Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18793 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 12/07/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 12/07/2019), n.18793

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 465-2018 proposto da:

D.C.P., D.C.A., elettivamente domiciliate in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentate e

difese dall’avvocato ANTONIA DE CHIARA;

– ricorrenti –

contro

S.A.V., G.P.,

G.G.L.D., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato MICHELE

ARNONE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2140/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 02/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO

VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

che, con ricorso affidato a cinque motivi, D.C.P. e D.C.A. hanno impugnato la sentenza della Corte di Appello di Bologna, in data 2 ottobre 2017, che ne rigettava il gravame avverso la decisione del Tribunale di Ferrara, il quale, a sua volta, accertava e dichiarava che il contratto stipulato in data 1 gennaio 2000 per l’uso di due garages era di comodato precario e condannava le D.C. all’immediato rilascio degli immobile in favore dei proprietari, iure hereditatis, G.P., G.G.L.D. e S.A.V.;

che la Corte territoriale segnatamente osservava che: 1) una volta rilevata la nullità della sentenza impugnata per mancata lettura del dispositivo in udienza, il giudice di appello era tenuto comunque a decidere la causa nel merito; 2) era corretta – sulla base del tenore letterale dello stesso contratto, della non previsione di un termine finale, nonchè della corresponsione di un importo mensile modesto (Euro 77,47 comprensivi di tutte le spese) – la qualificazione giuridica del contratto inter partes in termini di comodato precario; 3) il dispositivo della sentenza appellata era idoneo a definire l’oggetto materiale della condanna al rilascio in virtù del puntuale richiamo per relationem al negozio datato 1 gennaio 2000;

che resistono con controricorso G.G.L.D., S.A.V., G.P.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale le ricorrenti hanno depositato memoria;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

preliminarmente, che la memoria depositata dalle ricorrenti sabato 2 marzo 2019 (in ragione dell’adunanza camerale fissata il successivo 7 marzo) è tardiva e, quindi, inammissibile, alla luce del principio (consolidato: tra le altre, Cass. n. 14767/2014 e Cass. n. 21335/2017) per cui l’art. 155 c.p.c., comma 4, diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada in un giorno festivo, ed il successivo medesimo art., comma 5, introdotto dalla L. n. 263 del 200, art. 2, comma 1, lett. f), e diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada nella giornata di sabato, operano anche con riguardo ai termini che si computano “a ritroso” (come, nella specie, quello previsto dall’art. 380 bis c.p.c., comma 2), ovvero contraddistinti dall’assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività. Tale operatività, peraltro, deve correlarsi alle caratteristiche proprie di siffatto tipo di termine, producendo il risultato di individuare il dies ad quem dello stesso nel giorno non festivo cronologicamente precedente rispetto a quello di scadenza in quanto, altrimenti, si produrrebbe l’effetto contrario di una abbreviazione dell’intervallo, in pregiudizio per le esigenze garantite dalla previsione del termine medesimo;

che il ricorso, così come strutturato (con un’esposizione analitica dello svolgimento processuale – da p. 1 a p. 19 -, che si conclude con critiche cumulative e indistinte alla sentenza impugnata ed è poi seguita dai motivi, che vengono brevemente illustrati, supponendo implicitamente – soprattutto per il secondo e terzo motivo in modo palese – che la Corte di Cassazione si cerchi da sè gli oggetti nello svolgimento processuale e quindi individui, compito invece riservato alle ricorrenti, quali essi siano in relazione alla materia del contendere), è possibile scrutinarlo solo là dove e nella misura in cui le censure sono intelligibili ed autonomamente enucleabili;

a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata resa in violazione dell’art. 156, comma 2, e artt. 429,437 e 477 bis, c.p.c., per aver la Corte territoriale omesso di leggere il dispositivo in udienza di discussione, di indicare nel dispositivo un tetiuine per il deposito, nonchè disposto la pubblicazione della sentenza in un giorno diverso da quello in cui si è tenuta l’udienza di discussione;

a.1) il motivo è inammissibile in tutta la sua articolazione.

Lo è anzitutto in relazione alla censura di mancata lettura del dispositivo in udienza, giacchè contrastata – senza che venga proposta querela di falso (tra le altre, Cass. n. 26105/2014) – da quanto risultante dalla stessa sentenza impugnata, in cui si dà atto (cfr. p. 4) che il dispositivo è stato letto all’udienza di discussione del giorno 22 settembre 2017, là dove, poi, le ricorrenti mancano, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di fornire qualsivoglia indicazione sul contenuto del verbale dell’udienza di discussione.

Lo è per le restanti doglianze, non avendo le ricorrenti affatto palesato quale sia il pregiudizio al diritto di difesa loro derivato dalle asserite violazioni di legge processuale (tra le altre, Cass. n. 26831/2014). Ciò ancor prima del fatto che nessuna violazione è ravvisabile nella specie già in forza di una piana lettura delle norme implicate: a) al giudizio di appello, in base all’art. 437 c.p.c., u.c., non si applica il comma 1, dell’art. 429 c.p.c., comma 1; b) ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 438 e 430 c.p.c., la sentenza di appello va depositata in cancelleria entro quindici giorni dalla pronuncia;

b) con il secondo mezzo è rilevata, “nullità della sentenza o del procedimento: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione agli artt. 418 e 295 c.p.c., art. 620, comma 2, art. 684 c.c., e art. 749 c.p.c., come da testo del ricorso pag. 7 e ss. e 18;”

c) con il terzo motivo è prospettata, “Violazione e falsa applicazione di legge: in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (in relazione agli artt. 1362,1363,1803,1571,1573,1574 e 1597 c.c., comma 3, come da testo del ricorso pagg. 15 ss…”.

b.1-c.1) I motivi, da scrutinarsi congiuntamente, sono inammissibili, giacchè (come anche in precedenza evidenziato) non vengono argomentate in modo intelligibile le censure di violazione di legge asseritamente ascritte alla sentenza impugnata, non potendo i ricorrenti, nel rispetto del principio di specificità, meramente rinviare a quanto precedentemente riportato in ricorso in relazione allo svolgimento e alle censure dei gradi precedenti di giudizio, onerando la stessa Corte di legittimità di ricercare al loro interno se un motivo sia stato articolato e di individuare quale sia il suo esatto contenuto (tra le altre, Cass. n. 15936/2018).

d) con il quarto mezzo è rilevata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in violazione dell’art. 115 c.p.c.”, per aver la Corte territoriale erroneamente omesso di valutare le risultanze istruttorie e per aver risolto il caso de quo attraverso “personalissime” cognizioni che non rappresenterebbero la “comune esperienza”;

d.1) il motivo è inammissibile.

Il vizio prospettato dall’odierna ricorrente non è riconducibile al paradigma del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (cfr. tra le altre, Cass., S.U., n. 8053/2014), giacchè anche là dove si assume l’omesso esame di un fatto, nel concreto, si riferisce alla erronea o insufficiente valutazione di documenti istruttori, non specificamente individuati (e non quindi di “fatti storici”) o, comunque, a fatti in ogni caso apprezzati e dalla Corte territoriale e di cui si propone, peraltro confusamente, una diversa lettura, più favorevole alla parte ricorrente.

Nè, in ogni caso, la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., può in alcun modo essere ricondotta al citato art. 360 c.p.c., n. 5, (Cass. n. 11892/2016, Cass., S.U., n. 16598/2016).

e) con il quinto motivo è denunciata, “nullità della sentenza o del procedimento: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., per aver pronunciato extra petita e ultra petita, senza tener conto delle lamentele delle ricorrenti in appello anzi restringendo le proprie domande e puntuali modifiche alla sentenza di primo grado, a ben pochi punti, come illustrati, e essi pure privi di motivazione congrua e legittimamente fondata sia sulle norme di legge sia sul materiale probatorio. Ha disatteso ogni più dettagliata istanza sia si merito sia di rito” (così a p. 26 del ricorso);

e.1) il motivo è inammissibile, giacchè, in patente violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e del coessenziale principio di specificità dei motivi di ricorso, le ricorrenti hanno del tutto omesso di individuare, nell’illustrazione del motivo stesso, quali fossero le specifiche doglianze veicolate in sede di appello non esaminate dalla Corte territoriale e quali le statuizioni della sentenza impugnata non corrispondenti alle domande proposte, là dove, inoltre, si deduce – in manifesta contraddizione con la doglianza di violazione dell’art. 112 c.p.c., – anche la carenza di motivazione, in rapporto alle norme di legge ed al compendio istruttorio, così da rendere non affatto intelligibile l’orientamento del motivo stesso.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna delle ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

La declaratoria di inammissibilità del ricorso per le ragioni innanzi evidenziate, che palesano una proposizione dell’impugnazione in manifesto contrasto con la exacta diligentia esigibile in relazione ad una prestazione professionale altamente qualificata come è quella dell’avvocato, in particolare se cassazionista (tra le altre, Cass. n. 19285/2016, Cass. n. 20732/2016, Cass. n. 27746/2017), comporta, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, la condanna delle ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, della somma equitativamente determinata in dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna le ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 918,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;

condanna, altresì, le ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, ex art. 96 c.p.c., comma 3, della somma di Euro 1.000,00.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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