Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18811 del 16/07/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 18811 Anno 2018
Presidente: BRONZINI GIUSEPPE
Relatore: CINQUE GUGLIELMO

ORDINANZA

sul ricorso 21381-2013 proposto da:
COMPUPRINT S.R.L. C.F. 09374080019, in persona del
legale rappresentante pro tempore elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA PIO XI 13, presso lo
studio dell’avvocato
rappresenta

P

VINCENZO CROCE,

rhfende

che la

aH’,Rvvo ,m-ìto

nnitamente

GIOVANNI CARAMELLO giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2018
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INELLA STRATO, BRETTI MARA, BRUNO GIOACHINO, ANCORA
LUCILLA,

ALTIERI MICHELANGELO,

FERRERO SILVANO,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 58,
presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che li

Data pubblicazione: 16/07/2018

rappresenta e difende unitamente agli avvocati SAVINA
BOMBOI, SILVIA INGEGNERI giusta delega in atti;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 227/2013 della CORTE D’APPELLO

/

di TORINO, depositata il 29/03/2013 R.G.N. 461/2012.

RG. 21381/2013

RILEVATO
che, con la sentenza n. 227/2013, la Corte di appello di Torino, in
parziale riforma della pronuncia n. 3157/2011 emessa dal Tribunale
della stessa città, ha accolto per quanto di ragione le domande
proposte da Strato Iniella, Lucilla Ancora, Michelangelo Altieri, Silvano
Ferrero, Mara Bretti e Gioachino Bruno, dipendenti della Compuprint
srl, volte ad ottenere la condanna della società al risarcimento del
danno, pari alla differenza fra la retribuzione piena prevista dal CCNL

di settore e quanto percepito a titolo di CIGS, in relazione al periodo
compreso tra il 28.2.2009 (termine ultimo previsto per l’assunzione a
seguito dell’accordo del 26.1.2007) e la data di effettiva assunzione,
nonché al risarcimento del danno per la violazione dell’accordo del
10.6.2009, con la conseguente illegittimità della sospensione in CIGS
dal 23.1.2010 (data in cui era scaduto il termine contrattualmente
previsto di sette mesi): danno da quantificarsi, per ciascuno di loro,
nelle somme pari alla differenza tra la retribuzione piena prevista dal
CCNL di categoria e quanto percepito a titolo di CIGS;

che avverso la decisione di II grado la Compuprinti srl ha proposto
ricorso per cassazione affidato a cinque motivi;

che i lavoratori hanno resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che, con il ricorso principale per cassazione, in sintesi, si censura: 1)
la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss cc, in relazione
all’Accordo del 26.1.2007 nonché l’insufficiente e contraddittoria
motivazione (art. 360 n. 3 e n. 5 cpc) perché, a differenza di quanto
ritenuto dai giudici di seconde cure, né dalle premesse dell’atto né
dalle convenzioni emergeva che vi fosse stata una individuazione
nominativa o numerica del lavoratori interessati, di talché le assunzioni
non riguardavano tutti i lavoratori ma solo una parte di essi; 2) la
violazione o falsa applicazione degli artt. 2071 e 2077 cc, in relazione
all’Accordo del 26.1.2007 nonché l’insufficiente e contraddittoria
motivazione (art. 360 n. 3 e n. 5 cpc), per avere la sentenza
impugnata violato, nel riconoscere il diritto degli originari ricorrenti ad
essere assunti in ragione della sola scansione temporale e dei criteri
numerici contenuti nell’accordo, la natura dell’Accordo stesso e la sua

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portata obbligatoria; 3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 115
cpc (art. 360 n. 3 e n. 5 cpc), per non avere considerato i giudici di
seconde cure che l’importo della retribuzione, posto alla base del
risarcimento del danno, era stato invece contestato nell’ammontare; 4)
la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cc e art. 115 cpc
nonché il difetto di motivazione in relazione ad un fatto controverso e
decisivo (art. 360 n. 3 , n. 4 e n. 5 cpc), perché non era stato tenuto in
debito conto che essa società aveva contestato in prime cure le
pretese economiche vantate dai lavoratori i quali, ove mai fossero stati

assunti, non avrebbero percepito le somme suindicate posto che
sarebbero stati collocati, ‘ senza soluzione di continuità, in cassa
integrazione con il medesimo risultato economico; 5) la violazione e
falsa applicazione degli artt. 99 e 112 cpc, nonché degli artt. 1362 e ss
cc, 20171 e 2077 cc nonché l’insufficiente e contraddittoria
motivazione (art. 360 n. 3 e n. 5 cpc), per avere erroneamente
valutato la Corte sia le ragioni poste a fondamento dell’appello che
dell’Accordo del 12.6.2009 e per avere malamente interpretato lo
stesso al momento in cui era stato scisso l’arco temporale in cui
avrebbe dovuto svilupparsi il piano riorganizzativo dell’Azienda (due
anni) con una valutazione atomistica (sulla base temporale di un anno)
non plausibile perché incompatibile con il programma stesso;

che il primo, secondo e quinto motivo, da trattarsi congiuntamente per
la loro connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati;
sono inammissibili perché, in violazione dei principi di specificità e di
autosufficienza del ricorso, non solo non sono stati riportati i testi dei
due accordi in forma integrale ma neanche le parti essenziali di essi;
quanto al secondo motivo, deve rilevarsi anche la novità della
questione prospettata atteso che, dalla pronuncia della Corte di
appello, non emerge nulla sullo specifico punto e la ricorrente non ha
precisato in che termini la questione stessa fosse stata formulata in
primo grado e come sia stata, poi, riproposta in appello; sono, inoltre,
infondati perché con le doglianze non si denunzia la violazione di
specifici criteri di ermeneutica contrattuale (letterale,

logico-

sistematico e teleologici) da parte dei giudici di seconde cure, ma ci si
limita a pretendere una diversa interpretazione non consentita in sede

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4

di legittimità in quanto attività riservata al giudice di merito (cfr. Cass
4.5.2009 n. 10232; Cass. n. 8467/2003); sui dedotti vizi di
insufficiente o contraddittoria motivazione, deve poi rilevarsi che, ai
sensi dell’art. 360 n. 5 cpc nuova formulazione, applicabile nel caso di
specie ratione temporis (sentenza impugnata depositata il 29.3.2013),
la motivazione è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando
manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti
nell’essere stata essa articolata su espressioni odo argomenti tra loro
manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi ed

obiettivamente incomprensibili (cfr. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014; Cass
n. 12928/2014): e ciò non è ‘ravvisabile nel caso in esame avendo la
Corte di merito dato una spiegazione plausibile, sufficiente e
ragionevole sia dell’accordo del 26.1.2007, dal quale ha rilevato
l’obbligo della Sfera! WWT srl di assumere i dipendenti comunque entro
il 28.2.2009, sia dell’accordo del giugno 2009, circa il limite temporale
di sette mesi, per ogni lavoratore transitato, in ordine al
coinvolgimento nel trattamento di CIGS, assunto come obbligo dalla
azienda cessionaria;

che anche il terzo e quarto motivo, da scrutinarsi unitariamente
perché connessi, sono infondati: invero, giova premettere che la
violazione di cui al precetto dell’art. 2697 cc è configurabile soltanto
nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una
parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate
da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua
valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel
ritenere che la parte onerata non abbia assolto tale onere, poiché in
questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della
prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art.
360 n. 5 cpc (cfr. per tutte Cass. 5.9.2006 n. 19064); la violazione o
falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc non può porsi per una
erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di
merito, ma rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo
abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti,
disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali o abbia disatteso,
valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali,

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1-

ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza
apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a
valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n.
13960); ove, poi, con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di
merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto, che si
assuma essere stata contestata, l’unico sindacato in proposito riservato
al giudice di legittimità è quello sulla coerenza della relativa
motivazione (Cass. n. 8467/2003) e che il principio di autosufficienza
del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata

allegata la suddetta circostanza e in quale sede e in che modo sia stata
provata o ritenuta pacifica;
che, ciò premesso, nella specie le censure riguardanti le asserite
violazioni di legge non sono meritevoli di pregio perché si risolvono, in
sostanza, nella richiesta di riesame dell’accertamento operato dalla
Corte territoriale in fatto (come sopra evidenziato in relazione allo
scrutinio dei motivi n. 1, 2 e 5) che non è deferibile al giudice di
legittimità stanti anche i limiti del controllo sulla motivazione ex art.
360 n. 5 cpc nuova formulazione. La dedotta violazione del principio di
non contestazione, attenendo ad un vizio di motivazione e non
procedurale, imponeva -per quanto sopra detto- che la doglianza non
solo si limitasse a richiamare i documenti ma che fosse indicato anche
specificamente il quomodo la contestazione fosse avvenuta sia in prime
cure che in secondo grado: e ciò al fine di evitare un soggettivismo
interpretativo, da parte del giudice di legittimità, circa la natura
effettiva della censura desumibile dai documenti richiamati e non dai
singoli punti oggetto di censura; da ultimo, va rilevato che non sono
stati neanche trascritti, nel motivo, i capitoli di prova di cui si lamenta
la mancata ammissione, impedendo, così, una verifica corretta della
loro decisività;
che alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato;
che, al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si
liquidano come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater,
del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228,
deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

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P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in
favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità che
liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli
accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, dà atto

ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.
13.
Così deciso nella Adunanza camerale del 21 marzo 2018.
Il Presidente
Dr. Giuseppe Bronzini
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della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della

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