Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1879 del 28/01/2010

Cassazione civile sez. I, 28/01/2010, (ud. 22/10/2009, dep. 28/01/2010), n.1879

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5238/2007 proposto da:

C.G. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati CIRALDO Enrico,

CIRALDO VIRGINIA, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DI C.G., in persona del Curatore Avv.

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A.

BAIAMONTI 4, presso l’avvocato INTERNULLO ROSARIA, rappresentato e

difeso dall’avvocato LI MURA Roberto, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1111/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 09/11/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

22/10/2009 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato E. CIRALDO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione 13 maggio 2002, il signor C.G., opponendosi alla sua dichiarazione di fallimento, chiamò in giudizio, davanti al Tribunale di Catania, la curatela fallimentare la e la creditrice istante, Assimoco s.p.a..

Con sentenza del 3 giugno 2004, il tribunale respinse l’opposizione, avendo accertato che alla data della dichiarazione di fallimento sussisteva lo stato d’insolvenza del C..

Questi propose appello, lamentando l’erroneità delle affermazioni del primo giudice in ordine: A) alla ritenuta legittimità della decadenza dal beneficio del termine, comunicatagli dall’Assimoco, con violazione della clausola contenuta nel verbale di conciliazione conclusa tra le parti in relazione alla mancata riscossione dell’importo accantonato presso il Fondo Agenti, pari a L. 60.000.000 al momento della transazione, e senza considerazione del suo controcredito; B) alla supposta necessità di accantonare materialmente le somme del TFR maturato dai dipendenti, trattandosi di indennità di liquidazione non ancora maturata; C) alla supposta essenzialità del servizio fornito da Albacom, solo suppletivo rispetto a quello della TIM. La sola curatela fallimentare resistette all’appello.

Con sentenza 9 novembre 2006 la Corte d’appello di Catania rigettò il gravame La corte osservò che la discussione sulla legittimità della decadenza dal beneficio del termine non influiva sulla sussistenza del credito contestato di Assimoco, non pagato neppure dopo la costituzione in mora; che i crediti di TFR dei lavoratori dipendenti, ancorchè non scaduti, non erano stati accantonati realmente a norma dell’art. 2120 c.c., come un criterio di corretta amministrazione richiede per tutti gli accantonamenti di legge; che la natura suppletiva del servizio Albacom non escludeva la sussistenza del debito insoluto del fallito. L’insieme perdurante delle predette posizioni debitorie insoddisfatte dimostrava una situazione di oggettiva impotenza economica funzionale, non transitoria, di far fronte regolarmente alle sue obbligazioni.

Per la cassazione dì questa sentenza, non notificata, il signor C. ricorre con atto notificato 31 gennaio 2007 con un unico mezzo, illustrato anche con memoria.

Il Fallimento di C.G. resiste con controricorso notificato il 12 marzo presso il difensore in Catania e il 14 marzo 2007 presso la cancelleria di questa corte.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente denuncia con un unico mezzo la violazione della L. Fall., art. 5, e degli artt. 2120 e 1186 c.c. nonchè vizi di motivazione. La necessità di un esame globale dell’insolvenza, non circoscritto ai singoli inadempimenti dell’imprenditore sarebbe stata dalla corte di merito affermata in teoria ma non applicata in pratica; l’art. 2120 c.c., non potrebbe essere inteso, come nell’impugnata sentenza, nel senso dell’immobilizzazione del denaro invece che come previsione di spesa differita alla cessazione del rapporto di lavoro; e l’art. 1186 c.c., quanto al credito Assimoco, sarebbe stato male applicato, perchè era certo, in base agli elementi della causa, che il C. avrebbe potuto pagare il credito rateizzato della Assimoco con il suo controcredito che maturava per le provvigioni sui premi incassati direttamente alla Assimoco.

Il ricorrente pone dunque i seguenti quesiti: – se nell’accertamento dello stato d’insolvenza può costituire sintomo il TFR, relativo ai dipendenti in servizio al momento della dichiarazione di fallimento, che sia stato contabilizzato ma non immobilizzato; – se l’unico credito, seppure di rilevante importo, contestato e per il quale sia stata illegittimamente intimata la decadenza dal beneficio del termine, possa far parte delle partite debitorie quale espressione d’insolvenza oggettiva e non d’inadempimento oggettivo.

Il ricorso è inammissibile. La commistione di censure di violazione di norme e di vizi di motivazione non consente infatti di identificare dei quesiti di diritto sui quali la corte possa pronunciarsi in modo lineare. Per principio consolidato, infatti, è inammissibile il motivo di ricorso nel cui contesto trovino formulazione, al tempo stesso, censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, ciò costituendo una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366 bis cod. proc. civ. (nel senso che ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione) giacchè si affida alla Corte di Cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere un’autonoma collocazione (Cass. 11 aprile 2008 n. 9470; 23 luglio 2008 n. 20355).

Si deve aggiungere, al dato formale, la considerazione che i due quesiti contraddicono l’affermazione; posta a fondamento del ricorso, della necessità di una valutazione unitaria della situazione dell’impresa, e incorrono esse stesse nel vizio, imputato alla sentenza impugnata, di considerazione atomistica delle singole poste dello stato patrimoniale dell’opponente al fallimento. Traducendosi l’insolvenza nella situazione di incapacità del debitore a fronteggiare con mezzi ordinari le proprie obbligazioni, secondo la previsione della L. fall., art. 5, ciò che conta è la possibilità dell’impresa di continuare ad operare proficuamente sul mercato, fronteggiando con mezzi ordinar le obbligazioni (Cass. 27 febbraio 2001 n. 2830), sicchè questioni concernenti la configurabilità di singole poste passive non hanno alcuna autonomia rispetto al giudizio complessivo espresso dal giudice di merito.

In particolare, quanto al primo quesito, mentre si deve ricordare che il TFR fa certamente parte del passivo, quale debito dell’imprenditore (come si desume dell’art. 2424 c.c., lett. c, del passivo), non può rispondersi in diritto al problema proposto dal ricorrente, perchè nessuna posta passiva, isolatamente considerata, costituisce un sintomo d’insolenza, bensì soltanto una componente significativa dello stato patrimoniale dell’impresa, il cui accertamento deve considerarsi peraltro preventivamente necessario per la ricostruzione di un quadro completo della situazione finanziaria.

Il secondo quesito si svolge sulla base di una serie di assunzioni in punto di fatto, che non identificano violazioni commesse dal giudice di merito, mentre – sotto il profilo del vizio di motivazione – mancano anche di una sintesi che individui il fatto controverso, sul quale il giudice di merito si sarebbe pronunciato con motivazione illogica o insufficiente.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio sono a carico del soccombente e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA