Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1881 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2021, (ud. 02/10/2020, dep. 28/01/2021), n.1881

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20573/2013 R.G. proposto da

Quattroemme s.n.c. dei F.lli M., in persona del legale

rappresentante pro tempore, corrente in Rutigliano (BA), nonchè da

M.V. e M.F., entrambi in proprio e in

qualità di soci, tutti con l’avv. Luigi Quercia, con domicilio

eletto in Roma al Viale del Vignola n. 5, presso lo studio dell’avv.

Livia Ranuzzi;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, ed ivi domiciliata in via dei Portoghesi, n.

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la

Puglia n. 14/05/13, pronunciata in data 13 novembre 2012 e

depositata il 05 febbraio 2013, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02 ottobre

2020 dal Consigliere Dott. Fracanzani Marcello Maria.

 

Fatto

RILEVATO

1. La società ricorrente, operante nella produzione di prodotti di panetteria, era attinta da avviso di accertamento notificatole in data 7 dicembre 2009, ove si accertavano maggiori ricavi per l’anno di imposta 2004, con conseguente recupero a tassazione a titolo di IRAP e IVA ai sensi dell’art. 85 TUIR, oltre a interessi e sanzioni. In pari data l’amministrazione finanziaria notificava ai due soci, M.F. e M.V., in ragione delle rispettive quote di proprietà, separati avvisi di accertamento ove si rideterminava a loro carico il maggior reddito derivante dalle partecipazioni societarie, e così a titolo di IRPEF, addizionali regionale e comunale oltre a interessi e sanzioni.

Insorgevano congiuntamente i tre contribuenti contestando i presupposti per gli accertamenti analitico-induttivi emessi ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56. In particolare lamentavano la nullità degli atti impositivi in ragione sia della violazione dei diritti e delle garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, sia per difetto di motivazione. Contestavano altresì la rideterminazione dei redditi stante l’inapplicabilità al caso di specie del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d).

I gradi di merito erano favorevoli all’Ufficio. In particolare la CTR respingeva la difesa del contribuente secondo cui gli avvisi di accertamento sarebbero stati emessi sulla base dei soli studi di settore, ritenendo invece dirimente l’accertata condotta antieconomica serbata dai contribuenti, anche a fronte di scritture contabili regolarmente tenute.

Ricorrono i contribuenti con sette motivi, cui replica l’Avvocatura dello Stato con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Vengono proposti sette motivi di ricorso.

1. Per omogeneità di trattazione possono essere esaminati congiuntamente i motivi terzo, quarto e settimo, legati da ragioni di connessione, appuntandosi sulla condotta antieconomica che regge l’impianto della gravata sentenza.

1.1 Più in particolare, con il terzo motivo si profila censura ex art. 360 c.p.c., n. 5 – nullità della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

In buona sostanza i ricorrenti oppongo l’assenza di una condotta antieconomica sia perchè nell’anno di imposta oggetto di accertamento (2004) i ricavi avevano superato i costi (così difettando il presupposto dell’esercizio dell’attività “in perdita”) sia perchè anche negli anni a seguire (2005, 2006, 2007 e 2008) l’attività aveva chiuso in utile.

Con il quarto motivo si denuncia vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3 nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui al D.P.R. n. 600 del 1972, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, – D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1. I ricorrenti lamentano che la CTR, avvallando la tesi dell’Ufficio, non avrebbe fatto buon governo delle norme dedotte nella parte in cui esse richiedono presunzioni gravi, precise e concordanti.

Con il settimo motivo si profila vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3 nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., ove lamenta il contribuente che gli indici fattuali di gestione societaria non sarebbero stati specificatamente contestati da parte dell’amministrazione finanziaria. Per l’effetto quei dati avrebbero dovuto essere posti a base della decisione in ragione dell’applicabilità del generale principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. anche al processo tributario.

1.2 A pag. 26 del ricorso si legge: (La CTR) “ha omesso di esaminare il fatto rappresentato dalla pretesa “antieconomicità” dell’attività svolta dalla Snc ricorrente, ignorando i plurimi elementi offerti dalla stessa a riprova della piena economicità della gestione societaria”.

Devesi previamente rilevare l’impossibilità di ricondurre l’antieconomicità al fatto storico, principale o secondario, il cui esame deve essere stato omesso, risultando essa piuttosto come manifestazione di una valutazione, di una ponderazione di fatti.

Peraltro, quand’anche si abbia riferimento agli elementi addotti dalla società per contestarne la sussistenza (chiusura degli esercizi anche per gli anni successivi secondo un utile costante) la CTR nel valutare come antieconomica la gestione dell’azienda – ha finito con l’attribuire rilievo decisivo alla circostanza che i dati esposti in dichiarazione evidenziassero come i due soci con attività prevalente nell’impresa conseguissero un reddito annuo pro capite di Euro 5.993,00 nettamente inferiore a quello dei dipendenti pari ad Euro 16.634,22″. Il fatto non è disconosciuto dagli stessi ricorrenti, che si limitano sul punto a dire che l’entità del reddito va parametrato ai ricavi, non essendovi relazione di omogeneità tra gli elementi oggetto di valutazione.

Ciò conferma che si è al di fuori del perimetro dell’attuale art. 360 c.p.c., n. 5 e che, in ogni caso, con un accertamento in fatto in questa sede non sindacabile in relazione a detto parametro, la CTR ha attribuito rilievo decisivo a tale dato, in uno agli scostamenti rilevati rispetto allo studio di settore di riferimento, donde implicitamente gli altri elementi fattuali addotti dai ricorrenti (modesti, ma crescenti utili di esercizio anche per gli anni successivi) non sono stati valutati come decisivi onde escludere l’antieconomicità della gestione dell’impresa. Ciò comporta l’inammissibilità del terzo motivo, l’infondatezza del quarto (individuando nella discrepanza fra compensi ai soci e stipendio ai dipendenti gli indizi gravi, precisi e concordanti) e del settimo motivo (essendo posto a base della sentenza i non contestati dati stipendiali, indici di anomalia nella conduzione aziendale).

2. Possono essere esaminati ora singolarmente gli altri motivi.

2.1 Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 5 – nullità della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ossia per non aver valutato le modalità di accertamento dei maggiori ricavi accertati, basate in via esclusiva sulle risultanze dello studio di settore.

Il motivo di ricorso è inammissibile.

Secondo l’insegnamento di questa Corte, da cui non v’è motivo di discostarsi, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). A tal fine costituisce un “fatto” non una “questione” o un “punto” ma un vero e proprio “accadimento storico”. Non costituiscono, viceversa, “fatti” suscettibili di fondare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame delle argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802, Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152).

Il motivo proposto non si basa su un fatto storico, quanto sulla contestata illegittimità degli avvisi impugnati giacchè i ricavi sarebbero stati erroneamente rideterminati unicamente sulla base degli studi di settore e non anche in ragione della condotta antieconomica del contribuente. Donde la sua inammissibilità.

2.2 Con il secondo motivo si prospetta vizio ex art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. – richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1. In buona sostanza i ricorrenti lamentano l’omessa pronuncia sulla eccezione di nullità degli avvisi di accertamento per effetto della mancata instaurazione del contraddittorio preliminare all’atto impositivo, obbligatorio nel caso di specie tenuto conto che i maggiori ricavi sarebbero stati determinati utilizzando i soli studi di settore.

Il motivo di ricorso è infondato.

Questa Corte ha infatti affermato che, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia e senza adeguate motivazioni da parte del contribuente, è legittimo l’accertamento su base presuntiva con conseguente rettifica delle dichiarazioni fiscali. E ciò anche quando la tenuta della contabilità sia formalmente regolare. In detti casi, peraltro, il giudice di merito deve specificare con argomenti validi le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie (Cass. V, n. 9084/2017).

Nel caso di specie, tuttavia, la CTR ha accertato che gli avvisi di accertamento sono stati emessi non tanto sulla base degli studi di settore, quanto in ragione del comportamento antieconomico dei ricorrenti, ricavato applicando gli indici di ricarico in una misura persino inferiore al minimo previsto per il settore. Per l’effetto non sussisteva, nel caso di specie, alcun obbligo di contraddittorio preliminare. Sotto diverso profilo, questa Corte ha già negato la sussistenza di un obbligo generalizzato nei termini prospettati dalla L. n. 212 del 2000. E’ stato invero affermato che tale obbligo sussiste tutt’al più per i tributi “armonizzati” riservati alla competenza Europea, mentre alcun obbligo è previso per i tributi “non armonizzati” di competenza nazionale (Cass., SS. Un., n. 24823/2015). Peraltro, se è ben vero che nel caso di specie si controverte anche in materia di IVA, non è men vero che i ricorrenti abbiano fondato la censura sui soli studi di settore omettendo, per contro, di indicare le specifiche ragioni a sè favorevoli che avrebbe potuto far valere nell’omesso contraddittorio (Cass., Sez. V, 15/01/2015 n. 701). Il motivo è pertanto infondato.

2.3 Con il quinto motivo si solleva doglianza ex art. 360 c.p.c., n. 3 – nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 37 bis. Lamentano i contribuenti che la CTR avrebbe sindacato le scelte gestionali al di fuori dei casi tassativi previsti dalla norma.

Il motivo è inammissibile, difettando nella sentenza gravata una statuizione connessa all’applicazione della norma di cui assume la falsa applicazione.

Come noto, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis ha introdotto un principio quale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuto mediante l’uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta (Cass. V, n. 4604/2014). Sennonchè non è rinvenibile, nella sentenza impugnata (e per vero nemmeno nell’originario avviso di accertamento), alcuna statuizione inerente l’istituto giuridico in commento, di guisa che non può nemmeno esserne lamentata la violazione e/o la falsa applicazione.

2.4. Con il sesto motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 – nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.. I contribuenti censurano la sentenza per aver la CTR condiviso l’operato dell’Ufficio in assenza di valide prove, escludendo l’inversione dell’onere probatorio a carico dei ricorrenti. Il motivo è inammissibile.

Parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., e quindi di una norma di diritto, ma di fatto articola il motivo di ricorso chiedendo questa Corte di rivalutare l’idoneità dei mezzi di prova offerti dalle parti nei gradi di merito. Sennonchè è principio notorio quello per cui la valutazione dei mezzi di prova è rimessa in via esclusiva al giudice di merito, salvo lo scrutinio riguardo alla congruità della relativa motivazione (tra varie, Cass. 24437/13; 16743/16).

In definitiva il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.

Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite a favore dell’agenzia delle entrate che liquida in Euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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