Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18788 del 02/07/2021

Cassazione civile sez. I, 02/07/2021, (ud. 30/03/2021, dep. 02/07/2021), n.18788

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18094/2017 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Angelico n.

301, presso lo studio dell’avvocato Perugini Arturo, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Perugini Dario, giusta

procura a margine de ricorso;

– ricorrente –

contro

P.G.;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, del 17/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/03/2021 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dopo che la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 1165/2014, aveva annullato, per contraddittoria motivazione, il decreto del 12.5.2009 (successivamente integrato con provvedimento di correzione materiale del 25.11.2009) della Corte d’Appello di Roma, all’esito della celebrazione del giudizio di rinvio, la Corte d’Appello di Roma, con Decreto n. 203 del 2017, emesso in data 17.1.2017, ha rigettato il reclamo proposto da S.G. avverso il decreto del Tribunale di Roma del 3.3.2006 che aveva determinato in Euro 260,00 mensili il contributo dovuto da P.G. per il mantenimento del figlio B..

Il giudice di secondo grado ha ritenuto congrua la misura del contributo in oggetto stabilita dal Tribunale di Roma sia per il periodo in cui B. era ancora minorenne, tenuto conto del breve tempo (un anno) trascorso rispetto all’importo concordato dai coniugi in sede di divorzio, sia per il periodo successivo alla maggiore età, atteso che alle accresciute esigenze di vita del figlio poteva concorrere in più ampia misura la madre che era stata totalmente esonerata dal concorso al mantenimento dell’altra figlia, attraverso le crescenti entrate di cui era divenuta titolare e quelle dello figlio, sia pur parzialmente, attraverso le modalità di inserimento nel mondo del lavoro reperite sin dalla interruzione degli studi superiori.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.G. affidandolo a due motivi.

P.G. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. E’ stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 e della L. n. 898 del 1970, art. 9, per contraddittoria ed illogica motivazione.

Lamenta la ricorrente che il decreto con cui la Corte d’Appello del 2009 aveva in motivazione riconosciuto le accresciute esigenze del figlio B. (successivamente annullato dalla Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 1165/2014, su propria istanza, per contraddittorietà di tale motivazione con il dispositivo con cui era stato, invece, lasciato inalterato l’ammontare del contributo per il mantenimento dello stesso figlio) non era stato impugnato dal sig. P. neppure con ricorso incidentale, con la conseguenza che il principio per cui al figlio dovessero spettare maggiori somme a titolo di assegno di mantenimento era passato in giudicato.

Ciò nonostante, la Corte d’Appello, in sede di rinvio, non aveva disposto l’aumento a carico del sig. P. del contributo per il mantenimento del figlio B., non considerando che, a seguito dell’annullamento da parte della Corte di Cassazione, non era stata demandata alla Corte di merito una nuova decisione nel merito, ma solo la determinazione del contributo al mantenimento in misura superiore a quella erroneamente indicata nel dispositivo del primo decreto della Corte d’Appello.

Come già evidenziato, ad avviso della ricorrente, la vincolatività dell’accertamento demandato al giudice di rinvio derivava dal passaggio in giudicato del decreto stesso per l’omessa impugnazione incidentale da parte del sig. P..

2. Il motivo è infondato.

Va osservato che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1165/2014, ha annullato il decreto della Corte d’Appello di Roma del 12.5.2009 per contraddittorietà tra motivazione e dispositivo, evidentemente ritenendo che il contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza fosse insanabile e tale da non consentire di individuare la statuizione del giudice attraverso una valutazione di prevalenza di una delle contrastanti affermazioni contenute nella decisione (vedi Cass. n. 5939 del 12/03/2018).

Ne consegue che, a seguito dell’annullamento da parte di questa Corte, è stata demandata una nuova decisione nel merito al giudice di rinvio, il quale non era affatto vincolato – come invocato dalla ricorrente – alla mera determinazione del contributo di mantenimento in misura superiore a quella del decreto della Corte d’Appello del 2009, poi annullato.

Priva di fondamento è, inoltre, l’affermazione secondo cui il principio per cui al figlio B. dovessero spettare maggiori somme a titolo di assegno di mantenimento, contenuto nella parte motiva del decreto della Corte d’Appello del 2009, fosse assistito dal giudicato, sul rilievo che tale decreto non era stato oggetto di impugnazione incidentale da parte del P..

L’odierno intimato non aveva, infatti, alcun interesse giuridico a proporre ricorso incidentale, dal momento che il decreto della Corte d’Appello del 2009 non aveva aumentato, rispetto a quanto precedentemente statuito dal Tribunale di Roma, la misura del contributo al mantenimento del figlio B. previsto a suo carico. Erano state solo evidenziate le accresciute esigenze del figlio legate alla maggiore età, ma senza che neppure nella motivazione dello stesso decreto fosse stato in alcun modo quantificato un incremento del contributo in oggetto.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 91 c.p.c..

Lamenta la ricorrente che la Corte d’appello, cui questa Corte aveva demandato la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, lo aveva ingiustamente ed illegittimamente condannato al pagamento delle spese sia del giudizio di merito che di quello di legittimità, nonostante lo stesso fosse risultato vittorioso in entrambi i gradi.

4. Il motivo presenta profili di infondatezza ed inammissibilità.

In primo luogo, il ricorrente non è affatto risultato vincitore nel grado di merito con riferimento sia all’impugnato decreto della Corte d’Appello, sia (per le ragioni sopra illustrate) a quello dello stesso giudice del 2009. Quanto al giudizio di legittimità, se è pur vero che il ricorrente è risultato vincitore con riferimento alla domanda di mantenimento del figlio, tuttavia, in quello stesso grado – come emerge dalla lettura del decreto impugnato (pag. 6) – lo stesso è risultato soccombente per altro profilo e, in relazione a ciò, la Corte d’Appello non lo ha condannato al pagamento integrale delle spese di quel grado, ma solo alla metà delle spese, disponendo la compensazione per la residua metà.

Tale statuizione non è sindacabile in sede di legittimità.

In proposito, questa Corte, anche recentemente, ha affermato che in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Ne consegue che il sindacato della Corte di cassazione è, pertanto, limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti. (Cass. n. 19613 del 04/08/2017).

Non si liquidano le spese di lite, non avendo l’intimato svolto difese.

PQM

Rigetta il ricorso.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2021

 

 

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