la Corte territoriale rilevato ex officio la
nullità insanabile della Delibera di Consiglio Comunale n. 147/1991 in quanto non idonea
alla costituzione di un rapporto di pubblico impiego» che presuppone il pubblico concorso,
la cui assenza deve essere rilevata dal Giudice anche d’ufficio;
9. i motivi non possono essere scrutinati perché il ricorso è inammissibile, non avendo il
ricorrente provveduto al tempestivo deposito dell’avviso di ricevimento del piego
raccomandato;
10. le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che «in caso di mancata produzione
dell’avviso di ricevimento ed in assenza di attività difensiva da parte dell’intimato il

9

amministrativo, al quale il legislatore ha attribuito la cognizione delle controversie

ricorso per cassazione è inammissibile, non essendo consentita la concessione di un
termine per il deposito e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della
notificazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ. » ( Cass. S.U. 14.1.2008 n. 627 e negli
stessi termini fra le più recenti Cass. 1.10.2015 n. 19623 e Cass. 30.12.2015 n. 26108);
11. con le pronunce richiamate nel punto che precede è stato precisato che l’udienza di
discussione non può essere rinviata per consentire all’impugnante di provvedere al
deposito, salvo che lo stesso ottenga la rimessione in termini che presuppone, però, la
prova della tempestiva richiesta all’amministrazione postale, a norma dell’art. 6, comma
1, della legge n. 890 del 1982 di un duplicato dell’avviso stesso ovvero dell’impossibilità,

12. sulla base del principio affermato, che va qui ribadito, deve essere respinta l’istanza
di rinvio depositata solo in data odierna, perché non sono state allegate circostanze che,
a fronte di una notificazione risalente al 15 marzo 2013, abbiano impedito di attivarsi,
provvedendo alla tempestiva richiesta del duplicato, quantomeno una volta ricevuto
l’avviso di fissazione dell’adunanza camerale, regolarmente comunicato in via telematica
agli Avv.ti Antonio Campione e Livio Alessi in data 16 gennaio 2018;
13. non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità perché Filippo Genco e
Assunta Barone sono rimasti intimati;
14. sussistono le condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002, delle
quali si deve dare atto in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Nulla sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1bis.
Così deciso nella Adunanza camerale del 21 marzo 2018

nonostante la normale diligenza, di tale attività;

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