Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18792 del 20/08/2010

Cassazione civile sez. lav., 20/08/2010, (ud. 23/06/2010, dep. 20/08/2010), n.18792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

G.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE APPIO

CLAUDIO 229, presso lo studio dell’avvocato PANUNZIO PAOLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato CICCARELLI SERGIO, giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCAPULIA SPA, in persona del Presidente, legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ 20

– 13, presso lo studio dell’avvocato MANFREDONIA PIERLUIGI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MOTTA CATALDO, giusta

mandato alle liti a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4917/2008 della CORTE D’APPELLO di BARI del

25/11/08, depositata l’11/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/06/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO LAMORGESE;

e’ presente il P.G. in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.P., formulando due motivi, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza in data 11 dicembre 2008 della Corte di appello di Bari, che in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato l’impugnativa di esso ricorrente al licenziamento intimatogli dalla BancApulia, alle dipendenze della quale aveva lavorato con mansioni di cassiere.

Il giudice del gravame ha ritenuto provata la serie di contestazioni mosse dalla banca al proprio dipendente, per avere effettuato operazioni – circa ottanta, in massima parte prelievi di somme – su libretti di risparmio non autorizzati da rispettivi intestatari, nell’arco di due anni e tutte caratterizzate da artifici vari, che avevano precluso alla banca di accertare prontamente le irregolarita’ attraverso i controlli giornalieri di cassa; tali operazioni sia dal punto di vista oggettivo sia da quello soggettivo per la consapevolezza delle irregolarita’, integravano, ad avviso della Corte di merito, comportamenti di particolare gravita, in violazione degli obblighi di fedelta’ e diligenza, da sanzionare con il licenziamento disciplinare, a prescindere dalla loro inclusione all’interno del codice disciplinare, ed anche in difetto della affissione di questo. Il medesimo giudice ha rimarcato la gravita’ dell’inadempimento da parte del dipendente ai suoi doveri, senza che potesse avere influenza ai fini dell’applicazione della sanzione massima del licenziamento la mancanza o comunque la non considerevole entita’ del danno patrimoniale per la banca.

L’istituto di credito intimato ha resistito con controricorso.

Ravvisati i presupposti per la decisione del ricorso in camera di consiglio, e’ stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., poi ritualmente notificata alle parti e comunicata al Procuratore Generale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2104 cod. civ. in relazione all’art. 2106 stesso codice e alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7 e addebita alla sentenza impugnata di avere ritenuto la lesione del vincolo di fiducia tra datore di lavoro e dipendente per la violazione degli obblighi di fedelta’ e diligenza, trascurando che nella fattispecie in esame il contenuto di detti obblighi e’ in riferimento alle disposizioni impartite dal datore di lavoro per peculiari esigenze di organizzazione del lavoro, disposizioni che non possono essere riconosciute come passibili di sanzioni disciplinari senza una specifica previsione e che percio’ vanno necessariamente comprese nel codice disciplinare: di qui l’errore del giudice del merito per avere escluso l’obbligo della pubblicazione del codice disciplinare.

Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione e censura la sentenza impugnata per avere valutato erroneamente il comportamento contestato al G. come violazione dell’art. 2104 cod. civ., senza considerare che le operazioni ritenute non conformi alle disposizioni della banca erano state eseguite su richiesta del cliente, al quale erano versati gli importi prelevati, e senza la consapevolezza di commettere irregolarita’.

Il ricorso e’ inammissibile.

La relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ. ha il seguente contenuto:

“Rileva il relatore la mancanza del quesito di diritto in relazione al primo motivo e della specifica indicazione riassuntiva dei fatti controversi e decisivi in relazione al secondo motivo”.

“Trattandosi di ricorso proposto contro una sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006, si devono infatti applicare le modifiche al processo di cassazione introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e in particolare la disposizione introdotta dall’art. 366 bis cod. proc. civ., alla stregua della quale l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), stesso codice, deve concludersi, a pena di inammissibilita’, con la formulazione di un quesito di diritto, e nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, sempre a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”.

“Qui, pero’, i motivi nei quali e’ articolato il ricorso non adempiono alle prescrizioni dettate dalla norma ora richiamata ne’ con riferimento alle denunciate violazioni di legge ne’ con riferimento al vizio riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Il Collegio condivide queste osservazioni contenute nella relazione, alle quali peraltro il ricorrente non ha replicato.

Si deve percio’ concludere per l’inammissibilita’ del ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della resistente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 30,00 (trenta/00) per esborsi e in Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a.

Cosi’ deciso in Roma, il 23 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2010

 

 

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