Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1881 del 25/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 25/01/2017, (ud. 15/12/2016, dep.25/01/2017),  n. 1881

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20458-2015 proposto da:

PROCTER & GAMBLE S.P.A, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FAVARELLI 22,

presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e

difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172,

presso lo studio dell’avvocato MICHELANGELO SALVAGNI, che lo

rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 757/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

29/01/2015, depositata il 04/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 15 dicembre 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con sentenza del 4.3.2015, la Corte di appello di Roma, in parziale accoglimento del gravarne della società Procter & Gable Italia ed in parziale riforma della decisione di primo grado – che aveva accertato la illegittimità della causale apposta al primo dei contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato concluso con C.A. e condannato la società al ripristino del rapporto con l’utilizzatore ed al risarcimento del danno – condannava la società alla corresponsione di un’indennità risarcitoria di dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, pari alla somma mensile di Euro 1464,84. Rilevava la Corte che non poteva attribuirsi valenza di espressione tacita di volontà risolutoria del rapporto instauratosi tra le parti nè al mero decorso del tempo dalla cessazione della funzionalità del rapporto fino all’offerta della prestazioni lavorative, nè ad altre circostanze prive di significatività ai fini voluti, in quanto di rilevanza neutra, quali l’avere percepito le competenze di fino rapporto o l’avere intrapreso altre esperienze lavorative nelle more.

Quanto agli altri motivi di gravame, osservava che, pur dovendo ritenersi che l’indicazione della causale “punte di più intensa attività” non fosse di per sè generica, in quanto rientrante nell’ambito delle …ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo…omissis” di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, salva la necessaria verifica di effettività, con Onere probatorio a carico della utilizzatrice, non poteva convenirsi con la società in ordine alla pretesa specificità delle sue deduzioni istruttorie.

In particolare, riteneva corretta la valutazione di genericità delle stesse compiuta dal Tribunale e anche “una certa contraddittorietà delle allegazioni e deduzioni sul punto di cui alla memoria difensiva” (pag. 9 della sentenza impugnata), per essere i capi di prova riferiti, in termini privi di puntualità, all’implementazione dei progetti da realizzare, senza alcuna indicazione, in concreto, di tempi, modi e soprattutto di limiti – temporali ed operativi – entro i quali gli stessi avrebbero dovuto svilupparsi e completarsi e di duali e quante unità lavorative supplementari (ivi incluso il C.) essi avrebbero necessitato e per quale durata.

Osservava che le allegazioni probatorie non consentivano alcuna concreta verifica di effettività della causale, indispensabile per valutare la legittimità del ricorso al tipo contrattuale prescelto, con riferimento ai dati complessivi dell’attività produttiva, essendo, anzi, emerso che il C. aveva operato su un prodotto diverso da quello asseritamente determinante l’incremento produttivo posto a base del ricorso alla somministrazione e non risultando chiarita la divergenza tra la durata del progetto e la minore durata dell’assunzione del lavoratore somministrato, destinato a non meglio precisate “attività produttive e manutentive dell’impianto”, non specificate, nè poste in effettivo, concreto e dimostrato collegamento causale con il lancio del prodotto, in relazione al quale non era neanche chiarita l’impossibilità di evadere con le risorse normalmente impiegate il dedotto conseguente incremento produttivo.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la società, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, il C..

Con il primo motivo, viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1372 e 2697 c.c., nonchè degli artt. 117 e 420 c.p.c., per avere il giudice del gravarne rigettato l’eccezione di definitivo scioglimento del rapporto per tacito mutuo consenso dei contraenti senza tener conto che il comportamento inerte delle parti evidenziava il disinteresse al suo ripristino, desumibile anche da considerazioni fondate sulla vigenza del principio volontaristico in materia negoziale e sull’esistenza di altro principio quale quello dell’affidamento, in connessione con l’esigenza della certezza dei rapporti giuridici e della buona fede in ogni fase contrattuale. Evidenzia che erroneamente la Corte del merito ha ritenuto insufficiente il solo elemento temporale, e cioè il lasso di tempo intercorso tra la cessazione del rapporto a termine e la prima contestazione, a distanza di un anno ed otto mesi, e l’inizio della azione giudiziaria a distanza di un ulteriore periodo di oltre nove mesi, pari a circa due anni e mezzo, e che era stato altrettanto erroneamente omessa ogni valutazione delle ulteriori circostanze, ivi comprese le dichiarazioni rilasciate in sede di libero interrogatorio dal C., che deponevano per il disinteresse del lavoratore all’attuazione del rapporto) con la società.

Con il secondo motivo, la società di duole della violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, art. 22, comma 2 e art. 27, comma 3 nonchè dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., sul rilievo che la sentenza della Corte d’appello non ha valutato le circostanze di cui ai capitoli di prova che avevano riguardo alle punte di più intensa attività da fronteggiare con l’utilizzazione del C., conseguenti ai richieste di mercato indifferibili o indotta dall’attività di altri settori che non era possibile evadere con le risorse normalmente impiegate, ed i documenti asseritamente prodotti indicati nella memoria di costituzione di primo grado. Rileva che, in ogni caso, il quadro probatorio tempestivamente delineato era integrabile anche con il ricorso ai poteri istruttori di ufficio del giudice del merito. Con la richiamata norma contrattuale collettiva era autorizzata la stipulazione di contratti di fornitura di lavoro temporaneo in caso di punte di più intensa attività, ciò che si era verificato presso lo stabilimento ove era stato assunto il C. adibito ad attività di movimentazioni merci in connessione con l’esigenza di adibire il personale più esperto ad attività di monitoriaggio nella prima fase di avvio dell’iniziativa che aveva portato alla modifica presso lo stabilimento di (OMISSIS) della produzione del prodotto (OMISSIS) da confezione di 1 litro in formato ridotto in relazione ad esigenze di mercato, sicchè non poteva il giudizio di merito sconfinare in valutazioni riferite alla opportunità delle scelte imprenditoriali, così come era avvenuto anche nel ritenere generici i capitoli di prova formulati, invece pertinenti e funzionali alla valutazione di effettività richiesta.

Con il terzo motivo, viene ascritta alla decisione impugnata la violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 e della L. n. 604 del 1966, art. 8rilevandosi che la quantificazione dell’indennità risarcitoria risulta erronea ed illegittima in quanto basata sul presupposto del considerevole numero dei contratti, laddove i criteri da considerare erano quelli di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8 che hanno riguardo a parametri i quali, in considerazione della peculiarità del caso, dovevano indurre la Corte alla determinazione della stessa nella misura minima.

Quanto al primo motivo, è sufficiente osservare come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto) di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v, Cass. 1011-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonchè più di recente, Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-32011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto) a termine, quindi, “è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso” (v. Cass. 15- 11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre, Cass. 1- 2-2010 n. 2279).

Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli artt. 1372 e 1321 c.c. ed all’art. 1175 c.c. richiamato, va ribadito) anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto.

Orbene, nella fattispecie la Corte d’Appello ha rilevato, con interpretazione della volontà contrattuale immune da vizi logico giuridici, che come tale di sottrae ad ogni censura come articolata nella presente sede, che la società non aveva dedotto alcuna circostanza significativa rispetto al mero decorso del tempo e che il principio sopra affermato, non potendo attribuirsi significatività alla percezione del t.f.r. senza riserve o a ipotetiche prestazioni lavorative presso terzi. Tale accertamento di fatto, compiuto dalla Corte di merito, risulta aderente al principio sopra richiamato e resiste alle censure della società ricorrente che, in sostanza, si incentrano genericamente sulla proposizione di una diversa lettura della inerzia, pur prolungata, della lavoratrice e della riscossione senza riserve, da parte della stessa, delle indennità di fine rapporto.

Quanto al secondo motivo, è pacifico che in tema di somministrazione di manodopera, il controllo giudiziario sulle ragioni che la consentono è limitato all’accertamento della loro esistenza, non potendo esso estendersi, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 3, al sindacato sulle valutazioni tecniche ed organizzative dell’ utilizzatore, il quale è tenuto a dimostrare in giudizio l’esigenza alla quale si ricollega l’assunzione del lavoratore, instaurandosi, ove tale onere non sia soddisfatto, un rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore della prestazione (Cass. 15.7.2011 n. 15610, Cass. 9.9.2013 n. 20598).

Tanto premesso, deve considerarsi che la disciplina della somministrazione di lavoro è dettata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. da 20 a 28. Il primo di tali articoli, l’art. 20, intitolato “condizioni di liceità”, definisce il contratto di somministrazione e distingue tra somministrazione a tempo determinato e a tempo indeterminato. Con riferimento alla somministrazione a tempo determinato, le condizioni di liceità sono indicate al comma 4, con questa disposizione: “la somministrazione a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività dell’utilizzatore”. L’articolo successivo, il 21, statuisce che il contratto di somministrazione di manodopera deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere una serie di elementi. Tra gli elementi necessari, il punto c) indica “i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui all’art. 20, commi 3 e 4”. Il termine “casi” è riferito al comma 3 concernente la somministrazione a tempo indeterminato, consentita nella casistica delineata ai punti da a) e i) di quel comma. Il termine “ragioni” è riferito al quarto comma, concernente il contratto di somministrazione a tempo determinato, ammesso solo in presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Tutto ciò premesso, come già osservato in precedenti di questa Corte (Cass. 8.5.1012 n. 6933) “la risposta da dare al problema concernente la necessità o meno che le ragioni del ricorso alla somministrazione siano specificate non può che essere positiva”. Invero, la normativa prevede come “condizione di liceità” che il contratto sia stipulato solo in presenza di ragioni rientranti in quelle categorie ed impone di indicarle per iscritto nel contratto, a pena di nullità (art. 21, u.c.); inoltre, l’art. 27, comma 3, sancisce che il controllo giudiziale è limitato “all’accertamento della esistenza delle ragioni” (e quindi consiste proprio in tale verifica). La conseguenza di tutto ciò è che tali ragioni devono essere indicate per iscritto nel contratto e devono essere indicate, in quella sede, con un grado di specificazione tale da consentire di verificare se rientrino nella tipologia di ragioni cui è legata la legittimità del contratto e da rendere possibile la verifica della loro effettività. L’indicazione, pertanto, non può essere tautologica, nè può essere generica. Non può risolversi in una parafrasi della norma, ma deve esplicitare il collegamento tra la previsione astratta e la situazione concreta. (cfr. in tali termini, Cass. 6933/2012 cit.).

Nel caso in esame la sentenza, tuttavia, non risulta basata sulla genericità della causale di cui al contratto di somministrazione, avendo sul punto la Corte del merito affermato che l’indicazione della causale “punte di più intensa attività” non è di per sè generica, in quanto rientrante nell’ambito delle “…ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo…” di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4 quanto piuttosto sulla genericità dei capitoli di prova articolati, che non consentivano la necessaria verifica di effettività, non precisando nel concreto, tempi, modi e, soprattutto, limiti temporali ed operativi entro i quali il progetto di automazione dedotto nella causale avrebbe dovuto svilupparsi e completarsi e quali unità lavorative supplementari, incluso il C., esso avrebbe richiesto e per quanto tempo.

Invero, è stato da questa Corte al riguardo precisato che potrebbe accadere – come appunto verificatosi nel caso all’esame – che le ragioni siano indicate nel contratto in modo specifico e perfettamente confacente a quanto richiesto dalla legge, ma che poi la concreta utilizzazione del lavoratore non abbia alcun collegamento con tali ragioni (Cass. 8 maggio 2012, n. 6933, cui si rinvia anche per i richiami).

La verifica della corrispondenza dell’impiego concreto del lavoratore a quanto affermato nel contratto è l’oggetto centrale del controllo giudiziario. Non vi sarebbe stato bisogno di una norma specifica a tal fine, perchè valgono le regole generali dell’ordinamento. Tuttavia, il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 3 precisa che il giudice, se non può sindacare nel merito le scelte tecniche, organizzative o produttive in ragione delle quali un’impresa ricorre alla somministrazione, deve orientare il suo controllo, “all’accertamento delle ragioni che (la) giustificano”, cioè che giustificano il ricorso alla somministrazione.

Il controllo giudiziario e concentrato, quindi, nella verifica della effettività di quanto previsto in sede contrattuale (sul punto, cfr., Cass. 6933 del 2012, cit.; 2521 del 2012 cit., 15610 del 2011 e, da ultimo Cass. 8120 del 2013 nei sensi riportati). Questo accertamento è di competenza del giudice di merito e quindi, se motivato in maniera adeguata e priva di contraddizioni, non può essere rivalutato in sede di legittimità.

La Corte di appello di Roma ha effettuato la verifica con riferimento alle ragioni indicate dalla società, rilevando che in realtà tali ragioni non potevano essere considerate idonee, in relazione alla genericità delle circostanze oggetto della prova per testi articolata, con riferimento alle componenti identificative essenziali della causale, sia quanto al contenuto che alla sua portata spazio temporale, che, più in generale circostanziale, in modo inidoneo a rendere possibile il controllo della loro effettività.

In concreto è stato ritenuto non assolto l’onere di allegazione e prova da parte dell’utilizzatrice, non potendo la ragione temporanea dedotta dirsi provata, senza indicazione alcuna dello stato occupazionale specifico dello stabilimento di Pomezia, con riferimento alla posizione del lavoratore somministrato, alla precisazione dell’organico ritenuto insufficiente ai fini menzionati nella causale, sì da rendere necessario il ricorso a unità supplementari somministrate per soddisfare le esigenze cui risultava finalizzata l’assunzione del C., oltre che del concreto collegamento causale dell’impiego del lavoratore somministrato in attività produttive e manutentive in relazione alla prevista destinazione di personale più esperto a non meglio precisate necessità di primo monitoraggio conseguenti al lancio del prodotto. Dovendo, altresì, ritenersi insufficiente il generico richiamo alla sussistenza delle esigenze di implementazione connesse alla nuova iniziativa di mercato avviata presso lo stabilimento in questione denominata “Spray Re-Lunch 750 ML DP&Tp Germany/Switzerland”, che avrebbe necessitato) di ulteriori adattamenti e precisazioni, come correttamente osservato dalla Corte territoriale. Anche i documenti richiamati non sono indicati con la dovuta specificazione del corrispondente contenuto per consentire la valutazione della relativa decisività ai fini considerati, in difformità da quanto ritenuto) dal giudice del merito.

Quanto agli ulteriori profili di violazione di legge dedotti, deve osservarsi che un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. può porsi, rispettivamente, solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia invertito gli oneri probatori. E poichè, in realtà, nessuna di queste tre situazioni è rappresentata nei motivi anzidetti, le relative doglianze sono mal prospettate.

Va, in Ogni caso, aggiunto, quanto ai suddetti profili di violazione di legge, che è costante l’insegnamento di questa Corte per cui il vizio di violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena di inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto) asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra Opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare i fondamento della denunziata violazione (così e per tutte, Cass. n. 16038/13).

Con riguardo al terzo motivo, va rilevato che la prospettata violazione è insussistente, posto che i parametri di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8 utili alla determinazione della indennità forfetizzata di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 risultano nella specie indirettamente richiamati, attraverso il riferimento alle dimensioni della società appellante ed al numero dei contratti stipulati con lo stesso lavoratore ed alla durata complessiva del rapporto, che è sintomatico di un comportamento dell’azienda non conforme alle regole sottese alla stipula di contratti a somministrazione a termine, oltre che di un’anzianità maturata dal lavoratore nell’ambito di un rapporto reiterato nel tempo con la stessa azienda.

Si propone, alla luce di tali considerazioni, la reiezione del ricorso della società”.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla richiamata giurisprudenza di legittimità, e che le stesse conducano complessivamente al rigetto del ricorso.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della società ricorrente e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione al difensore dichiaratosi antistatario.

Poichè il ricorso è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 si impone di dare atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sussistendo i relativi presupposti. (cfr. Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, con attribuzione all’avv. Michelangelo Salvagni.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2017

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