Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18804 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 12/07/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 12/07/2019), n.18804

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24451-2018 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FILIPPO CARELLA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. 3440/2018 del TRIBUNALE di MILANO, depositato

il 12/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa IOFRIDA

GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione interazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto n. 3440/2018, all’esito di udienza, ha respinto la richiesta di S.M., cittadino del Gambia, di riconoscimento, a seguito di diniego della Commissione territoriale competente, dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che la vicenda narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, essendo di religione mussulmana, avendo trattenuto per sette anni rapporti sessuali, fuori dal matrimonio, con una ragazza di religione cristiana, che era rimasta incinta, relazione osteggiata dalle rispettive famiglie, e temendo le reazioni dei parenti della ragazza e dei suoi famigliari) era del tutto inverosimile, risultando non coerente, vaga e contraddittoria; non ricorrevano le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato, avendo il richiedente comunque addotto persecuzioni poste in essere da privati, senza provare di avere richiesto inutilmente protezione alle autorità statuali; quanto alla protezione sussidiaria, la situazione recente del Paese d’origine, successiva al gennaio 2017, con la destituzione del Presidente, non evidenziava una presenza di conflitti armati interni o di una violenza indiscriminata; in ordine poi alla richiesta di protezione umanitaria, il richiedente non aveva allegato ulteriori specifiche condizioni di vulnerabilità e gli elementi addotti in ordine agli attestati di frequenza a corsi in Italia (di alfabetizzazione e di piastrellista posatore e muratore) non erano di per sè sufficienti, in difetto di condizioni rilevanti di vulnerabilità, considerato che, nel Paese d’origine, ove svolgeva l’attività di muratore, egli potrebbe riprendere il lavoro e contare sul sostegno della famiglia (la madre e la sorella) e che la patologia allegata (infezione tubercolare latente, non tubercolosi) neppure necessitava di ulteriori controlli.

Avverso il suddetto decreto, S.M. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione ed errata interpretazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione al rigetto della richiesta di protezione sussidiaria ed umanitaria ed alla ritenuta insussistenza del rischio effettivo di subire un grave danno, per effetto delle sanzioni corporali che egli potrebbe subire, nell’accordo delle famiglie, sue e della fidanzata, avendo intrattenuto rapporti sessuali con una ragazza fuori dal matrimonio; con il secondo motivo, si lamenta poi, quanto al rigetto della richiesta di protezione umanitaria, la violazione dell’art. 115 c.p.c.e dei principi che regolano l’onere della prova.

2. La prima censura è inammissibile.

Il ricorrente si limita in effetti a contestare la valutazione di non credibilità compiuta dal Tribunale, attraverso esaustiva motivazione.

La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass.27503/2018). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito Cass. 3340/2018).

La valutazione di non credibilità e inattendibilità della sua narrazione integra infatti una autonoma e autosufficiente ratio decidendi della sentenza impugnata che, se non (o, come in questo caso, inammissibilmente) censurata, è destinata a consolidarsi e a precludere, in sede di impugnazione, lo scrutinio dei motivi inerenti i profili sostanziali della domanda di protezione, rendendola di per sè inaccoglibile, poichè non sussistono elementi sui quali concretamente basare una decisione in senso positivo (in termini, Cass. nn. 3237 del 2019; 33096, 33137 e 33139 del 2018; n. 21668 del 2015).

Ora, nella specie, non viene specificamente censurata la affermazione, operata dal Tribunale, sulla base delle informative recenti acquisite, circa l’insussistenza in Gambia di una situazione di violenza indiscriminata o conflitto interno, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Le medesime considerazioni rilevano, sotto il profilo esaminato, con riguardo alla protezione umanitaria.

3. Anche il secondo motivo è inammissibile.

Non ricorrono invero violazioni dei principi di diritto affermati da questa Corte in ordine ai presupposti della protezione umanitaria. Il Tribunale ha esaminato specificamente le situazioni dedotte, rilevando la mancata deduzione di credibili situazioni di vulnerabilità e l’insufficienza del serio percorso integrativo avviato in Italia.

In sostanza, i giudici di merito hanno proceduto con ampia motivazione al giudizio comparativo ed escluso, in concreto, che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (percorso motivazionale, questo, non specificamente censurato). Non risultano indicate in ricorso, peraltro, ulteriori ragioni, specifiche ed individualizzate, di vulnerabilità, che fossero state allegate nel merito, diverse da quelle già esaminate in relazione alle altre misure di protezione richieste.

4. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

Essendo stata la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non si applica del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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