Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1880 del 25/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 25/01/2017, (ud. 15/12/2016, dep.25/01/2017),  n. 1880

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20381-2015 proposto da:

R.O., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE ACACIE 13

C/O CENTRO CAF, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO DI GENIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FELICE AMATO, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALI DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO

STUNIPO, VINCENZO TRIOLO, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 891/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO del

08/07/2015, depositata il 28/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato ANTONIETTA CORETTI, difensore del controricorrente,

che si riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 15 dicembre 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“La Corte di appello di Salerno, con sentenza del 28.7.2015, dichiarava l’inammissibilità dell’appello dell’INPS avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato il diritto di R.O. ad ottenere la reiscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli per l’anno 2001 e per n.102 giornate, condannando l’istituto a porre in essere i conseguenti adempimenti.

Per la cassazione della detta decisione ricorre la R., affidando l’impugnazione ad unico motivo, diversamente articolato, cui resiste, con controricorso, l’INPS.

Si denuncia la nullità della sentenza per mancata motivazione per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, e, comunque, per violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. del D.M. n. 55 del 2014 e dei parametri di cui alle tabelle allegate al detto decreto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, rilevandosi in primo luogo che non è indicato il percorso effettuato per raggiungere la quantificazione effettuata in relazione ai compensi professionali. Si deduce, poi, che il valore della controversia era da ritenersi “indeterminabile”, atteso che con una delle domande era stato richiesto il riconoscimento della sussistenza e validità di un contestato rapporto di lavoro agricolo subordinato, e che lo scaglione di riferimento era quello da Euro 26.000,01 ad Euro 52.000,00; che, in base alla tabella 12 allegata al D.M., avuto riguardo ai valori medi di liquidazione per il giudizio di appello, diminuiti del 50%, indicato quale percentuale massima di riduzione degli stessi valori, doveva ritenersi effettuata in violazione degli indicati parametri la determinazione dei compensi nella misura stabilita dalla Corte di Salerno, che aveva disatteso i minimi inderogabili previsti.

La prima delle censure deve essere disattesa, posto che un obbligo di motivazione relativamente alla determinazione dei compensi professionali deve ritenersi sussistere solo in presenza di una nota spese, prodotta dalla parte vittoriosa, in presenza della quale il giudice non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti ma ha l’onere di dare adeguata motivazione dell’eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione all’inderogabilità dei relativi minimi, a norma della L. n. 794 del 1942, art. 24 (cfr. Cass. 14.10.205 n. 20604, riferita alla disciplina vigente ratione temporis).

Fondata è, invece, la seconda censura.

I dati indicati anche con riferimento al valore della causa consentono un controllo autosufficiente, ossia fondato sul solo contenuto del ricorso, sull’effettiva spettanza degli importi indicati e sulla violazione del principio di inderogabilità dei mini tariffari (cfr. Cass. 19.4.2006 n. 27804, Cass. 29.10.2014 n. 22983), posto che l’abolizione dei minimi tariffari può operare nei rapporti tra professionista e cliente, ma che l’esistenza della tariffa mantiene la propria efficacia quando il giudice debba procedere alla regolamentazione delle spese di giudizio in applicazione del criterio della soccombenza (cfr. Cass. 30.3.2011 n. 7293).

Va premesso che nella specie si discute del diritto alla iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli e non del diritto ad una prestazione. In tale ipotesi, come si desume anche da Cass. 26 febbraio 2014, n. 4590, il valore della causa è indeterminabile. Lo stesso, infatti, non suscettibile di concreta quantificazione sulla base di elementi precostituiti e disponibili fin dall’introduzione del giudizio (cfr. Cass. 24 marzo 2004, n. 5901; Cass. 12 luglio 2005, n. 14586).

Ed allora è di tutta evidenza che la liquidazione per intero delle spese di lite del giudizio di secondo grado come operata dalla Corte territoriale, tenuto conto delle voci indicate dal ricorrente, nel rispetto del principio di autosufficienza, con riferimento al valore della causa, abbia violato gli inderogabili minimi tariffari applicabili a termini del D.M. n. 35 del 2014 (cfr. Cass. 29 ottobre 2014, n. 22983).

L’art. 4, comma 1 cit. D.M., prevede che “Ai fini della liquidazione del compenso si tiene conto delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell’affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate. In ordine alla difficoltà dell’affare si tiene particolare conto dei contrasti giurisprudenziali, e della quantità e del contenuto della corrispondenza che risulta essere stato necessario intrattenere con il cliente e con altri soggetti. Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati, di regola, fino all’80 per cento, o diminuiti fino al 50 per cento. Per la fase istruttoria l’aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione di regola fino al 70 per cento”.

Pur non risultando essere stata espletata in grado di appello attività istruttoria (sicchè le voci corrispondenti sono erroneamente computate ai fini della dimostrazione della violazione dei valori tariffari minimi applicabili), deve ritenersi che i parametri indicati dal ricorrente come valori minimi di liquidazione ai sensi dell’indicato D.M. siano stati violati, posto che la riduzione dei valori medi del giudizio di appello poteva avvenire nei limiti del 50%, non potendo essere operate ulteriori riduzioni anche espressamente motivando.

Nella specie, alla luce dei valori espressamente riportati in ricorso per ciascuna delle fasi per le quali risulta svolta attività defensionale (anche ove venga escluso l’avvenuto svolgimento) dell’attività istruttoria), deve ritenersi che il giudice del gravame non si sia attenuto ai valori fissati dal D.M. di riferimento.

Si propone, pertanto, in sede di decisione camerale, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5, accoglimento del ricorso, la cassazione della decisione impugnata in parte qua ed il rinvio della causa alla Corte di appello in diversa composizione per nuove esame alla luce dei principi affermati.

Valuterà il collegio se possa ritenersi esclusa la necessità di ulteriori accertamenti di fatto ai fini della eventuale decisione nel merito della causa ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, seconda parte”.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2,.

Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia, dovendosi solo precisare, con riguardo ai rilievi contenuti nella memoria, che l’attività istruttoria rilevante ai fini della liquidazione del compenso è solo quella di cui al D.M. n. n. 55 del 2014, art. 4, comma 5, lett. c) quando effettivamente svolta. Per il resto, va rilevato che non si evincono dalla sentenza elementi per derogare rispetto al criterio di cui all’art. 5, comma 6 citato decreto (“le cause di valore indeterminabile si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a Euro 26.000,00 e non superiore a Euro 260.000,00, tenuto conto dell’oggetto e della complessità della controversia”).

Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

In conclusione il ricorso va accolto e va cassata, in parte qua, l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, che procederà ad una nuova valutazione e provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al capo sulle spese e rinvia anche per le spese del presente giudizio di legittimità alla Corte di appello di Salerno in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2017

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