Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18809 del 28/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/07/2017, (ud. 19/04/2017, dep.28/07/2017),  n. 18809

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 10756 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

s.r.l. 3P, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso,

dall’avv. Rocco Isola, col quale elettivamente si domicilia in Roma,

alla via Vaglia, n. 59, presso lo studio dell’avv. Giacomo Delli

Colli;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, sezione di Latina, sezione 40^, depositata in

data 21 ottobre 2013, n. 757/40/13.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia denegò il rimborso dell’iva richiesto dalla società per l’anno d’imposta 2006 sostenendo che fosse una società di comodo e rilevando che ciononostante essa non aveva proposto l’interpello disapplicativo. La contribuente impugnò il diniego, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale.

Quella regionale ha accolto, invece, l’appello dell’Ufficio, sostenendo che la società fosse effettivamente da considerare non operativa in base alla L. n. 724 del 1994e che del tutto irrilevanti fossero le deduzioni contrarie proposte.

Contro questa sentenza propone ricorso la società per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, cui l’Agenzia non replica.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il primo motivo di ricorso, col quale la contribuente si duole dell’applicazione retroattiva della nuova formulazione della L. n. 724 del 1994, art. 30 in vigore dall’1 gennaio 2008, è infondato.

Attraverso la disciplina allestita dal testo dell’art. 30 vigente a seguito delle modifiche apportate dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 15, conv. con L. n. 248 del 2006, per il periodo d’imposta in contestazione (2006) (come stabilito dal successivo comma 16), si intende disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi – quale l’amministrazione dei patrimoni personali dei soci – da quelli previsti dal legislatore per tale istituto (cosiddette società senza impresa, o di mero godimento, dunque “di comodo”). Il meccanismo deterrente consiste nel fissare un livello minimo di ricavi e proventi correlato al valore di determinati beni patrimoniali, il cui mancato raggiungimento è elemento sintomatico della natura non operativa della società, cui consegue la presunzione di un reddito minimo, stabilito in base a coefficienti medi di redditività dei suddetti elementi patrimoniali di bilancio. Spetta poi al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando, secondo il testo della disciplina applicabile ratione temporis, l’esistenza di “oggettive situazioni di carattere straordinario”, specifiche e indipendenti dalla sua volontà, che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto.

La normativa non dà adito a dubbi di legittimità costituzionale per il fatto che si applica al periodo d’imposta in corso alla data della sua entrata in vigore, poichè si limita a stabilire una semplice presunzione superabile con la prova contraria; nè ha rilievo, di per sè, il principio stabilito dall’art. 3 dello Statuto dei diritti del contribuente, il quale non ha rango superiore alla legge ordinaria (in termini, Cass. 21 ottobre 2015, n. 21358).

1.1. – Ne consegue il rigetto del motivo, inteso ad affermare l’operatività della società in spregio ai criteri fissati dalla norma in esame.

2.- Inammissibile è poi il secondo motivo di ricorso, col quale la società si duole, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 dell’inadeguato esame degli elementi addotti in giudizio nonchè della violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c., in combinazione con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. con L. n. 134 del 2012, ratione temporis applicabile, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Va quindi esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez.un., n. 8053 e 8054/14, nonchè, tra varie, sez. un. n. 19881 del 2014). In particolare, per un verso l’omesso esame di elementi istruttori non integra vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra varie, Cass., ord. n. 2498/15 e ord. n. 13448/15); per altro verso, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non è inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (Cass. n. 11892/16).

2.1.-Le considerazioni che precedono determinano l’assorbimento delle conseguenti censure di violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

3.-Nulla per le spese, in mancanza di attività difensiva.

3.1.-Sussistono i presupposti di applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

la Corte:

rigetta il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il secondo.

Dichiara la sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2017

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