Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18810 del 16/07/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 18810 Anno 2018
Presidente: BRONZINI GIUSEPPE
Relatore: CINQUE GUGLIELMO

ORDINANZA

sul ricorso 18917-2013 proposto da:
TRITINI PAOLA C.F. TRTPLA60B441608E, in qualità di
titolare dell’esercizio commerciale TABACCHERIA
SCACCOMATTO, domiciliata in ROMA, PIAllA CAVOUR,
presso la Cancelleria della Corte di Cassazione,
rappresentata e difesa dall’Avvocato ROBERTO REGNI,
giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2018
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AMICO PIETRO C.F. MCAPTR59A29L920S;
– intimato –

Nonché da:
AMICO PIETRO C.F. MCAPTR59A29L920S, domiciliato in

Data pubblicazione: 16/07/2018

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della
Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli
Avvocati DALESSIO GIANLUCA, PAOLO VULPIANI giusta
delega in atti;
– con troricorrente e ricorrente incidentale –

TRITINI PAOLA C.F. TRTPLA60B441608E;
– intimata –

avverso la sentenza n. 492/2013 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 27/05/2013 R.G.N. 612/2009.

contro

RG. 18917/2013

RILEVATO
che, con la sentenza n. 492/2013, la Corte di appello di Ancona, in
parziale riforma della pronuncia del 7.10.2008 emessa dal Tribunale
della stessa città, ha condannato Paola Tritieri al pagamento, in favore
di Pietro Amico, della somma di euro 91.428,79, oltre accessori, e ciò a
titolo di restituzione dell’apporto, da parte di quest’ultimo, di un terzo
del capitale di impresa della associazione in partecipazione, costituita
da un esercizio di tabaccheria, che era stata successivamente

liquidata; la medesima Corte aveva escluso, altresì, che la prestazione
svolta dall’Amico, nell’ambito della citata impresa, fosse qualificabile
come rapporto di lavoro di natura subordinata;
che avverso la decisione di II grado Paola Tritieri, in qualità di titolare
dell’esercizio commerciale “Tabaccheria Scaccomatto”, ha proposto
ricorso per cassazione affidato a due motivi;
che Pietro Amico ha resistito con controricorso formulando a sua volta
ricorso incidentale condizionato sulla base di due motivi:

CONSIDERATO
che, con il ricorso principale per cassazione, in sintesi, si censura: 1)
la violazione e falsa applicazione degli artt. 2549 e 2553 cc, per avere
erroneamente ritenuto la Corte territoriale che il conferimento
apportato dall’Amico non fosse a fondo perduto e non ci fosse stata
alcuna pattuizione in ipotesi di recesso, quando, invece, nel contratto
di associazione in partecipazione del 10.4.2003, era stata prevista
un’apposita disciplina, rappresentata dal diritto di ottenere la
restituzione nella misura del 33% degli utili degli ultimi tre esercizi, nel
caso in esame non applicabile perché l’attività non aveva prodotto utili
bensì aveva realizzato perdite, come risultante dalla documentazione
allegata; 2) l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa
un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere la Corte di
appello tenuto conto che l’Amico era venuto meno agli accordi
sottoscritti in data 10.4.2003 recedendo anticipatamente dal contratto
e rendendosi inadempiente;
che con il ricorso incidentale condizionato, in sintesi, si denunzia: 1) la
violazione e falsa applicazione dell’art. 28 legge n. 1293/1957 nonché
degli artt. 2733, 2549, 1362, 1343, 1344 e 1418 cc, per non avere la

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Corte territoriale accolto l’eccezione di nullità del contratto di società
sottoscritto in data 10.4.2003, impropriamente denominato dalla parti
“associazione in partecipazione” mentre, in realtà, si trattava di una
vera e propria società, notoriamente vietata, per l’esercizio dell’attività
di gestione delle rivendite di generi di monopolio; 2) l’omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti,
per avere la Corte di merito omesso di considerare la confessione
giudiziale della Tritieri, in ordine alla volontà delle parti di eludere,

di associazione in partecipazione”, il divieto di cui all’art. 28 legge n.
1293/1957;
che,

preliminarmente, deve rimarcarsi che alcuna conseguenza

comporta, in ordine allo ius postulandi, la circostanza secondo la quale
l’attuale difensore della ricorrente principale, nelle fasi di merito
allorquando non svolgeva tale ruolo, era stato sentito quale testimone:
deve, infatti, richiamarsi il principio statuito in sede di legittimità (cfr.
Cass. n. 16151/2010; Cass. n. 29301/2017) in virtù del quale non vi è
alcuna base normativa ostativa a tale possibilità, salva la rilevanza di
detta condotta sul piano delle regole deontologiche;
che il primo motivo del ricorso principale è inammissibile essendo la
censura mal posta: invero, con essa si sostiene una violazione delle
disposizioni di legge ivi richiamate quando, invece, la doglianza
riguarda una dedotta errata interpretazione del contratto di
associazione in partecipazione del 10.4.2003, in assenza di una precisa
indicazione circa la violazione dei canoni legali di ermeneutica
contrattuale e di coerenza e logicità della motivazione (tra le altre
Cass. 10.2.2015 n. 2465; Cass. 14.7.2016 n. 14355) e offrendo
unicamente una formale prospettazione di un risultato diverso da
quello accolto nella sentenza impugnata;
che anche il secondo motivo è inammissibile, per difetto del requisito
di autosufficienza, non essendo stato specificato quando il fatto storico
denunciato, di cui non si fa cenno nella gravata sentenza, sia stato
oggetto di discussione tra le parti, con la indicazione precisa del
“come” e del “quando” ciò sia processualmente avvenuto nei termini

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mediante la sottoscrizione della scrittura privata denominata “contratto

esatti in cui è stato dedotto, ovvero se sul punto si sia formato un
giudicato interno in sede di appello;

che, alla stregua di quanto esposto, il ricorso principale deve essere
dichiarato inammissibile con assorbimento dell’esame di quello
incidentale formulato in via condizionata;

che, alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, segue la condanna
della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di
legittimità che si liquidano come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13,

24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, relativamente al ricorso
principale, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito il ricorso
incidentale. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del
controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in
euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura
del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori
di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel
testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente
principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma

1 bis dello

stesso art. 13.
Così deciso nella Adunanza camerale del 20 marzo 2018.
Il Presidente

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Dr. Giuseppe Bronzini

comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge

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