Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1879 del 27/01/2011

Cassazione civile sez. III, 27/01/2011, (ud. 17/11/2010, dep. 27/01/2011), n.1879

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.M.T. (OMISSIS) nella qualità di

assuntrice del Concordato Fallimentare di C.G.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 264, presso lo

studio dell’avvocato MANFRONI ANDREA, rappresentata e difesa

dall’avvocato PORCELLI ALDO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

REALE MUTUA DI ASSICURAZIONI SOCIETA’ (OMISSIS) in persona del

suo legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato GIGLIO ANTONELLA,

rappresentata e difesa dagli avvocati BORRUTO VINCENZO, BORRUTO

ALESSANDRA giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

M.B.V., C.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 111/2005 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, emessa il 26/5/2005, depositata il 09/06/2005, R.G.N.

424/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2010 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;

udito l’Avvocato ALESSANDRA BORRUTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Fallimento di C.G. – dichiarato con sentenza in data 1.10.1989 – in persona del curatore, conveniva, davanti al tribunale di Reggio Calabria, M.V.B. e la società Reale Mutua di Assicurazioni chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni subiti dal fallito a seguito di un sinistro stradale nel quale era rimasto coinvolto.

Si costituiva la società convenuta, mentre restava contumace il M..

Nel corso del giudizio si costituiva, in sostituzione del curatore, L.M.T., quale assuntrice del concordato fallimentare di C.G..

Il tribunale, con sentenza del 4.10.2000, ritenuta l’esclusiva responsabilità del M., dichiarava che il C. aveva diritto ad essere integralmente risarcito da parte dei convenuti in solido, liquidando, in favore dell’assuntrice la somma dovuta a titolo di danno patrimoniale; e dichiarava il diritto del C. a conseguire il risarcimento del danno biologico e morale in separata sede.

L’appello principale proposto dalla società Reale Mutua di Assicurazioni e quello incidentale proposto dalla L. si concludevano, invece, con sentenza della Corte d’Appello in data 9.6.2005, che, in accoglimento del secondo motivo dell’appello principale, dichiarava il difetto di legittimazione attiva della L., con l’assorbimento degli altri motivi dei due appelli; e dichiarava l’inammissibilità dell’intervento spiegato in appello dal C..

Ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi la L..

Resiste con controricorso la Reale Mutua Assicurazioni.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la omessa e/o errata valutazione e insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5) e per falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 111 c.p.c..

Il motivo è fondato.

La Corte del merito ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’odierna ricorrente quale assuntrice del concordato fallimentare.

E’ giunta a tale conclusione affermando che il curatore aveva promosso il giudizio di risarcimento danni, nei confronti del M. e della Società Reale Mutua di Assicurazioni, quale organo dell’ufficio fallimentare e non quale rappresentante del fallito, al fine di acquisire alla massa le somme dovute al fallito in conseguenza del sinistro.

Ha, poi, proseguito sostenendo che ” …a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato fallimentare, i giudizi in corso intrapresi dal curatore del fallimento che riguardano rapporti facenti capo al fallito devono essere proseguiti da lui o nei suoi confronti, avendo egli riacquistato la capacità di stare in giudizio personalmente relativamente ad essi”.

Con la conseguenza che il fallito era il solo a potere sostituirsi al curatore nella prosecuzione del giudizio di risarcimento.

Nè una tale legittimazione sarebbe potuta essere riconosciuta all’assuntrice in forza della procura che le era stata conferita dal fallito con la proposta di concordato fallimentare, non avendo la L. agito in nome e per conto del C., ma in nome proprio, escludendosi altresì che tali somme avrebbero potuto essere di spettanza della L., per il chiaro tenore della proposta di concordato fallimentare che, al punto c) così si esprimeva ” tutti i beni, mobili ed immobili, diritti e ragioni di qualsiasi natura che eventualmente residueranno nell’attivo fallimentare una volta ultimata la liquidazione dei debiti … (ad eccezione delle somme, dei crediti e dei cespiti che a qualsiasi titolo dovessero pervenire al sig. C.G. in data successiva alla omologazione del concordato) resteranno automaticamente acquisiti in piena ed assoluta proprietà della Sig.ra L.M.T. senza bisogno di ulteriori atti”.

I rilievi argomentativi svolti dalla Corte di merito non possono essere condivisi per le ragioni che seguono.

Il curatore del fallimento di C.G. ha convenuto il M. e la sua compagnia di assicurazioni chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni subiti dal fallito in conseguenza del sinistro stradale nel quale il C. era rimasto coinvolto in data 15.3.1989, antecedentemente alla dichiarazione di fallimento, intervenuta il 1 ottobre 1989.

Il curatore, in questo caso, ha proposto un’azione -quella di risarcimento del danno subito – che competeva al fallito, e che lo stesso avrebbe legittimamente potuto esperire se non fosse intervenuto il suo fallimento.

In tale veste, egli non ha agito in sostituzione dei creditori al fine della ricostituzione del patrimonio originario del fallito, e cioè nella veste di terzo, ma ha esercitato un’azione trovata nel patrimonio del fallito stesso, come suo avente causa, ponendosi nella stessa posizione sostanziale e processuale del fallito, quale sarebbe stata se il fallimento non fosse stato dichiarato.

E ciò al fine di fare entrare nel suo patrimonio attività che gli competevano – per essersi il fatto causativo del danno verificato anteriormente alla declaratoria di fallimento – già prima dell’intervenuto fallimento, e che sono indipendenti dal dissesto successivamente verificatosi.

In questa stessa posizione, in caso di chiusura del fallimento per concordato, viene a trovarsi anche l’assuntore del concordato che prosegua il giudizio già iniziato dal curatore (v. anche Cass. 28.10.1982 n. 5629; cass. 18.12.1984 n. 6625; cass. 18.8.1998 n. 8143; cass. 8.9.2004 n. 18059).

La conclusione cui si perviene è avallata da una serie di ulteriori considerazioni.

La proposta di concordato fallimentare al punto 2 prevedeva e conferiva alla L.” la facoltà e legittimazione attiva e passiva di stare in giudizio per la tutela e la realizzazione di ogni diritto patrimoniale del fallito e di esercitare ogni azione correlativa”.

Anche sotto questo aspetto è di tutta evidenza, pertanto, il riconoscimento della piena legittimazione dell’attuale ricorrente a stare in giudizio – proseguendo in quello inizialmente promosso dal curatore – senza la necessità, erroneamente riconosciuta dalla Corte di merito, di un’espressa menzione che essa agiva in nome e per conto del C. nell’atto con il quale, a seguito dell’omologazione del concordato fallimentare, subentrava al curatore.

La L. interveniva, in sostituzione del curatore, al fine di conseguire il risarcimento del danno di natura patrimoniale – acquisibile per questa frazione alla massa attiva della procedura, come correttamente riconosciuto dal primo giudice che lo aveva liquidato in favore dell’assuntrice -, poichè una tale facoltà le era riconosciuta sulla base della proposta di concordato omologato, ed in un questo atto trovava il suo presupposto.

Neppure con riferimento al punto c) della proposta, più sopra riportato, è condivisibile la conclusione cui perviene la Corte di merito.

L’eccezione all’automatico passaggio in proprietà all’assuntrice di beni e diritti residui, una volta soddisfatte le ragioni creditorie ammesse, delle somme, crediti e cespiti “che a qualsiasi titolo dovessero pervenire al sig. C.G. in data successiva alla omologazione del concordato”, deve, infatti, intendersi riferita a quelle situazioni che avessero trovato la loro fonte giustificativa in rapporti successivi all’omologazione del concordato fallimentare, ma non con riferimento a situazioni antecedenti – come quella in oggetto – al fallimento, pena la sostanziale compromissione delle finalità e funzioni concordatarie.

Con il secondo motivo denuncia la omessa e/o errata valutazione e insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5) e per falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) della L. Fall., art. 46.

Il motivo è fondato.

Erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che il danno da perdita della capacità di guadagno futuro non rientri nella massa attiva del fallimento, perchè diritto di natura strettamente personale.

L’affermazione è contraddetta dalla pacifica giurisprudenza in tema di danno patrimoniale futuro; con i conseguenti riflessi sulla L. Fall., art. 46, comma 1.

E’ fuor di dubbio che la menomazione della capacità lavorativa specifica, configurando un pregiudizio patrimoniale, vada ricondotta nell’ambito del danno patrimoniale, e non del danno biologico (v. per tutte Cass. 9.8.2007 n. 17464).

Ora, in tema di danno patrimoniale futuro è principio consolidato quello per cui, ai fini della risarcibilità di quello conseguente alla riduzione della capacità lavorativa specifica (anche in caso di postumi permanenti acclarati), il giudice, oltre a dover accertare in quale misura la menomazione fisica abbia inciso sulla suddetta capacità (e, a sua volta, sulla capacità di guadagno), sia tenuto anche a verificare se e in quale misura nel soggetto leso persista o residui, dopo e malgrado l’infortunio patito, una capacità ad attendere al proprio o ad altri lavori confacenti alle sue attitudini, nonchè alle sue condizioni personali e ambientali in modo idoneo alla produzione di altre fonti di reddito, in sostituzione di quelle perse o ridotte.

Soltanto nell’ipotesi in cui, in forza di detti complessivi elementi di giudizio, risulti una riduzione della capacità di guadagno ed, in virtù di questa, del reddito effettivamente percepito, tale ultima diminuzione è risarcibile sotto il profilo del lucro cessante (v.

per tutte Cass. 21.4.2010 n. 9444).

Sul versante probatorio poi, il danno patrimoniale futuro va valutato su base prognostica, ed il danneggiato, tra le prove, può avvalersi anche delle presunzioni semplici (v. anche Cass. 25.1.2008 n. 1690).

La riduzione della capacità lavorativa generica, vista in sè, e non per l’effetto di un mancato guadagno, è risarcibile, invece, sotto il profilo del danno biologico.

Diversamente, quando alla riduzione della capacità lavorativa generica si associ una riduzione della capacità lavorativa specifica che, a sua volta, dia luogo ad una riduzione della capacità di guadagno, anche futuro.

In questo caso l’indicata diminuzione integra un danno patrimoniale (Cass. 11.8.2000 n. 10725 e succ. conformi).

Quindi, se il danno da perdita della capacità di guadagno futuro integra un danno patrimoniale futuro, è di tutta evidenza che la somma, se riconosciuta a questo titolo, rientri nella massa attiva e non possa essere esclusa dai beni ricompresi nel fallimento, nè con riferimento a quelli di cui al n. 1, nè a quelli di cui al n. 2 della L. Fall., art. 46 (v. anche Cass. 22.7.2005 n. 15493).

Ne consegue la piena legittimazione dell’assuntore del concordato fallimentare a subentrare, con riferimento al riconoscimento di tale somma, al curatore nella relativa azione; somma questa che sarà, se riconosciuta, di spettanza della stessa assuntrice del concordato fallimentare.

Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5.

Il motivo, relativo al governo delle spese processuali, resta assorbito dalle conclusioni in precedenza raggiunte, dovendo le stesse essere oggetto di nuova, complessiva regolamentazione in sede di giudizio di rinvio.

Conclusivamente, vanno accolti il primo e secondo motivo; va dichiarato assorbito il terzo.

La sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Reggio Calabria in diversa composizione.

Le spese vanno rimesse al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo. Dichiara assorbito il terzo. Cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Reggio Calabria in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 17 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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