Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18810 del 28/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/07/2017, (ud. 19/04/2017, dep.28/07/2017),  n. 18810

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8340/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

REPLAS s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

M.D., rappresentata e difesa, per procura speciale a margine

del controricorso, dagli Avv.ti Gabriele Terzi ed Alessio Petretti,

con domicilio eletto presso lo studio legale del secondo, in Roma,

via degli Scipioni, n. 268/A;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 45/22/2011, depositata in data 11 febbraio 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 aprile

2017 dal Cons. LUCIOTTI Lucio.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

– che con la sentenza in epigrafe la Commissione Tributaria Regionale del Lazio confermava la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla società contribuente avverso un avviso di accertamento con cui l’amministrazione finanziaria, all’esito del contraddittorio instaurato con la società contribuente a seguito della notifica effettuata alla stessa in data 16 aprile 2007 del processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. a conclusione della verifica fiscale generale effettuata nei confronti della predetta società, recuperava a tassazione ai fini IVA ed IRAP, relativamente all’anno di imposta 2004, componenti positivi non dichiarati, costi indeducibili e costi non di competenza, irrogando le relative sanzioni;

– che avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui ha replicato con controricorso la società contribuente che ha anche depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 1, e, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., sentenza della CTR della Lombardia n. 29/38/12, in relazione alla quale ha dedotto la formazione del giudicato esterno.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che va preliminarmente esaminata l’eccezione di giudicato esterno sollevata dalla controricorrente con riferimento alla sentenza della CTR della Lombardia n. 29/38/12, pubblicata in data 16 febbraio 2012, con la quale erano stati annullati un avviso di accertamento, un atto di contestazione di sanzioni ed una cartella di pagamento emessi nei confronti della società contribuente (nonchè di altre due società, la consolidante Tenax Holding s.p.a. e la consolidata Agritenax s.r.l.) in relazione al medesimo anno di imposta, ma ai fini IRES, sulla base delle risultanze del medesimo processo verbale di constatazione della G.d.F., notificato alla contribuente in data 16/04/2007;

– che l’eccezione è infondata non essendovi prova che la predetta sentenza sia passata in giudicato, giacchè dalla copia prodotta in atti non vi è traccia di tale elemento; al riguardo è stato affermato che “affinchè il giudicato esterno, che è rilevabile d’ufficio, possa far stato nel processo, è necessaria la certezza della sua formazione, la quale deve essere provata attraverso la produzione della sentenza con il relativo attestato di cancelleria” (Cass. n. 8478 del 2008; coni. n. 10623 del 2009), precisandosi, con riferimento al processo tributario che, “in mancanza di una previsione specifica sulla certificazione del passaggio in giudicato della sentenza, va applicato per analogia legis, secondo la previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, l’art. 124 disp. att. c.p.c., sicchè è necessario che il segretario della commissione tributaria, provinciale o regionale, certifichi, in calce alla copia della sentenza contenente la relazione della notificazione alla controparte o alla copia della sentenza non notificata, che nei termini di legge non è stata proposta impugnazione” (Cass. 21366 del 2015, n. 19135 del 2010);

– che devono, quindi, esaminarsi i motivi di ricorso proposti dalla ricorrente, il primo dei quali, con cui è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 (rectius: 132) c.p.c., e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, la nullità della sentenza impugnata in quanto contenente, con riferimento alla ripresa a tassazione dei ricavi non contabilizzati, un mero rinvio alle motivazioni della sentenza di primo grado, richiamate per relationem, senza alcuna esternazione delle ragioni di non condivisione dei motivi di appello, specificamente formulate, è fondato e va accolto;

– che, invero, i giudici di appello, hanno ritenuto di confermare la statuizione di primo grado sul presupposto che la stessa fosse “molto ben formulata, oltre ad essere analitica ed approfondita”, non presentando l’appello dell’Ufficio “elementi tali da metterne in dubbio la validità”, e quindi proseguendo il proprio argomentare con affermazioni di lapalissiana genericità, che culminano in quella secondo cui “E’ chiaro il diritto dell’Ufficio ad eseguire verifiche, ma è altrettanto chiaro che il contribuente, come ha fatto in questo caso, può portare prove, ragionamenti e spiegazioni tali da smentire le conclusioni a cui è giunto l’Ufficio”, senza che nel corpo motivazionale del provvedimento in esame vi sia la benchè minima traccia di quelle “prove, ragionamenti e spiegazioni” apportate dalla società contribuente;

– che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, una sentenza motivata per relationem – come quella in esame – può essere considerata legittima solo “ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purchè il rinvio sia operato sì da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata”, con la conseguenza che “va cassata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame” (tra le tante, Cass. n. 14786 del 19/07/2016; n. 15483 del 2008; v. anche Cass. S.U. n. 8053 del 2014,. nonchè, da ultimo, Cass., S.U., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata);

– che nel caso di specie la motivazione della sentenza non solo non è autosufficiente (nel senso che solo dalla lettura della stessa e non aliunde sia possibile rendersi conto delle ragioni di fatto e di diritto che stanno alla base della decisione)” (Cass. n. 777 del 2011), ma le considerazioni svolte di certo “non disvelano il percorso logico-giuridico seguito dal decidente” per risolvere le questioni poste con i motivi di appello – specificamente dedotti dall’Agenzia delle entrate e riprodotti, per autosufficienza, nel ricorso – non essendo all’uopo idoneo il riferimento alla statuizione di primo grado, senza indicazione delle tesi in essa sostenute dal giudice di prime cure, nè delle ragioni di condivisione; “nè può essere lasciato all’occasionale arbitrio dell’interprete integrare la sentenza, in via congetturale, con le più varie, ipotetiche argomentazioni motivazionali (cfr. Cass. civ. 5 agosto 2016, n. 16599). L’impossibilità di individuare l’effettiva ratio decidendi rende meramente apparente la motivazione della decisione impugnata, alla stregua della nozione di “motivazione apparente” innanzi delineata” (Cass. S.U. citate);

– che l’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo con cui viene dedotta la medesima questione sotto il profilo del vizio di omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

– che il terzo mezzo di cassazione, con cui è dedotta la falsa applicazione dell’art. 102 (già art. 67) D.P.R. n. 917 del 1986 e del D.M. 31 dicembre 1988, per avere i giudici di appello escluso la ripresa a tassazione delle spese di manutenzione ordinaria risultanti dalle fatture n. (OMISSIS), è infondato;

– che, invero, il citato art. 102 stabilisce, al comma 6, (con formulazione identica al previgente art. 67, comma 7) che “le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, che dal bilancio non risultino imputate ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili nel limite del 5 per cento del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili quale risulta all’inizio dell’esercizio dal registro dei beni ammortizzabili (…) L’eccedenza è deducibile per quote costanti nei cinque esercizi successivi. Per specifici settori produttivi possono essere stabiliti, con decreto del Ministro delle finanze, diversi criteri e modalità di deduzione (…)”;

– che, come condivisibilmente affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 7885 del 2016) “la disposizione normativa consente all’imprenditore di esercitare l’opzione tra la capitalizzazione delle spese incrementative, quale aumento del costo del bene ammortizzabile, ovvero la loro deduzione immediata entro i limiti quantitativi prefissati (deduzione di importo non superiore al 5% del costo complessivo dei beni ammortizzabili; deduzione dell’eccedenza per quote costanti nei cinque esercizi successivi)”, e, pertanto, è corretta in diritto l’affermazione della CTR laddove ha ritenuto interamente detraibili le spese in esame sul presupposto – neanche contestato dall’Agenzia ricorrente – che le stesse rientrassero “nel 5% del costo complessivo dei beni ammortizzabili”, mentre è errata l’interpretazione adottata dalla ricorrente nel motivo in esame, secondo cui le spese di manutenzione sostenute nella specie dalla società contribuente, in quanto di natura chiaramente incrementativa del valore dei beni immobili interessati, dovevano obbligatoriamente essere imputate ad aumento dei costi dei beni ammortizzabili e dedotti con il meccanismo previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102, comma 2, e dal D.M. 31 dicembre 1988, senza neanche specificare se nel caso in esame risultassero dal bilancio imputate ad incremento del costo dei beni cui si riferiscono;

– che è fondato, invece, il quarto motivo di ricorso, con cui è dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la CTR ha omesso di pronunciare sul motivo di appello proposto dall’Agenzia delle entrate – e riprodotto per autosufficienza nel ricorso (pag. 15) con riferimento alla indeducibilità della spesa di cui alla fattura n. (OMISSIS) emessa dal Consorzio per il nucleo industriale Rieti Cittaducale, relativa alle spese di manutenzione strade e pubblica illuminazione per il secondo semestre dell’anno 2003, per erronea imputazione nell’anno di competenza;

– che, conclusivamente, in accoglimento del primo e quarto motivo di ricorso la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione, che provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

 

accoglie il primo e quarto motivo di ricorso, assorbito il secondo e rigettato il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2017

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