Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18795 del 02/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 02/07/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 02/07/2021), n.18795

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1946-2020 proposto da:

N.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO

7, presso lo studio dell’Avvocato LUCA PERONE, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2668/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIAIME

GUIZZI STEFANO.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

– che N.A.M., nella qualità di erede universale di D.B.L.A., ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 2668/19, del 17 giugno 2019, della Corte di Appello di Milano, che – pronunciandosi quale giudice del rinvio a seguito della sentenza n. 16484/17, del 5 luglio 2017, con cui questa Corte aveva cassato la sentenza n. 865/15, del 24 febbraio 2015, della medesima Corte milanese – ha accolto parzialmente il gravame esperito dal Ministero della Giustizia, fissando nella minor somma di Euro 78.214,30 (rispetto a quella di Euro 275.000,00 già liquidata dal Tribunale di Milano, con sentenza n. 10459/11), oltre interessi legali dal 15 maggio 2002 al saldo, quella dovuta dal Ministero all’odierna ricorrente a titolo di risarcimento danni ex art. 2043 c.c., compensando le spese di lite nella misura di due terzi e ponendole, per il restante terzo, a carico del Ministero;

– che, in punto di fatto, la ricorrente riferisce che il D.B. – sul presupposto di aver subito, nell’ambito di un procedimento penale risalente al 1999 e poi archiviato nel 2002, il sequestro, tra altri beni, di numerosi titoli di credito – adiva nel 2007 il Tribunale milanese, convenendo in giudizio il Ministero della Giustizia, per farne valere la responsabilità aquiliana;

– che, in particolare, l’attore lamentava che, ordinata dal G.i.p. presso quello stesso ufficio giudiziario, in accoglimento di una sua istanza, la restituzione dei titoli, il medesimo giudice – investito di un’ulteriore istanza, con la quale l’avente diritto rappresentava la mancata esecuzione del provvedimento restitutorio – dichiarava non esservi alcuna possibilità di ottemperarvi in relazione ad assegni ed effetti cambiari, risultati smarriti, per un valore complessivo di Euro 825.721,361;

– che, su tali presupposti, la domanda risarcitoria veniva accolta dal primo giudice, ancorchè limitatamente alla somma di Euro 275.000,00, esito al quale esso perveniva sul rilievo che per alcuni di quei titoli sarebbe stata eccepibile dall’obbligato la prescrizione del credito, che altri, invece, risultavano protestati, che per taluni non poteva escludersi con certezza che il creditore avesse ricevuto il pagamento spontaneo da parte dei debitori, nonchè, infine, che l’attore non avesse allegato i fatti costitutivi dei singoli crediti;

– che esperito gravame dal solo Ministero (e non anche dall’attore, che dunque non ebbe a contestare la liquidazione di Euro 275.000,00 operata dal primo giudice), il giudice di appello lo accoglieva integralmente, respingendo la domanda del D.B., condannato all’integrale pagamento delle spese dei due gradi di giudizio;

– che il giudice di seconde cure, in particolare, escludeva essere stata raggiunta la prova del danno, in quanto la mancata restituzione dei titoli di credito non comportava il venir meno dei crediti stessi, precisando che tale prova non poteva desumersi dal solo valore nominativo dei titoli, dovendo invece investire, prima ancora che l’entità del pregiudizio in relazione a quanto sarebbe stato pagato dai debitori, la possibilità stessa di conseguire il pagamento;

– che, in altri termini, secondo il giudice di appello, così come il solo possesso dei titoli non determinava alcun vantaggio al possessore, anche la sua perdita non arrecava alcun danno allo stesso;

– che proposto ricorso per cassazione dalla N., quale erede universale del D.B. deceduto “medio tempore”, questa Corte lo accoglieva, rilevando che “il possesso di un titolo di credito, in particolare assegno bancario ed effetto cambiario, pone il creditore in una situazione di vantaggio, in ragione dei caratteri di letteralità, autonomia ed astrattezza propri dei titoli”, sicchè il “venir meno di questa situazione di vantaggio costituisce, di per sè, un danno risarcibile”;

– che questa Corte, pertanto, enunciava il principio di diritto secondo cui, “in caso di fatto illecito altrui che causi al danneggiato la perdita definitiva di titoli di credito consistenti in assegni bancari ed in cambiali, sono risarcibili i danni, da liquidarsi equitativamente”, corrispondenti, tra gli altri, “alla perdita delle azioni cartolari”, qualora le procedure di cui agli artt. 2006,2016 e 2027 c.c. “non siano in concreto esperibili o non vi sia seria probabilità di conseguire i decreti di ammortamento dei titoli all’ordine o nominativi”;

– che cassata la sentenza impugnata e disposto rinvio innanzi alla Corte milanese, per la fase rescissoria conseguente al pronunciato annullamento, essa accoglieva, nuovamente, il gravame del Ministero, ancorchè solo in parte, rideterminando la misura del risarcimento -rispetto a quanto liquidato dal primo giudice – in Euro 78.214,30, oltre interessi legali dal 15 maggio 2002 (data della richiesta di restituzione dei titoli) al saldo;

– che, in particolare, il giudice del rinvio perveniva a tale liquidazione equitativa all’esito del seguente ragionamento;

– che essa, in primo luogo, riduceva il valore dei titoli da Euro 825.721,361 a Euro 782.142,97, tenuto conto della già intervenuta prescrizione (anche di quella decennale, ex art. 2946 c.c., prevista per l’azione causale), di taluni crediti alla data del 15 maggio 2002, alla quale risaliva – come detto – la richiesta di restituzione degli stessi all’autorità giudiziaria penale;

– che, inoltre, su tale somma già decurtata veniva apportata un’ulteriore riduzione, fissando nel 10% della stessa (e dunque in Euro 78.214,30) l’importo del danno risarcibile, attesto che i titoli relativi ai crediti per i quali non era maturata la prescrizione risultavano, “per la maggior parte, risalenti nel tempo”, giustificandosi, pertanto, su tali basi la disposta diminuzione, visto che “secondo l’id quod plerumque accidir, il “ritardo nell’agire contro il debitore, che lasciando impagato un titolo dimostri, se non la propria insolvenza quantomeno una situazione di difficoltà economica, non può che diminuire progressivamente la possibilità di successo della realizzazione del credito”;

– che, infine, la sentenza oggi impugnata compensava tra le parti le spese di lite nella misura di due terzi, ponendole, per il restante terzo, a carico del Ministero;

– che avverso la sentenza della Corte ambrosiana la N. ricorre per cassazione, sulla base – come detto – di quattro motivi;

– che il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.;

– che il motivo censura sia la scelta di porre a carico del Ministero solo nella misura di un terzo le spese dell’intero giudizio (e ciò sul discutibile presupposto, secondo la ricorrente, che essa N. fosse risultata parzialmente vittoriosa, vedendo soddisfatta la propria pretesa risarcitoria in misura minore al richiesto), sia l’omessa liquidazione in favore della ricorrente dell’importo da essa erogato a titolo di contributo unificato del primo giudizio di legittimità, sia, infine, la liquidazione delle spese di detto giudizio in favore dell’Avv. Alessandro Ciampitti, sebbene la ricorrente fosse stata in quella sede difesa da altro difensore antistatario, Avv. Luca Perone;

– che il secondo motivo denuncia – sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione dell’art. 1226 c.c., censurando la sentenza impugnata per aver operato, nella liquidazione del danno, una riduzione del 90% del valore dei titoli in relazione ai quali la stessa Corte territoriale aveva escluso l’intervenuta prescrizione, dando rilievo al “semplice trascorrere del tempo, tempo peraltro trascorso a causa e per colpa del Ministero danneggiato”, nonchè “omettendo di indicare i motivi e le circostanze che hanno indotto quasi ad annullare l’entità del risarcimento”, e segnatamente quali fossero, tra tali circostanze, quelle “dedotte e provate dal Ministero e non semplicemente riconducibili all’id quod plerumque accidit”;

– che il terzo motivo denuncia – nuovamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione degli artt. 1223 e 2056 c.c., lamentando che, sebbene quella del Ministero sia una responsabilità da illecito aquiliano, e dunque quello di essa N. un credito di “valore”, e non di “valuta”, la sentenza impugnata ha calcolato sulla somma dovuta a titolo di risarcimento i soli interessi e non la rivalutazione monetaria, viceversa destinata ad operare, dovendo in questi casi il risarcimento “essere diretto alla completa restitutio in integrum”;

– che, infine, il quarto motivo denuncia – ancora una volta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione dell’art. 2697 c.c.;

– che la ricorrente, in questo caso, lamenta che in base a quanto affermato nella pronuncia rescindente di questa Corte – secondo cui spettava al Ministero danneggiante “dare la prova che, anche se avesse esperito l’azione cartolare (così come quella causale), il creditore non sarebbe stato comunque affatto in grado di realizzare il credito” – era, appunto, il Ministero a dover fornire la prova esimente della propria responsabilità, prova nella specie “assolutamente mancata”, risultando “sopperita da un concreto ragionamento difensivo” operato dal giudice del rinvio;

– che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, il Ministero della Giustizia, chiedendo la reiezione del ricorso;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per l’11 febbraio 2021;

– che il ricorrente ha depositato memoria insistendo nelle proprie argomentazioni.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va accolto, sebbene nei limiti di seguito indicati;

– che i motivi secondo e quarto – da scrutinare congiuntamente, data la loro connessione, attenendo alle modalità con le quali la Corte territoriale ha deciso in ordine sia alla prova del danno risarcibile che alla sua liquidazione – sono fondati;

– che, infatti, non è dato comprendere su quali basi il giudice del rinvio – chiamato ad applicare il principio affermato da questa Corte e secondo cui, “in caso di fatto illecito altrui che causi al danneggiato la perdita definitiva di titoli di credito consistenti in assegni bancari ed in cambiali, sono risarcibili i danni, da liquidarsi equitativamente”, corrispondenti, tra gli altri, “alla perdita delle azioni cartolari”, qualora le procedure di cui agli artt. 2006,2016 e 2027 c.c. “non siano in concreto esperibili o non vi sia seria probabilità di conseguire i decreti di ammortamento dei titoli all’ordine o nominativi”, essendo, peraltro, a carico del danneggiante “dare la prova che, anche se avesse esperito l’azione cartolare (così come quella causale), il creditore non sarebbe stato comunque affatto in grado di realizzare il credito”- abbia operato, ex artt. 1226 e 2056 c.c., l’individuazione del danno risarcibile e (soprattutto) la sua quantificazione;

– che, difatti, la Corte milanese, dopo aver stimato in ben Euro 782.142,97 l’ammontare dei crediti in relazione ai quali, a fronte di una possibile azione causale ancora esperibile dal portatore fino al momento della richiesta di restituzione dei titoli, non risultava maturato il relativo termine decennale di prescrizione (e, dunque, fissando in tale misura il danno “potenziale” da perdita dei titoli di credito), ha ritenuto, tuttavia, di limitare al solo 10% di tale somma la misura del danno concretamente risarcibile;

– che ciò ha fatto, tuttavia, senza chiarire le ragioni di tale computo, non precisando, in particolare, la correlazione esistente tra la misura (tra l’altro, estremamente ingente) della riduzione e l’affermazione secondo cui, in base al cd. “id quod plerumque accidit”, il “ritardo nell’agire contro il debitore (…) non può che diminuire progressivamente la possibilità di successo della realizzazione del credito”;

– che, al riguardo, va rammentato che “l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità”, ma solo a condizione che “la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 13 ottobre 2017, n. 24070, Rv. 645831-01; in senso analogo Cass. Sez. 1, sent. 15 marzo 2016, n. 5090, Rv. 639029-01), essendosi anche precisato che “al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, è necessario che il giudice indichi, almeno sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al “quantum”” (Cass. Sez. 3, sent. 31 gennaio 2018, n. 2327, Rv. 647590-01), risultando, in particolare, censurabili le liquidazioni basate su criteri “manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza”, ovvero l’esito della cui “applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto” (da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 25 maggio 2017, n. 13153, Rv. 644406-01; nello stesso senso già Cass. Sez. 3, sent. 8 novembre 2007, n. 23304, Rv. 600376-01, Cass. Sez. 3, sent. 14 luglio 2004, n. 13066, Rv. 574567-01);

– che, difatti, la “liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. “pura”, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicchè, pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento”, pena, altrimenti, il “vizio di nullità per difetto di motivazione (indebitamente ridotta al disotto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6)”, nonchè quello “di violazione dell’art. 1226 c.c.” (Cass. Sez. 3, sent. 13 settembre 2018, n. 22272, Rv. 650596-01);

– che l’assenza di ogni motivazione, nella presente fattispecie, sui criteri seguiti per la quantificazione del danno, in particolar modo per giustificare la misura elevatissima della falcidia (90%) della somma corrispondente all’ammontare dei crediti in relazione ai quali la prescrizione decennale non era ancora maturata al momento della richiesta di restituzione degli assegni e degli effetti cambiari, integra uno di quei casi definiti in dottrina – con icastica espressione – di “equità cerebrina”;

– che quello seguito, nella presente ipotesi, è un modello di valutazione equitativa non rispondente alla previsione legale di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., a mente del quale (per dirlo con la già ricordata dottrina), “il giudice non può farsi guidare da concezioni personali o da mere intuizioni, col rischio di sconfinare nell’arbitrio”, avendo, invece, “il dovere di ispirarsi a criteri noti e generalmente accolti dall’ordinamento vigente, comportandosi come avrebbe fatto il legislatore se avesse potuto prevedere il caso”;

– che il terzo motivo è, invece, non fondato;

– che, infatti, “la rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell’obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d’ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell’originario “petitum” della domanda risarcitoria”, ma pur sempre “ove non ne siano stati espressamente esclusi” (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 16 dicembre 2014, n. 26374, Rv. 633761-01);

– che, tuttavia, si legge nella sentenza impugnata (pag. 14) che la N. “ha limitato espressamente la propria domanda, quanto agli accessori sull’importo liquidato a titolo di risarcimento, alla attribuzione degli interessi”, con esclusione della rivalutazione, “ratio decidendr con la quale la ricorrente neppure si confronta, come avrebbe, invece, dovuto (Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 3 luglio 2020, n. 13735, Rv. 658411-01);

– che il primo motivo, infine, resta assorbito dall’accoglimento del secondo e del quarto, atteso che la statuizione sulle spese di lite, contenuta nella sentenza impugnata, resta travolta (in ogni sua statuizione) dall’accoglimento del ricorso, dovendo il giudice del rinvio provvedere ad una rinnovata loro regolamentazione;

– che i motivi secondo e quarto vanno, dunque, accolti e la sentenza impugnata cassata in relazione, rinviando alla Corte di Appello di Brescia per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e il quarto motivo di ricorso, rigettando il terzo e dichiarando assorbito il primo, e per l’effetto cassa, in relazione, la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Brescia per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2021

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