Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18809 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. I, 10/09/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 10/09/2020), n.18809

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24397/2018 proposto da:

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

S.B., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Daniela Gasparin, giusta procura in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 273/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/07/2020 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Milano, pubblicata il 19 gennaio 2018, con cui è stato parzialmente accolto il gravame proposto da S.B. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale del capoluogo lombardo. La nominata Corte ha negato che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed ha altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria; ha tuttavia accertato spettasse il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su di un solo motivo. Il richiedente resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente Ministero denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Rileva che la sentenza impugnata, ai fini dello scrutinio della domanda di protezione umanitaria, aveva preso in considerazione la mera possibilità di integrazione dell’appellante in Italia.

Nel ricorso per cassazione l’Avvocatura dello Stato ha ritenuto di sottolineare, “in considerazione del particolare momento storico”, la “responsabilità di promuovere interpretazioni giurisprudenziali il più possibile restrittive in materia di immigrazione e di protezione internazionale”: il Collegio intende invece sottolineare, per quanto possa apparir scontato, che compito della Corte è quello di giudicare della controversia portata al suo esame rifuggendo da aprioristici intendimenti atti a condizionare l’attività di interpretazione e di applicazione della legge cui essa è chiamata.

2. – Il motivo è peraltro inammissibile, e così il ricorso.

E’ incontestabile che ai fini del riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria non possa attribuirsi rilievo esclusivo ad aspetti della vita del ricorrente che siano indicativi del suo inserimento nel tessuto sociale del nostro paese: e ciò perchè non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072; ora anche Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459). Nella specie, tuttavia, la Corte di appello ha conferito rilievo anche alla situazione personale cui il ricorrente andrebbe incontro in caso di rimpatrio, desumendo da essa una condizione di vulnerabilità da correlare al livello di integrazione raggiunto dallo stesso richiedente nel nostro paese: e tale rilievo non è stato specificamente censurato.

Il ricorso si misura, dunque, con una decisione diversa da quella assunta dalla Corte milanese. Ebbene, la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. 18 febbraio 2011, n. 4036; Cass. 3 agosto 2007, n. 17125).

3. – Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

Non deve darsi atto dell’obbligo, da parte del Ministero, di versare – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del medesimo art. 13, comma 1 bis: il ricorso è stato infatti proposto da un’Amministrazione dello Stato, istituzionalmente esonerata, per valutazione normativa della sua qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. 14 marzo 2014, n. 5955).

PQM

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2020

 

 

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