Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18813 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 12/07/2019, (ud. 14/03/2019, dep. 12/07/2019), n.18813

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4226-2016 proposto da:

Q.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI, 268/A, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO ANTONINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato PIERGIOVANNI ALLEVA;

– ricorrente principale –

contro

COMUNE DI MARCIANA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA PAGANICA 13, presso lo

studio dell’avvocato FABIO FRANCARIO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente ricorrente incidentale –

e contro

Q.E.;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 382/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 23/07/2015 R.G.N. 389/2014;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che la Corte d’Appello di Firenze ha respinto i gravami principale ed incidentale proposti avverso la sentenza del Tribunale di Livorno con la quale, affermata la sussistenza della giurisdizione ordinaria, era stata disattesa la domanda di riammissione in servizio e condanna alle differenze patrimoniali ed al risarcimento dei danni, proposta da Q.E., già dirigente del Comune di Marciana, collocata in disponibilità ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, dopo la riformulazione ad opera della L. n. 183 del 2011, con provvedimento che la medesima riteneva illegittimo e motivato da finalità discriminatorie o di rappresaglia personale;

in fatto è accaduto che il Comune di Marciana, dopo avere conferito alla ricorrente, nel 2003, la dirigenza dell’Ufficio tecnico, con plurime attribuzioni di incarichi e di attività, avesse, nel 2012, posto in atto una riforma organizzativa in esito alla quale era stato eliminato il posto dirigenziale e le medesime funzioni erano state attribuite ad un funzionario di livello D e ciò in considerazione del modesto numero di abitanti, di alcune criticità nella gestione dei territori, della possibilità di associare i servizi con altri Comuni e del risparmio di spesa che ne sarebbe derivato;

la Corte territoriale rigettava preliminarmente l’appello incidentale in punto giurisdizione proposto dal Comune, escludendo che la lavoratrice fosse tenuta ad impugnare davanti al giudice amministrativo gli atti riorganizzativi da cui era derivato poi il suo collocamento in disponibilità il quale, avendo natura di mera gestione del rapporto, poteva essere sindacato in sede di giurisdizione ordinaria; nel merito la Corte, descritti i fatti, prendeva atto di quella che valutava come repentina inversione di politica organizzativa operata dal Comune, che però, nonostante fossero emersi elementi di incongruità, riteneva non essere censurabile, dovendosi considerare legittima la scelta di sopprimere una posizione dirigenziale al fine di realizzare un seppur modesto risparmio di spesa, tenendo anche conto che in sede giudiziale non era sindacabile l’an della scelta riorganizzativa, quanto la plausibilità della sua motivazione e la coerenza tra tale scelta e le conseguenza della stessa;

avverso la sentenza la Q. ha proposto tre motivi di ricorso, resistiti da controricorso del Comune, contenente anche due motivi di ricorso incidentale, rispetto ai quali la Q. ha depositato proprio controricorso;

il Pubblico Ministero ha presentato note scritte, nelle quali ha concluso per il rigetto del ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale, in quanto espressamente subordinato dalla stessa parte all’ipotesi di accoglimento di uno dei motivi dell’impugnativa avversaria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, sostenendo che l’essersi dichiarato eccedente un lavoratore, allorquando per lo svolgimento delle corrispondenti mansioni era comunque necessario altro addetto, integrerebbe un potere di allontanamento ad nutum del singolo addetto e renderebbe palese la carenza di un presupposto oggettivo e controllabile quale fondamento dell’esercizio dei poteri datoriali; con il secondo motivo la ricorrente assume ancora la violazione dell’art. 33 cit., per essere stata l’eccedenza dichiarata senza che le sue funzioni fossero già munite di copertura da parte di altro impiegato idoneo, come dimostrava il fatto che contestualmente era stato deliberato un futuro bando per la copertura del necessario livello D ed interinalmente vi era stata copertura delle funzioni attraverso l’utilizzazione in mansioni superiori E) di un’impiegata di livello C1, poi illegittimamente reiterata e con attribuzione infine della responsabilità del servizio in capo direttamente al Sindaco, pur privo di competenza tecnica specifica;

con il terzo motivo è dedotta l’omessa valutazione di un fatto decisivo e determinante, ovverosia del dissidio grave che stava in realtà alla radice delle scelte del Comune;

i motivi, da esaminarsi congiuntamente stante la loro connessione, sono infondati;

l’art. 33, in connessione con il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 6, delinea la disciplina delle eccedenze di personale presso la Pubblica Amministrazione, ovverosia il fondamento, qualora le ipotesi di ricollocazione parimenti previste non abbiano esito, della cessazione dei rapporti di lavoro per ragioni c.d. oggettive, cui è destinata una regolamentazione unitaria in quanto in via generale non caratterizzata, a differenza di quanto accade nel settore privato, da distinzioni a seconda del numero delle eccedenze stesse e delle dimensioni della struttura ad esse interessata;

l’interferenza tra poteri organizzativi (amministrativi) ed atti (paritetici) di gestione del rapporto ha dato corso ad una ricostruzione giurisprudenziale di questa Corte, anche a Sezioni Unite, secondo cui, poichè il datore di lavoro pubblico, a differenza di quello privato, nell’adozione di atti di autorganizzazione è vincolato al rispetto di una precisa disciplina, il provvedimento amministrativo di definizione della dotazione organica, che costituisce il necessario presupposto della misura di collocamento in disponibilità, non può essere ritenuto assolutamente insindacabile da parte del giudice ordinario, perchè l’insindacabilità resta limitata alle scelte discrezionali e non si estende alla verifica della conformità alla legge dell’atto presupposto che può essere disapplicato, nei casi in cui ne emerga l’illegittimità, per violazione di legge o per eccesso di potere (Cass. 19 dicembre 2008, n. 29818; Cass. 18 aprile 2004, n. 16175), ovverosia, secondo la dinamica propria della disapplicazione dei provvedimenti amministrativi (qui: atto organizzativo), al fine di valutare l’idoneità di essi ad incidere validamente sulle situazioni di diritto soggettivo (qui: rapporto di lavoro) che agli stessi risultano riconnessi (nel medesimo senso, v. ora anche Cass. 31 maggio 2019, n. 15008);

in sostanza, poichè l’atto di gestione del rapporto è meramente consequenziale a quello presupposto, ove il primo si riveli contrario alle regole formali e sostanziali che disciplinano l’esercizio del potere, la disapplicazione “conduce necessariamente a negare ogni effetto tra le parti all’atto generale di organizzazione, privando così di fondamento l’atto di gestione consequenziale” il che induce, quale effetto, “il pieno ripristino della situazione precedente, non potendosi ipotizzare una disapplicazione dimidiata, ristretta al solo aspetto risarcitorio” (Cass., S.U., 16 febbraio 2009, n. 3677);

tale indirizzo mantiene attualità nell’attuale contesto normativo, caratterizzato da un accentuato nesso fra gli adempimenti prescritti in tema di organizzazione degli uffici e delle dotazioni organiche e la procedura finalizzata a ridurre le eccedenze che dagli atti organizzativi eventualmente derivano, sicchè, ove il potere di organizzazione risulti non correttamente esercitato, il vizio si riflette sull’atto di gestione del rapporto e ne determina l’illegittimità;

è esattamente in questa logica che va letta la sentenza impugnata, ove si è appunto negato che il giudice potesse indagare il merito, ovverosia l’an della scelta amministrativa, ma soltanto la legittimità dell’atto riorganizzativo destinato ad incidere sul riconnesso rapporto di lavoro;

nel valutare tale legittimità la Corte territoriale, in assenza di più specifiche violazioni di legge, ha quindi apprezzato l’idoneità logica della motivazione, ritenendone la plausibilità, nonchè la coerenza tra la scelta amministrativa e le conseguenze di essa;

così facendo essa ha quindi pienamente attuato il paradigma proprio della L. n. 2248 del 1865, art. 5, All. E. (c.d. legge abolitiva del contenzioso amministrativo), verificando la sussistenza della motivazione (L. n. 241 del 1990, art. 3) e, attraverso la predetta valutazione di plausibilità e coerenza, l’assenza di elementi che potessero manifestarsi quali sintomi di eccesso di potere;

nè, sempre in tale logica giuridica di fondo, è fondato il rilievo, coltivato ancora con il ricorso per cassazione attraverso i motivi qui in esame, secondo cui non potrebbe essere dichiarata eccedentaria una risorsa solo perchè l’amministrazione voglia modificare in diminuzione la relativa dotazione organica, pur avendo ancora necessità di un addetto che svolga il corrispondente servizio e pur non essendovi nell’organigramma alcun lavoratore di adeguata qualifica, al punto che per sopperire fu attribuito lo svolgimento di mansioni superiori ad una dipendente di livello inferiore;

l’operare della P.A. mediante prestabilite dotazioni organiche (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 6), attraverso cui si manifesta il potere (macro) organizzativo di stampo pubblicistico, comporta che, ove non sussistano specifici vincoli espressi di legge, l’impostazione delle esigenze di personale e delle corrispondenti qualifiche necessarie a soddisfarle sia scelta di natura discrezionale;

pertanto, una volta deciso, per ragioni di merito attinenti al risparmio di spesa che ne consegue, di svolgere un certo servizio con personale di un certo livello, ovverosia, nel caso di specie, attraverso un funzionario in luogo di un dirigente, non ha rilievo, rispetto al collocamento in disponibilità del dirigente precedentemente preposto a quel servizio, il fatto che presso la medesima P.A. ancora non vi sia un funzionario di livello idoneo a sostituire stabilmente il medesimo secondo la nuova impostazione organizzativa;

rientra infatti nella piena discrezionalità della P.A. il dare corso immediato alla stabilita modifica organizzativa, con l’effetto di rendere di per sè eccedentaria fin da subito la risorsa dirigenziale, non potendosi imporre il mantenimento di una spesa, per quel servizio, superiore a quella che consegue alla modifica organizzativa adottata;

è pertanto irrilevante che, in esito al collocamento in disponibilità del dirigente eccedentario, il Comune, pur dopo avere deliberato un futuro bando, abbia sopperito alla predetta carenza di un funzionario attraverso l’attribuzione di mansioni superiori ad un addetto di livello inferiore, poi (a dire della Q.) illegittimamente rinnovate, o che in seguito, come afferma sempre la Q., la responsabilità dell’Area Tecnica sia stata assunta direttamente dal Sindaco;

infatti, anche a voler astrattamente ipotizzare che, nel sopperire al determinarsi della carenza di un funzionario, si fossero adottati atti in sè non legittimi, ciò non potrebbe comportare, per ragioni logiche, il risalire a ritroso di una tale illegittimità nei riguardi della prodromica scelta riorganizzativa con cui si era deciso, per le già menzionate esigenze di risparmio di spesa, di ricoprire quel servizio attraverso personale non appartenente alla qualifica dirigenziale, che dunque non può ritenersi viziata neanche per eccesso di potere e resta in sè legittima, come espressamente accertato dalla Corte territoriale;

rientra del resto nel merito insindacabile della scelta amministrativa la decisione di affrontare eventuali difficoltà nella copertura del posto meno dispendioso, a fronte dell’immediato conseguimento del risparmio di spesa perseguito;

i primi due motivi vanno quindi rigettati;

l’ultimo motivo di ricorso è invece inammissibile;

con esso si assume l’omessa valutazione motivazionale dei contrasti sorti all’interno del Comune, quale motivo effettivo, di stampo ritorsivo-discriminatorio, della scelta di procedere alla modifica organizzativa poi attuata; rispetto a tale aspetto, di cui in effetti non è menzione nella sentenza impugnata, vale il principio per cui “qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito” (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675) e nel caso di specie non solo tale trascrizione manca, ma anche nella narrativa (pagg. 9-11 del ricorso per cassazione) dei motivi di appello, non è segnalato il fatto che anche quel tema fosse stato proposto al giudice di secondo grado;

la reiezione dei motivi di ricorso principale manda assorbiti i motivi di ricorso incidentale, espressamente condizionati dalla parte all’eventuale accoglimento dei motivi di ricorso principale e non caratterizzati, anche per quanto riguarda la questione di giurisdizione, da più pronta liquidità;

alla reiezione del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale, e condanna la ricorrente principale a rifondere alla controparte le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 14 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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