Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18808 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. I, 10/09/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 10/09/2020), n.18808

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24087/2018 proposto da:

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

D.D., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Valentina Maria Elisabetta Vitale, giusta procura in

calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 546/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 02/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/07/2020 da FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Milano, pubblicata il 2 febbraio 2018, con cui è stato parzialmente accolto il gravame proposto da D.D. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale del capoluogo lombardo. La nominata Corte ha negato che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed ha altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria; ha tuttavia accertato spettasse il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ha osservato, in particolare, che andava valutato positivamente il percorso di integrazione di D.D. in Italia e che, inoltre, erano allo stesso riferibili particolari condizioni di vulnerabilità collegate al suo essere non solo orfano di padre, ma altresì privo, in patria, di alcun riferimento affettivo e familiare e di adeguato sostentamento economico.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su di un solo motivo. Il richiedente resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente Ministero denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5. Rileva che la sentenza impugnata avrebbe impropriamente valorizzato il buon livello di integrazione sociale e lavorativo del richiedente in Italia e le difficoltà di reinserimento dello stesso nel paese di origine. Osserva, in proposito, che ai fini della concessione della protezione umanitaria è invece necessario verificare la sussistenza, nel paese di origine, di un rischio specifico per il richiedente quanto a una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili; in particolare, secondo l’Amministrazione istante, le condizioni per il permesso umanitario non possono rinvenirsi in capo a quanti siano da considerare meri “migranti economici”.

2. – Il ricorso è fondato.

2.1. – L’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal ricorrente per tardività va disattesa, giacchè al presente giudizio, introdotto con ricorso al Tribunale depositato il 22 marzo 2016, si applica il regime di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale; infatti, l’inapplicabilità del principio della sospensione dei suddetti ai giudizi aventi ad oggetto il riconoscimento della protezione internazionale del cittadino straniero, introdotta con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 14, non opera rispetto ai ricorsi avverso le decisioni delle commissioni territoriali emesse e comunicate (o notificate) anteriormente alla data del 17 agosto 2017, essendo la vigenza della nuova disciplina legislativa processuale differita a tale data (per tutte: Cass. 5 settembre 2019, n. 22304): si legge nella sentenza impugnata che il ricorso al tribunale fu depositato il 22 marzo 2016, onde la decisione della Commissione territoriale è certamente anteriore alla suddetta data del 17 agosto 2017.

2.2. – Passando allo scrutinio del motivo, è a dirsi che il giudice del gravame ha mancato di applicare i principi elaborati, in tema di protezione umanitaria, dalla giurisprudenza della S.C..

2.3. – Di recente le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: quello per cui, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, non si può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che la alimentano. Si tratta di una enunciazione che riguarda diritti che non si prestano a catalogazioni: gli interessi protetti che ricevono tutela attraverso la nominata forma di protezione “non possono restare ingabbiati in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali; sicchè (…) l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni” (Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459, in motivazione, ove i richiami a Cass. 15 maggio 2019, n. 13079 e a Cass. 15 maggio 2019, n. 13096; sul tema cfr. già Cass. Sez. U. 9 settembre 2009, n. 19393, la quale rilevava, in motivazione, come “i motivi di carattere umanitario debbano essere identificati facendo riferimento alla fattispecie previste dalle convenzioni universali o regionali che autorizzano o impongono al nostro Paese di adottare misure di protezione a garanzia dei diritti umani fondamentali e che trovano espressione e garanzia anche nella Costituzione, non solo per il valore del riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo in forza dell’art. 2 Cost., ma anche perchè, al di là della coincidenza dei cataloghi di tali diritti, le diverse formule che li esprimono si integrano, completandosi reciprocamente nell’interpretazione”).

Il giudice deve dunque valutare la sussistenza di situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale capace di determinare una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti inviolabili, e ciò considerando globalmente e unitariamente i singoli elementi fattuali accertati e non in maniera atomistica e frammentata (Cass. 30 marzo 2020, n. 7599).

Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre poi operare la valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459). Tale principio trova una rispondenza nella giurisprudenza elaborata dalla Corte EDU in tema di flussi migratori, la quale appare ispirata al bilanciamento del diritto al rispetto della persona con gli interessi alla sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, oltre che con l’esigenza di assicurare la protezione dei diritti e delle libertà altrui (art. 8, comma 2, CEDU). A tal fine, la nominata Corte ha precisato che tra i fattori da prendere in considerazione è ricompresa l’entità del legame che le persone interessate hanno allacciato con lo Stato contraente di accoglienza (per tutte: Corte EDU 31 gennaio 2006, Rodrigues da Silva e Hoogkamer c. Paesi Bassi, 39; la valorizzazione dei legami col paese ospitante è affermata anche nell’apprezzamento delle ragioni che possano giustificare l’espulsione per la commissione di reati: Corte EDU Uner c. Paesi Bassi 18 ottobre 2006, 57-58, richiamata, di recente, da Corte EDU 14 febbraio 2019, Narjis c. Italia, 41, ove è parola della necessità, anche in tali evenienze, di valutare la solidità dei legami sociali, culturali e familiari esistenti col paese ospitante, oltre che con quello di destinazione).

2.4. – Poichè la comparazione investe una situazione (quella cui il richiedente va incontro in caso di rientro nel paese di provenienza) che deve essere segnata dal rischio della lesione di diritti fondamentali, è dunque anzitutto necessario che il giudice del merito chiarisca in cosa consista, in concreto, un rischio siffatto, dando conto di quali siano i diritti esposti a pericolo per effetto del rimpatrio. Una precisazione in tal senso si impone proprio per dar ragione della sussistenza delle ragioni da porre a fondamento della forma di protezione invocata. E si impone, alla luce del principio jura novit curia, ove pure la parte richiedente non abbia puntualmente indicato il diritto o i diritti fondamentali oggetto di compromissione, ma abbia comunque proceduto a una congrua allegazione dei fatti che li sottendano: condizione, quest’ultima, che segna il limite di ammissibilità della stessa domanda di protezione internazionale; è noto, infatti, che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottragga all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016; come precisato da Cass. 2 luglio 2020, n. 13573, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria è in particolare necessario che il richiedente fornisca elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza; è il caso di rilevare, tuttavia, che i fatti storici posti a fondamento della positiva valutazione della condizione di vulnerabilità ben possono essere gli stessi già allegati per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o la concessione della protezione sussidiaria, giacchè – appunto – compete al giudice qualificare detti fatti ai fini della riconduzione all’una o all’altra forma di protezione: Cass. 12 maggio 2020, n. 8819).

2.5. – Nella presente fattispecie non può reputarsi allora sufficiente il richiamo alla mancanza, da parte del richiedente, “di alcun riferimento affettivo e familiare nel suo paese di origine”: condizione che è descritta in termini del tutto generici ed astratti e che designa una situazione di disagio derivante dal prolungato allontanamento dal paese di origine. L’espressione adottata, nella sua vaghezza, non è diversa da altre che si dimostrano parimenti inidonee a definire una vera e propria situazione di privazione di diritti umani (si pensi alla locuzione che descrive l’assenza, in patria, di “rapporti familiari di rilievo”, che Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459 cit. ha reputato difatti inidonea a fondare il giudizio comparativo di cui si è detto).

Non è nemmeno concludente quanto dalla Corte di merito asserito in ordine alle limitate risorse di cui il ricorrente, rientrando in Senegal, potrebbe disporre: affermazione che è oltretutto declinata in termini assolutamente generici, privi di alcuna aderenza alla situazione che potrà determinarsi in futuro, a seguito del rimpatrio. La Corte di appello – va qui osservato – non dà conto degli ostacoli che concretamente precludano al richiedente di procurarsi, in patria, le fonti di reddito necessarie al proprio sostentamento: per il che la sentenza impugnata manca di definire e di circostanziare una situazione – diversa da quella, non rilevante, di semplice difficoltà economica – cui possa essere associata una vera e propria lesione dei diritti inviolabili della persona.

Nè può attribuirsi rilievo esclusivo ad aspetti della vita del ricorrente che siano indicativi del suo inserimento nel tessuto sociale del nostro paese: e ciò perchè non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459, cit.; Cass. 28 giugno 2018, n. 17072). Sotto tale profilo non può giovare al ricorrente il solo processo di integrazione, che la Corte di merito ha collegato all’acquisto di una certa padronanza della lingua italiana e allo svolgimento di attività lavorativa.

3. – La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio della causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità. Il giudice del rinvio, conformandosi ai principi di cui si è detto, dovrà nuovamente accertare se ricorrono le condizioni per il riconoscimento, a D.D., del diritto alla domandata protezione umanitaria.

PQM

LA CORTE

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2020

 

 

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