Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18808 del 16/07/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 18808 Anno 2018
Presidente: BALESTRIERI FEDERICO
Relatore: CINQUE GUGLIELMO

SENTENZA
sul ricorso 15221-2016 proposto da:
RFI – RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. (già Ferrovie
dello Stato Società di Trasporti e Servizi per
azioni) 01585570581, società con Socio Unico,
soggetta all’attività di direzione e coordinamento di
Ferrovie dello Stato s.p.a., in persona del legale
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rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio
dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ROSA PINO, giusta
procura in atti;

Data pubblicazione: 16/07/2018

- ricorrente contro

ROTONDO GIULIO;
– intimato –

Nonché da:

VIA Q. MAIORANA 9, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA Q. MAIORANA 9, presso lo STUDIO LEGALE FAZZARI,
rappresentato e difeso dall’avvocato AURORA
NOTARIANNI, giusta procura in atti;
– con troricorrente e ricorrente incidentale contro

RFI – RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. (già Ferrovie
dello Stato Società di Trasporti e Servizi per
azioni) 01585570581, società con Socio Unico,
soggetta all’attività di direzione e coordinamento di
Ferrovie dello Stato s.p.a., in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio
dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ROSA PINO, giusta
procura in atti;
– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 10/2016 della CORTE D’APPELLO
di MESSINA, depositata il 08/03/2016, r.g. n.
4357/2012;

ROTONDO GIULIO, elettivamente domiciliato in ROMA,

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udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/02/2018 dal Consigliere Dott.
GUGLIELMO CINQUE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per

uditi gli avvocati Arturo Maresca ed Aurora
Notarianni.

il rigetto del ricorso principale e dell’incidentale;

RG 15221/2016

Fatti di causa
1.

La Rete Ferroviaria spa ha proposto ricorso per cassazione, affidato

a due motivi, nei confronti di Giulio Rotondo, avverso la sentenza n.
10/2016 della Corte di appello di Messina che, in parziale riforma della
pronuncia del Tribunale della stessa sede, previa conferma della declaratoria
di illegittimità dei contratti di arruolamento intercorsi tra le parti dal 2002 al

di prime cure e cioè ritenendo che l’illegittimità fosse derivata da un
comportamento in frode alla legge ex art. 1344 cc atteso il numero dei
contratti stipulati in rapporto al complessivo arco temporale di riferimento, il
susseguirsi degli stessi spesso a distanza di poco più di 60 giorni,
consentiva di ravvisare l’esistenza di una costante esigenza della società allo
svolgimento dell’attività affidata al lavoratore con contratto a termine e
dunque l’intento frodatorio) ha circoscritto la pronuncia di instaurazione di
un rapporto a tempo indeterminato con decorrenza dall’assunzione del
23.12.2004, confermato la quantificazione in 10 mensilità della indennità
risarcitoria ex art. 32 legge n. 183/2010, condannato la società a
corrispondere al lavoratore anche la retribuzione dovuta dalla data della
sentenza di primo grado fino alla riassunzione, detratto eventualmente
l’aliunde perceptum.
2.

Giulio Rotondo ha resistito con controricorso e formulato ricorso

incidentale; ha presentato, altresì domanda di pregiudizialità ex art. 267
comma 3 del TUEF, per chiedere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea
di pronunciarsi su due questioni.
3.

A seguito della proposta del consigliere relatore della Sesta Sezione

Civile Lavoro, le parti hanno depositato memorie e con ordinanza
interlocutoria n. 19691/2017, la trattazione della causa è stata riservata alla
pubblica udienza.
4.

Le parti hanno, in prossimità della stessa e con l’osservanza dei

termini di legge, depositato anche memorie ex art. 378 cpc dove la difesa
del lavoratore ha formalizzato sei questioni da sottoporre nuovamente alla
Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

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2008 (ancorché sulla base di una motivazione diversa da quella del giudice

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Ragioni della decisione
1.

Con il primo motivo del ricorso principale la società denunzia la

violazione dell’art. 112 cpc, in relazione all’art. 360 1° comma n. 4 cpc:
pronuncia ultra petita. La società sostiene la nullità della sentenza perché,
nel ricorso introduttivo del giudizio, a differenza di quanto ritenuto dai
giudici di seconde cure, il dipendente non aveva mai sollevato alcuna

doglianza in merito alle previsioni di cui all’art. 326 cod. nav. con specifico
riguardo all’art. 1344 cc.
2.

Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione

dell’art. 326 cod. nav. e dell’art. 1344 cc (art. 360 n. 3 cpc), per avere la
Corte territoriale erroneamente ritenuto i contratti di arruolamento conclusi
in frode alla legge, in aperta violazione delle previsioni di cui alle citate
disposizioni, sulla base di una valutazione quantitativa (frequenza e
reiterazione dei contratti a termine stipulati tra le parti) e in assenza di una
verifica sull’intento fraudolento, elemento costitutivo -invece- della frode
alla legge “qualificata” ai sensi della norma imperativa di cui all’art. 1344 cc.
3.

Con il ricorso incidentale si denunzia la violazione e falsa

applicazione dell’art. 112 cpc e art. 1218, 1223, 1226, 2103, 2059 cc, e art.
432 cpc, per omessa pronuncia della Corte di merito sulla domanda di
risarcimento del danno ulteriore, per la forzata inattività, come danno
esistenziale e alla professionalità ai sensi dell’art. 360 n. 3 e n. 4 cpc.
4.

Il primo motivo del ricorso principale non è fondato.

5.

Avendo riguardo ai principi statuiti da questa Corte in ordine al vizio

di violazione dell’art. 112 cpc, con riferimento all’art. 360 n. 4 cpc (cfr.
Cass. n. 8008/2014; Cass. n. 21397/2014; Cass. n. 2148/2004) e ai doveri
di indicazione e di allegazione nel rispetto delle disposizioni di cui agli artt.
366 comma 1 n. 6 e 269 comma 2 n. 4 cpc al fine di consentire i controlli di
contenuto e limiti della domanda azionata, ritiene il Collegio che alcuna
violazione del principio processuale della corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunciato si sia consumato nel caso de quo.
6.

Va rimarcato che il vizio di ultra o extra petizione sussiste solo

quando il giudice pronuncia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni
proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e

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non rilevabili di ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da
quello domandato (Cass. n. 18868/2015; Cass. n. 455/2011).
7.

Il giudice può, però, assegnare una diversa qualificazione giuridica

ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite nonché all’azione esercitata in causa,
ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta
al suo esame e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto

diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (Cass. n. 25140/2010;
Cass. n. 12943/2012).
8.

Nella specie i giudici di secondo grado, in piena corrispondenza con

le richieste formulate dalla difesa del lavoratore, hanno accertato che era
stato chiesto anche riconoscersi che si era fatto un reiterato e abusivo
ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato con frode in danno dei
lavoratori stessi.
9.

Del resto, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione

della domanda il giudice, da un lato, non è condizionato dalle espressioni
adoperate dalle parti, dall’altro ha il potere-dovere di accertare e valutare il
contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore
letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla
parte e dalle precisazioni dalla medesima fornite nel corso del giudizio,
nonché del provvedimento concreto dalla stessa richiesto (cfr. Cass. Sez.
Un. n. 27/2000; Cass. n. 20322/2005).
10. Come detto, nel caso concreto, è inequivoco che, dal complesso
dell’atto introduttivo, dalle vicende dedotte e dalle conclusioni formulate,
era stato argomentato che si era fatto un “ricorrente quanto abusivo ricorso
al contratto di lavoro a tempo determinato solo al fine di eludere l’apparato
normativo posto a presidio dei lavoratori, ledendo il generale principio di in
frazionabilità del rapporto di lavoro” ed operando una “presunzione legale di
frode”; inoltre, era stato prospettato che l’art. 326 cod. nav. non fosse una
norma adeguata a prevenire gli abusi.
11. Correttamente, pertanto, la Corte distrettuale ha valutato il
comportamento della società anche in relazione all’art. 1344 cc e 326 cc,
senza con ciò violare il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il

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pronunciato di cui all’art. 112 cpc: da qui la inconfigurabilità del denunciato
vizio.
12. Ciò posto, il secondo motivo del ricorso principale, il quale nella
sostanza investe, sotto vari profili, la decisione impugnata nella parte in cui
è stata ritenuta l’esistenza di una condotta fraudolenta da parte della
società Ferrovie dello Stato con riguardo alla reiterata conclusione di

13.

Ai fini di una migliore comprensione del contesto normativo

nell’ambito del quale deve essere verificato l’intento elusivo da parte della
società datrice delle regole dettate in tema di apposizione del termine al
contratto di arruolamento, appare utile tracciare i lineamenti essenziali della
disciplina dettata in proposito dal codice della navigazione ed in particolare
delle disposizioni che regolano la stipulazione di contratti di arruolamento a
termine, a viaggio e a tempo indeterminato. Va in primo luogo rammentato
che l’art. 325 cod.nav. dispone in via generale che il contratto di
arruolamento può essere stipulato per un dato viaggio o per più viaggi (lett.
a), a tempo determinato (lett. b), a tempo indeterminato (lett. c). Precisa
poi che per viaggio si intende il complesso delle traversate fra porto di
imbarco e quello di ultima destinazione, oltre all’eventuale traversata in
zavorra per raggiungere nuovamente il porto di imbarco. L’art. 326 cod.
nav., poi, stabilisce che il contratto a tempo determinato e quello per più
viaggi “non possono essere stipulati per una durata superiore ad un anno” e
che “se sono stipulati per una durata superiore, si considerano a tempo
indeterminato” (1° comma). Anche il rapporto con il quale “in forza di più
contratti a viaggio, o di più contratti a tempo determinato, ovvero di più
contratti dell’uno e dell’altro tipo” l’arruolato presti ininterrottamente
servizio alle dipendenze dello stesso armatore per un tempo superiore ad un
anno è regolato dalle norme sull’arruolamento a tempo indeterminato (2°
comma). La disposizione citata al terzo comma precisa inoltre che si deve
considerare ininterrotta la prestazione del servizio “quando fra la cessazione
di un contratto e la stipulazione del contratto successivo intercorre un
periodo non superiore ai sessanta giorni.” L’art. 374 cod. nav. al primo
comma prevede poi che una serie di disposizioni e tra queste quelle

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contratti a termine, non merita accoglimento.

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contenute nell’art. 325 cod. nav. non sono derogabili né dal contratto
individuale di arruolamento né da norme collettive e al secondo comma
dispone che, in sede collettiva, è possibile derogare al disposto dell’art. 326
cod. nav.. Al contratto individuale invece è consentita solo una deroga in
termini più favorevoli all’arruolato. A norma dell’art. 374 cod. nav. ultimo
comma è, comunque, preclusa alle norme collettive la possibilità di

aumentare il termine di durata del contratto e diminuire l’intervallo tra un
contratto e l’altro. Il contratto di arruolamento deve poi enunciare “il viaggio
o i viaggi da compiere e il giorno in cui l’arruolato deve assumere servizio,
se l’arruolamento è a viaggio; la decorrenza e la durata del contratto, se
l’arruolamento è a tempo determinato; la decorrenza del contratto, se
l’arruolamento è a tempo indeterminato” (cfr.art. 332 n. 4 cod. nav.). Se
dal contratto o dall’annotazione sul ruolo di equipaggio o sulla licenza
l’arruolamento non risulta stipulato a viaggio o a tempo determinato, esso è
regolato dalle norme concernenti il contratto a tempo indeterminato.
14. All’art. 332 n. 4 cod. nav. si prevede che, in caso di arruolamento a
tempo determinato, debba essere indicata la decorrenza e la durata del
rapporto, ma non anche l’esatta data di scadenza del contratto stesso.
Conseguentemente, si è ritenuto che l’indicazione di una durata con la
formula “max 78 giorni” non violi la norma del codice della navigazione
citata atteso che il lavoratore non è, perciò solo, posto nella condizione di
non potere regolare il proprio futuro lavorativo e considerato altresì che
neppure è ravvisabile un contrasto con l’ accordo quadro, sul lavoro a
tempo determinato recepito dalla direttiva 1999/70/CE ed, in particolare,
con la clausola 2, punto 1 e con la clausola 3, punto 1 (cfr., tra le altre,
Cass. 8.1.2015 n. 59; Cass. 4.3.2015 n.4348). La previsione di una durata
del contratto con l’indicazione di un termine finale certo nell’an (massimo 78
giorni), ma incerto in ordine al quando è stata ritenuta compatibile con la
citata direttiva (ed in tal senso è anche la sentenza del 3 luglio 2014 della
CGUE, capo 2). Gli artt. 325, 326 e 332 cod. nav. non prevedono che debba
essere esplicitata una causale specifica nel contratto di arruolamento a
tempo determinato e l’applicabilità anche al lavoro nautico dell’accordo
quadro allegato alla citata direttiva 1999/70/CE (sancita dalla più volte

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ricordata sentenza del 3 luglio 2014 della CGUE) non implica tuttavia di per
sé l’applicabilità della normativa nazionale in tema di contratti a temine – il
D.Lgs. n. 368 del 2001 – che a tale direttiva ha dato esecuzione.
15. Invero, a partire dalle sentenze del Giudice delle leggi innanzi
menzionate, è stato affermato che la disciplina del lavoro nautico costituisce
un subsistema incentrato sul principio di specialità di cui all’art. 1 cod. nav.,

che regola le fonti del diritto della navigazione. In tale settore l’operatività
del diritto comune presuppone, salvo che sia diversamente disposto, la
mancanza di norme poste in via diretta o ricavabili per analogia dalla
disciplina speciale (v. art. 1 cpv. cod. nav.).
16. Ne consegue che laddove, al contrario, il codice della navigazione
preveda un’apposita disciplina del lavoro a tempo determinato e dei suoi
limiti, non sussistono spazi residui di applicazione del D.Lgs. n. 368 del
2001.
17. Esclusa da questa Corte l’applicazione, per le anzidette ragioni, del
D. Lgs. n. 368 del 2001 (cfr., in termini, Cass. 8.1.2015 n. 59 e 4.3.2015 n.
4348) tuttavia la previsione di una presunzione legale di natura
indeterminata del rapporto, nel caso in cui fra la cessazione di un contratto
e la stipulazione del contratto successivo intercorra un periodo non
superiore ai sessanta giorni (ai sensi dell’art. 326 cod. nav., u.c.) è stata
ritenuta, in via generale e astratta, una misura adeguata e idonea a
prevenire abusi nel susseguirsi di contratti o rapporti di lavoro a tempo
determinato. La necessità, poi, di un intervallo di tempo superiore ai
sessanta giorni fra un’assunzione a termine e quella successiva è stata
ritenuta, in linea di massima, idonea ad ostacolare una preordinata volontà
di aggirare quanto previsto dalla citata fonte comunitaria. Interruzioni
superiori ai 60 giorni non consentirebbero infatti al datore di lavoro una
valida programmazione dell’attività e disincentiverebbero la frantumazione
dell’unico reale rapporto di lavoro a tempo indeterminato in plurimi
apparenti rapporti a termine.
18. Ciò non toglie che, pur ammessa, in linea di principio, la legittimità
del termine apposto a contratti di arruolamento con la causale sopra
ricordata e ribadita l’idoneità della disciplina dettata dal codice della

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navigazione a prevenire abusi, tuttavia non si può escludere che, in
concreto, attraverso ripetute assunzioni a tempo determinato, sia possibile
porre in essere una condotta che integri una frode alla legge sanzionabile ai
sensi dell’art. 1344 cod. civ.. Va qui ribadito infatti che l’art. 1 cpv. cod.
nav. non osta all’applicazione del generale principio civilistico previsto
dall’art. 1344 c.c. (non esistendo nel codice della navigazione norme che

diversamente regolino il fenomeno della frode alla legge). Sebbene, infatti,
l’art. 326 ultimo comma cod. nav. preveda che la prestazione del servizio
debba essere considerata ininterrotta, quando fra la cessazione di un
contratto e la stipulazione del contratto successivo intercorra un periodo
non superiore ai sessanta giorni, ciò non comporta, al contrario, che, di per
sé, la circostanza che i contratti separati da intervalli superiori ai sessanta
giorni siano sempre e comunque legittimi e che non si debba indagare circa
l’esistenza di un eventuale intento fraudolento che riveli un abuso dello
strumento pur astrattamente legittimo.
19. Ciò detto, all’accertamento dell’utilizzazione abusiva del contratto a
tempo determinato si può addivenire attraverso una ricostruzione degli
elementi allegati nel processo che, congiuntamente valutati, convergano nel
far ritenere provato un intento fraudolento del datore di lavoro il quale
ripetutamente si sia avvalso di prestazioni di lavoro a termine.
20. Si tratta di una indagine demandata al giudice di merito il quale
dovrà desumere, con procedimento logico deduttivo, da elementi quali il
numero dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati, l’arco
temporale complessivo in cui si sono succeduti e di ogni altra circostanza
fattuale che emerga dagli atti, l’uso deviato e fraudolento del contratto a
termine (per una accurata ricostruzione del procedimento di accertamento
della prova attraverso presunzioni si veda Cass. 13.5.2014 n. 5787). La
ricostruzione effettuata dal giudice di merito è censurabile in cassazione
sotto il profilo del vizio di motivazione, nei limiti dettati dall’art. 360 primo
comma n. 5 c.p.c. nel testo ratione temporis applicabile alla fattispecie,
ovvero per violazione delle regole dettate dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ..
21. La Corte di Appello di Messina ha proceduto ad un apprezzamento
complessivo dei fatti acquisiti al processo in base alle direttive impartite dai

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principi di cui sopra. Ha dunque espresso il convincimento che
sussistessero, nella fattispecie concreta, in sostanza, elementi riguardanti il
concreto dinamismo dei rapporti, capaci di supportare la tesi del carattere
fraudolento delle plurime relazioni negoziali, ravvisando quel quid pluris
rappresentato da circostanze di fatto o comportamenti oggettivamente o
soggettivamente idonei a rappresentare il quadro, anche solo indiziario, di

22. Orbene occorre ribadire come sia compito istituzionalmente
demandato al giudice del merito selezionare gli elementi certi da cui
“risalire” al fatto ignorato (art. 2727 c.c.) che presentino una positività
parziale o anche solo potenziale di efficacia probatoria e l’apprezzamento
circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne
discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit è sottratto al
controllo di legittimità (Cass. 10.11.2003 n. 16831; Cass. 5.12.2011 n.
26022; Cass. 16.5.2017 n. 12002).
23. Chi poi censura il risultato del ragionamento presuntivo non può
limitarsi a prospettare, così come fatto nella specie da parte ricorrente,
l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del
merito, ma deve far emergere, nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5,
c.p.c. (applicabile anche alla pronuncia emessa in sede di rinvio v. Cass.
18.12.2014 n. 26654; Cass. 24.5.2016 n. 10693), l’omesso esame di un
fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, così come
rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014.
Nello specifico giova però evidenziare che, con riguardo alla tematica delle
modalità di avviamento al lavoro e di stipula delle convenzioni di
arruolamento, secondo cui all’armatore sarebbe preclusa la scelta ed il
rifiuto del marittimo avviato per l’imbarco, con conseguente riprova
dell’assoluta carenza dell’intento fraudolento, non è stato precisato dalla
ricorrente il “come” ed il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione
processuale tra le parti né quando il documento del 17.4.2015
(Regolamento dell’Ufficio di Collocamento della Gente di mare di Messina),
successivo alla instaurazione del ricorso introduttivo, sia stato depositato

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una macchinazione funzionale alla frode.

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nei precedenti gradi e, pertanto, detta problematica non può essere presa in
considerazione in questa sede.
24. Trattandosi, quindi, di una decisione che è frutto di selezione e
valutazione di una pluralità di elementi asseritamente sintomatici
dell’abusivo ricorso al contratto a termine, la parte ricorrente, per ottenere
la cassazione della sentenza impugnata, non può semplicemente sostenere

di ciascuno di essi, con una censura generica e meramente contrappositiva
rispetto al giudizio operato nel grado pregresso. Infatti, per postulato
indiscutibile, non è conferito alla Corte di cassazione il potere di riesaminare
il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo
quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della
correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito,
mentre trascende i limiti di tale controllo la mera denuncia di difformità
rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul
significato dal giudice attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi,
altrimenti, il motivo di ricorso in una inammissibile istanza di revisione delle
valutazioni e del convincimento di quest’ultimo, tesa all’ottenimento di una
nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del
giudizio di cassazione (v., tra le tante, Cass. SS.UU. 25.10.2013 n. 24148).
25. In definitiva rileva il Collegio che la ricorrente, con il motivo
scrutinato, nel denunciare una violazione e falsa applicazione dell’art. 326
cod. nav. da parte di essa datrice di lavoro, sottopone invece alla Corte una
serie di censure che, pur prospettate come violazione delle disposizioni che
disciplinano i contratti di arruolamento, nella sostanza propongono un
diverso e più favorevole apprezzamento dei fatti, che si risolve in una
richiesta di nuovo inammissibile esame non consentito in sede di legittimità.
26. Non sfugge a questa Corte l’eventualità (come già si è avuto modo
di affermare: v. Cass. 12.12.2017 n. 29781, con la giurisprudenza ivi citata)
che l’arrestarsi sulla soglia del giudizio di merito possa fare sì che analoghe
vicende fattuali vengano diversamente valutate dai giudicanti cui compete il
relativo giudizio.

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una diversa combinazione dei dati fattuali ovvero un diverso peso specifico

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27. Tuttavia è noto che l’oggetto del sindacato di questa Corte non è (o
non immediatamente) il rapporto sostanziale intorno al quale le parti
litigano, bensì unicamente la sentenza di merito che su quel rapporto ha
deciso, di cui occorre verificare la legittimità negli stretti limiti delle critiche
vincolate dall’art. 360 c.p.c., così come prospettate dalla parte ricorrente:
ne deriva che contigue vicende possono dare luogo a diversi esiti

che hanno dato origine alla causa, sia gli sviluppi processuali del giudizio,
sia le motivazioni delle sentenze impugnate, sia i motivi di gravame posti a
fondamento del ricorso per cassazione, sia, infine, le molteplici combinazioni
tra siffatti elementi.
28. Si tratta di esiti non altrimenti evitabili, determinati dalla peculiare
natura del controllo di legittimità, ancor più da quando il legislatore ha
inequivocabilmente orientato il giudizio di cassazione nel senso della
preminenza della funzione nomofilattica, anche riducendo progressivamente
gli spazi di ingerenza sulla ricostruzione dei fatti e sul loro apprezzamento.
29. Parimenti non può essere accolto il ricorso incidentale con il quale il
lavoratore ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c.,
1218, 1223, 1223, 1226, 2103, 2059 c.c. e 432 c.p.c. nonché “omessa
pronunzia sulla domanda di risarcimento del danno ulteriore per la forzata
inattività come danno esistenziale ed alla professionalità”.
30. Nel motivo si rammenta che nell’appello incidentale il Rotondo
aveva richiesto “il riconoscimento del danno esistenziale, quale danno patito
dal lavoratore per il ritardo e/o la mancata esecuzione della sentenza che
riconosce il suo diritto alla conversione del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato”, lamentando che “l’inattività forzata del lavoratore … ne lede
la professionalità oltre che l’affidamento che lo stesso ripone nell’esecuzione
della decisione giudiziale a lui favorevole”.
31. Nella memoria conclusiva, espressamente richiamando l’art. 345
c.p.c., si ribadisce che la doglianza riguarda la mancata pronuncia della
Corte territoriale sulle conseguenze risarcitorie da danno esistenziale e
professionale conseguenti alla mancata riammissione in servizio dopo la
sentenza di primo grado.
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processuali in Cassazione perché sono differenti sia le fattispecie concrete

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32. La censura non può essere accolta.
33. In disparte l’inammissibilità derivante dalla promiscua ed
incompatibile deduzione del vizio “ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 4 c.p.c.”,
sicché o vi un error in procedendo per non avere il giudice distrettuale
pronunciato su di un motivo di gravame o vi è un error in iudicando perché
quello stesso giudice, pronunciando, ha violato o falsamente applicato le

premettere che l’art. 360-bis n. 2 c.p.c., là dove implica che la violazione di
norme del procedimento determini quella dei principi regolatori del giusto
processo, “nell’unica lettura possibile per dare alla previsione un senso”
comporta proprio che detta violazione abbia svolto un ruolo decisivo,
dovendosi dimostrare che l’omessa pronuncia riguarda “una quaestio iuris
astrattamente rilevante” (da ultimo Cass. n. 16102 del 2016), nel senso che
non è sufficiente il vizio procedimentale ma è necessario che esso riguardi
una domanda o una eccezione di merito che avrebbe mutato il segno della
decisione.
34. Orbene, secondo le Sezioni unite di questa Corte, l’art. 345, co. 1,
c.p.c., (pur applicabile nel rito del lavoro, v. Cass. n. 7770 del 1992), ove
deroga al divieto di domande nuove in appello con riferimento ai danni
sofferti dopo la sentenza impugnata, trova applicazione solo quando detta
deroga trovi giustificazione nel fatto che l’istanza di ristoro del danno
ulteriore configura sviluppo logico di una domanda già proposta nel giudizio
di primo grado (Cass. SS.UU. n. 1955 del 1996 e n. 10597 del 1992).
35. Ne deriva che la richiesta di ristoro del danno per fatti sopravvenuti
in corso di causa comporta un non consentito mutamento della primitiva
domanda, con la conseguente inammissibilità della stessa anche in appello,
senza che, in contrario, possa argomentarsi dalla deroga al divieto di
domande nuove in appello con riferimento ai danni sofferti dopo la sentenza
impugnata, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., trovando tale norma applicazione
solo quando nel giudizio di primo grado sia stato richiesto il risarcimento del
danno maturato in precedenza, e giustificandosi detta deroga solo nel
presupposto che si incrementino soltanto le conseguenze dannose del
medesimo fatto generatore posto a fondamento della pretesa senza che gli
11

numerose disposizioni di legge sostanziale richiamate nel motivo, occorre

RG 15221/2016

ulteriori danni siano ricollegabili a fatti nuovi e diversi (Cass. n. 10045 del
1996).
36. In particolare è stato statuito che la disposizione in esame postula
che le domande di risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza derivino
da cause preesistenti all’inizio della lite e che trovino fondamento nella
stessa causa petendi dedotta in primo grado, onde l’applicazione della

menzionata eccezionale norma non ha luogo per il risarcimento dei danni
cagionati da fatti posteriori che con quelli precedenti non abbiano un nesso
diretto e sostanziale, come per le domande inerenti ai danni derivanti
dall’esecuzione della sentenza di primo grado (Cass. n. 7656 del 1990).
37. Pertanto la domanda formulata con l’appello incidentale dal
Rotondo, lungi dal rappresentare una domanda integrativa ed accessoria di
quella già formulata in primo grado (di cui peraltro nel corpo del motivo non
si riportano i contenuti testuali idonei ad individuarla), era inammissibile
perché si fondava essenzialmente su di un fatto nuovo sopravvenuto, quale
era l’inottemperanza datoriale all’ordine di riassunzione del giudice con le
conseguenze dannose che si assumevano determinate, per cui alcuna
decisiva omessa pronuncia ha commesso la Corte di Appello in relazione ad
una domanda inammissibile non sussistendo al riguardo alcun obbligo del
giudice di pronunciarsi nel merito su di una domanda non ritualmente
introdotta nel giudizio (cfr. sul punto Cass. n. 17994 del 2017; Cass. n.
24445 del 2010; Cass. n. 12412 del 2006).
38. Possono essere esaminate da ultimo le istanze di rinvio
pregiudiziale ex art. 267 comma 3 del Trattato per il funzionamento della
Unione Europea, proposte dalla difesa del lavoratore.
39. A tal proposito, giova premettere che l’obbligo per il giudice
nazionale di ultima istanza di rimettere la causa alla Corte di Giustizia
dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 citato (già art. 234 del Trattato
che istituisce la Comunità Europea), viene meno quando non sussista la
necessità di una pronuncia pregiudiziale sulla normativa comunitaria, in
quanto la questione sollevata sia materialmente identica ad altra, già
sottoposta alla Corte in analoga fattispecie, ovvero quando sul problema
giuridico esaminato si sia formata una consolidata giurisprudenza di detta
12

Alu

RG 15221/2016

Corte (cfr., tra molte, Cass. 26.3.2012 n. 4776); similmente, il rinvio
pregiudiziale, quantunque obbligatorio per i giudici di ultima istanza,
presuppone che la questione interpretativa controversa abbia rilevanza in
relazione al thema decidendum sottoposto all’esame del giudice nazionale e
alle norme interne che lo disciplinano (cfr. Cass. Sez. Un. 2.4.2007 n.
8095).

40. Invero è noto (v. Cass. Sez. Un., 10.9.2013, n. 20701) che il rinvio
pregiudiziale alla Corte di Giustizia non costituisce un rimedio giuridico
esperibile automaticamente a semplice richiesta delle parti, spettando solo
al giudice stabilirne la necessità: infatti, esso ha la funzione di verificare la
legittimità di una legge nazionale rispetto al diritto dell’Unione Europea e se
la normativa interna sia pienamente rispettosa dei diritti fondamentali della
persona, quali risultanti dall’evoluzione giurisprudenziale della Corte di
Strasburgo e recepiti dal Trattato sull’Unione Europea; sicché il giudice,
effettuato tale riscontro, non è obbligato a disporre il rinvio solo perché
proveniente da istanza di parte (tra le altre, v. Cass. 24.3.2014, n. 6862;
24 Cass. 21.6.2011, n. 13603).
41. D’altro canto è incontrastato l’enunciato, più volte ribadito da
questa Corte a Sezioni unite, secondo cui la Corte di Giustizia Europea,
nell’esercizio del potere di interpretazione di cui all’art. 234 del Trattato
istitutivo della Comunità economica europea, non opera come giudice del
caso concreto, bensì come interprete di disposizioni ritenute rilevanti ai fini
del decidere da parte del giudice nazionale, in capo al quale permane in via
esclusiva la funzione giurisdizionale (da ultimo Cass. Sez. Un. 18.12.2017,
n. 30301; in precedenza: Cass. Sez. Un., nn. 16886/2013, 2403/14,
2242/15, 23460/15, 23461/15, 10501/16 e 14043/16).
42. Pertanto, il giudice nazionale di ultima istanza non è soggetto
all’obbligo di rimettere alla Corte di giustizia delle Comunità europee la
questione di interpretazione di una norma comunitaria quando non la
ritenga rilevante ai fini della decisione o quando ritenga di essere in
presenza di un

“acte claire” che, in ragione dell’esistenza di precedenti

pronunce della Corte ovvero dell’evidenza dell’interpretazione, rende inutile
(o non obbligato) il rinvio pregiudiziale (tra le altre: Cass., Sez. Un.,

13

A(.-

RG 15221/2016

24.5.2007, n. 12067; Cass., 22.10.2007, n. 22103; Cass. 26.3.2012, n.
4776; Cass. 29.11.2013, n. 26924).
43. Ciò premesso, con il primo quesito della memoria si pone questione
del “se, in relazione all’art. 4, paragrafo 3, del Trattato dell’Unione europea
e al principio di leale cooperazione, in combinato disposto con l’art. 267 del
Trattato per il funzionamento dell’Unione Europea, spetta al giudice

europea, come è invece avvenuto al punto 15 della sentenza Fiamingo della
Corte Ue del 3 luglio 2014 (ECLI:EU:C: 2014:2044), individuare e
interpretare la normativa interna da applicare alla fattispecie del
procedimento principale”.
44. Orbene, posto che è chiaro il principio per il quale spetta al giudice
nazionale l’interpretazione del diritto interno da sottoporre all’esame della
Corte di Giustizia, rileva il Collegio che il problema, come sottoposto, non
sussiste perché anche questa Corte di legittimità, quale giudice nazionale,
tra le altre con la sentenza n. 59/2015 qui ribadita, al punto 3.4 ha
precisato che la fattispecie in esame è regolata dall’art. 326 cod. nav. e non
dal D.Igs n. 368/2001 per cui non è ipotizzabile sollevare una questione
pregiudiziale su di un presupposto – quello dell’applicabilità del D.Lgs. n.
368/2001 in luogo del codice della navigazione – che questa Corte non
condivide e che quindi esclude che la prospettata questione pregiudiziale
possa avere rilevanza nel caso che si decide.
45.

Con seconda istanza si pone questione del “se, nel caso di

riconoscimento di errore di fatto nella individuazione del lasso temporale
intercorrente nella controversia principale tra due contratti a
tempo determinato, come è accaduto con l’ordinanza del 17 settembre 2014
(ECLI: EU:C:2014:2238) del Presidente della III Sezione della Corte di
Giustizia in riferimento alla rettifica e correzione del punto 20 della citata
sentenza Fiamingo, il provvedimento presidenziale di correzione di errore in
fatto della sentenza abbia lo stesso valore dell’ordinanza della Corte di
giustizia che dichiara ricevibile l’azione di revocazione per l’esistenza di un
fatto di natura tale da avere un’influenza decisiva sulla decisione di cui è
chiesta la revocazione, ai sensi dell’art. 44, paragrafo 2, dello Statuto della
14

nazionale del rinvio pregiudiziale e non alla Corte di Giustizia dell’Unione

RG 15221/2016

Corte di Giustizia dell’Unione Europea e dell’art. 159 del Regolamento di
procedura della Corte di giustizia, o se, nonostante l’errore
nella ricostruzione dei fatti di causa al punto 20 della sentenza Fiamingo sia
di natura tale da avere reso erroneamente applicabile alla fattispecie di
causa una norma -l’art. 326 del codice di navigazione- palesemente
inapplicabile alla corretta sequenza dei contratti a tempo determinato

obbligato ad applicare l’interpretazione del diritto dell’Unione europea di cui
alla sentenza Fiamingo e non possa discostarsene”.
46.

Va osservato che il quesito concernente la domanda se il

provvedimento presidenziale di correzione di errore in fatto della sentenza
abbia lo stesso valore dell’ordinanza della Corte di Giustizia che dichiara
ricevibile l’azione di revocazione, non rientra tra i casi di rinvio pregiudiziale
previste dall’art. 267 TFUE non coinvolgendo né una ipotesi di
interpretazione della norma europea con carattere di generalità e di
astrattezza, ma concernendo invece un profilo applicativo di fatto di natura
processuale, né un esame di validità di una norma europea di secondo
grado. Peraltro il quesito non individua quale sia la disposizione di diritto
interno che si assume in contrasto con le norme dell’Unione richiamate.
47. Con riguardo, poi, alla asserita erronea applicazione dell’art. 326
cod. nav. alla fattispecie in esame a seguito dell’errore riconosciuto, deve
rimarcarsi quanto sopra affermato circa l’opzione interpretativa già adottata
da questa Corte in ordine alla regolamentazione del caso de quo da parte
della citata disposizione del codice della navigazione. In tal senso, del resto,
è anche l’orientamento della Corte Costituzionale inaugurato con la
sentenza n. 96 del 3.4.1987 e proseguito con la successiva pronuncia n. 41
del 31.1.1991 in cui si legge appunto che “la disciplina del lavoro nautico
costituisce un sub sistema incardinato sull’art. 1 cod. nav. che regola le
fonti del diritto della navigazione. L’operatività del diritto comune
presuppone, salvo che sia diversamente disposto, la mancanza di norme
poste in via diretta o ricavabili per analogia dalla disciplina speciale” (cfr.
anche Cass. 7.2.1986 n. 779; Cass. 23.4.1991 n. 4386).

15

k(-

dedotti ne giudizio principale, il giudice nazionale del rinvio sia comunque

RG 15221/2016

48. Con il terzo e quarto quesito della memoria, già prospettati anche
nel controricorso, si pongono le seguenti questioni: “(se la clausola 5, punto
1, lettera b) e punto 2 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato
stipulato il 18 marzo 1999, figurante nell’allegato alla direttiva del Consiglio
28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e
CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso

che osta all’applicazione di una normativa nazionale, quale l’art. 326 del
codice della navigazione- in vigore prima del decreto legislativo n. 368/2001
(normativa interna di recepimento della direttiva 1999/70/CE, abrogata con
decorrenza dal 25 giugno 2015 dal d.lgs n. 81/2005) – che sanziona con la
costituzione di un contratto a tempo indeterminato soltanto l’abusivo ricorso
ad una successione di contratti a tempo determinato in caso di superamento
di un anno ininterrotto di servizio, comprendendo nella durata massima
soltanto i contratti a tempo determinato con intervallo non lavorato l’uno
rispetto all’altro pari o inferiore a 60 giorni, con lo stesso datore di lavoro,
senza prevedere una durata massima “complessiva”, cioè comprendente
anche i contatti a tempo determinato con intervallo non lavorato l’uno
rispetto all’altro superiore a 60 giorni, così consentendo la precarizzazione
indefinita dei rapporti di lavoro a tempo determinato, con modalità come
quelle determinatesi nella fattispecie di causa di continuità e non
interruzione di servizio pubblico di trasporto svolto utilizzando sulla stessa
posizione lavorativa stabile personale precario per max 78 giorni”; “se la
clausola 5, punti 1 e 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato
stipulato il 18 marzo 1999, figurante nell’allegato alla direttiva del Consiglio
28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e
CEEP sul lavoro a tempo determinato, la clausola 4, n. 1 dello stesso
accordo quadro e il principio di uguaglianza e non discriminazione del diritto
dell’Unione europea (garantito dall’art. 6 n. 2 del Trattato sull’Unione
Europea) e gli artt. 20, 30 e 31 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, in quanto
norme primarie del Trattato TUE, devono essere interpretati nel senso che
tali disposizioni ostano all’adozione, da parte di uno stato membro di una
normativa nazionale, quale l’art. 326 del codice della navigazione, che

16

ku

RG 15221/2016

differenzia i contratti di lavoro stipulati a tempo determinato per i lavoratori
marittimi da quelli stipulati per tutti gli altri lavoratori a tempo determinato
con il solo ricorso ad una “clausola generale ed astratta”- limitando i poteri
del Giudice nazionale perché non gli consente di verificare la sussistenza
delle condizioni di fatto che giustificano le esigenze temporanee dell’impresa
di apporre il termine al rapporto di lavoro-, rispetto ai contratti con datori di

lavoro privati e pubblici, escludendo i lavoratori marittimi dalla tutela
rappresentata dalla costituzione d’un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato e non consentendo, nel processo, l’applicazione delle misure
equivalenti e preventive delle ragioni obiettive di cui alla clausola 5 n. 1,
lettera a) dell’accordo quadro, senza nessuna legittima giustificazione o
ragione oggettiva e in mancanza di altre misure preventive, come
evidenziato dalla Commissione Ue nelle osservazioni scritte depositate il 19
ottobre 2017 nella causa pregiudiziale C-331/17 Sciotto)”.
49. Ritiene il Collegio che la questione della compatibilità dell’art. 326
cod. nav. con la normativa comunitaria richiamata è stata, per quanto può
rilevare nella presente decisione, già chiarita dalla precedente pronuncia
della CGUE 3.7.2012 resa nelle cause C-362/13, C- 363/13 e C- 497/13,
ove è stato dichiarato che: 1) l’accordo quadro sul lavoro a tempo
determinato, concluso il

18 marzo 1999, figurante quale allegato alla

direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo
quadro CES, UICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere
interpretato nel senso che esso si applica a lavoratori occupati in qualità di
marittimi con contratti di lavoro a tempo determinato su traghetti che
effettuano un tragitto marittimo tra due porti situati nel medesimo stato
membro; 2) le disposizioni dell’accordo quadro sul lavoro a tempo
determinato devono essere interpretate nel senso che esse non ostano a
una normativa nazionale la quale prevede che i contratti di lavoro a tempo
determinato debbono indicare la loro durata ma non il loro termine; 3) la
clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere
interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, ad una
normativa nazionale la quale prevede la trasformazione di contratti di lavoro
a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato

17

AA-,

RG 15221/2016

unicamente nel caso in cui il lavoratore interessato sia stato occupato
ininterrottamente in forza di contratti del genere dallo stesso datore di
lavoro per una durata superiore a un anno, tenendo presente che il rapporto
di lavoro va considerato ininterrotto quando i contratti di lavoro a tempo
determinato sono separati da un intervallo inferiore o pari a 60 giorni,
spettando, comunque, al giudice nazionale verificare se i presupposti per

l’applicazione nonché l’effettiva attuazione della normativa costituiscano
misura adeguata per prevenire e punire l’uso abusivo di una successione di
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.
50. Non reputa il Collegio che le articolate difese di parte istante
introducano nuovi elementi di valutazione, pertinenti rispetto alla materia
del contendere, tali da giustificare un nuovo rinvio alla Corte di Giustizia
(cfr. Cass. Sez. un. 20.5.2016, n. 10501), fondandosi piuttosto sul mero
auspicio che detta Corte Europea possa rivedere le conclusioni alle quali con
la sentenza “Fiamingo” la stessa è giunta nonché sull’assunto, apertamente
sostenuto da parte ricorrente, che tale sentenza sia errata; analogamente
non offrono nuovi spunti di indagine le osservazioni scritte della
Commissione UE, redatte nella causa pregiudiziale C-331/17 Sciotto perché,
a differenza di quanto possa in astratto ipotizzarsi per i dipendenti delle
fondazioni lirico-sinfoniche, la CGUE (con la più volte citata sentenza
“Fiamingo”) ha già escluso che il codice della navigazione non contenga
norme per la prevenzione degli abusi nel ricorso alla contrattazione a
termine. Del resto, le suddette osservazioni sono calibrate sulla particolare
materia dei rapporti di lavoro presso le suindicate fondazioni

-cuí non sí

applícano, per espressa previsione normativa (art. 3 D.L. 30.4.2010 n. 64
convertito con modifícazione nella legge 29.6.2010 n. 100, art. 11 D.Igs n.
368/2001 e art. 29 d.lgs n. 81/2015) le disposizioni degli artt. 1 commí 1 e
2, 4 e 5 D.Igs n. 368/2001 e dell’art. 19 commi da 1 a 3 e 21 D.Igs n.
81/2005- i quali rapporti si palesano, pertanto, sia sotto l’aspetto genetico
che funzionale, ben diversi da quelli regolati dal codice della navigazione.
51. La quinta e la sesta richiesta di rinvio pregiudiziale contenute nella
memoria

appaiono

manifestamente

irrilevanti

nella

controversia

all’attenzione del Collegio in quanto relative a norme di diritto interno –

18

Ar

RG 15221/2016

l’articolo 5, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 368/2001, introdotto
dalla legge n. 247/2007, nonché l’art. 32 commi 5, 6, e 7 della legge n.
183/2010, come interpretato dall’art. 1 comma 13 della legge n. 92/2012 non applicate nella fattispecie concreta.
52.

Alla stregua di quanto esposto vanno disattese tutte le richieste di

rinvio alla Corte di Giustizia, “non esistendo alcun diritto della parte

ne condivida le tesi difensive, bastando che le ragioni del diniego siano
espresse (Corte EDU, caso Ullens de Schooten & Rezabek vs. Belgio) ovvero
implicite

laddove

la

questione

pregiudiziale

sia

manifestamente

inammissibile o manifestamente infondata (Corte EDU, caso Wind
Telecomunicazioni vs. Italia, §36)” (in termini: Cass. Sez. Un. 8.7.2016, n.
14042).
53. Conclusivamente i ricorsi vanno respinti e la reciproca soccombenza
consente la compensazione parziale delle spese di lite in ragione di un
terzo; per i restanti due terzi esse rimangono a carico della ricorrente
principale da ritenersi prevalentemente soccombente.
54. Occorre dare atto della sussistenza, per entrambe le parti ricorrenti,
dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come
modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Condanna la
ricorrente principale al pagamento in favore del controricorrente di due terzi
delle spese di lite e compensa tra le parti la residua quota. Liquida per
intero tali spese in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi
professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura
del 15%. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente
principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello
incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

19

all’automatico rinvio pregiudiziale ogni qualvolta la Corte di cassazione non

RG 15221/2016
••••••
•••

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 febbraio 2018
Il consigliere est.
Dott. Guglielmo Cinque

Il Presidente
Dott. Federico Balestrieri

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