Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18786 del 26/09/2016


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Cassazione civile sez. VI, 26/09/2016, (ud. 15/06/2016, dep. 26/09/2016), n.18786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14279-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente-

contro

PROGETTO CASA SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

T.F., T.C., G.C., tutti

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BERTOLONI 3, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO ZENNARO, rappresentati e difesi dall’avvocato

FEDERICO VENERI giusta procura in calce al ricorso;

– controricorrenti –

nonchè contro

– intimati –

avverso la sentenza n. 2059/04/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DI BOLOGNA del 25/11/2014, depositata il 25/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. VELLA PAOLA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue.

1. Con il primo motivo si deduce “violazione o falsa applicazione dell’art. 2700 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto la C.T.R. non avrebbe considerato che, essendo il p.v.c. atto pubblico facente piena prova fino a querela di falso, ai fini del valore di prova legale delle dichiarazioni di terzi rese ai pubblici ufficiali sarebbe sufficiente la trascrizione del loro contenuto essenziale nello stesso p.v.c., senza necessità della loro materiale allegazione.

2. Con il secondo mezzo si censura altresì la “violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere la C.T.R. “liquidato gli altri elementi utilizzati nella ricostruzione (maggiori valori rispetto ai dati OMI ed elevato importo dei mutui rispetto al prezzo di vendita dichiarato) come non provati per confermare integralmente la sentenza appellata”, mentre “sia le dichiarazioni dei terzi, sia i mutui sottoscritti dagli acquirenti, nonchè i valori OMI avrebbero potuto assurgere da presunzioni semplici ad elementi idonei a fondare l’avviso di accertamento poichè caratterizzati da gravità, precisione e concordanza, come richiesto ai fini della legittima rettifica dei redditi dichiarati”, tanto più che “nel caso di specie l’avviso conteneva una completa ricostruzione dei fatti e delle ragioni per cui l’Agenzia, partendo dalla accertata antieconomicità dell’operazione non adeguatamente giustificata dall’impresa, la CTR non avrebbe dovuto concludere per l’illegittimità dell’avviso” (così a pg. 10).

3. Il primo motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza gravata, nella quale non si rinviene alcuna statuizione che violi (o falsamente applichi) il disposto dell’art. 2700 c.c..

4. Invero i giudici d’appello si limitano a rilevare, per un verso, che la mancata allegazione al p.v.c. della documentazione richiamata nelle sommarie dichiarazioni rese dai terzi intervistati non aveva consentito al contribuente “di conoscere appieno le dichiarazioni in “argomento” e, per altro verso, che alle “informazioni acqusite dalla GdF nel corso delle indagini amministrative” si nega “valore di testimonianza”.

4.1. In effetti, per consolidato orientamento di questa Corte “le dichiarazioni del terzo, raccolte da verificatori o finanzieri e inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito nell’avviso di accertamento” – lungi dal partecipare del valore di prova legale che l’art. 2700 c.c., conferisce, fino a querela di falso, solo alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonchè alle dichiarazioni ed ai fatti che questi attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, non certo alla veridicità od esaustività del loro contenuto – “hanno il valore indiziario di mete informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, utilizzabili dal giudice quale elemento di convincimento”, potendo semmai “assurgere a fonte di prova presuntiva” (cfr. Cass. sez. 5^, nn. 6946/15, 8369/13, 21812/12, 20032/11, 11785/10).

4.2. In concreto, peraltro, il rilievo della mancata allegazione al p.v.c. tanto delle dichiarazioni dei terzi, quanto della documentazione di riferimento (“ricevute, quietanze o quanto altro”), va letto alla luce delle specifiche contestazioni svolte dai contribuenti in ordine alla inattendibilità ed incompletezza delle “sommarie dichiarazioni dei soggetti intervistati”.

5. Anche il secondo motivo è inammissibile.

6. Invero, sotto l’apparente contestazione di violazioni di legge, si cela in realtà una contestazione sulle argomentazioni addotte a supporto della decisione – segnatamente sulla valutazione, da parte del giudice di secondo grado, degli elementi probatori acquisiti agli atti del giudizio, peraltro conforme a quella dei giudici di prime cure – non adeguatamente veicolata da una denunzia di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. (per difetto di sussunzione).

7. Del resto, anche il controllo di adeguatezza e logicità della motivazione – nella forma più penetrante consentita prima della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – non avrebbe mai potuto sostanziarsi nella revisione del ragionamento decisorio, altrimenti risolvendosi in una vera e propria riformulazione del giudizio di fatto, incompatibile con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 14233/15, 961/15, 959/15), ove spetta in via esclusiva al giudice di merito la selezione degli elementi del suo convincimento (cfr. Cass. nn. 962/15, 26860/14).

7.1. Nel caso di specie il collegio ha puntualmente valutato tutti gli elementi indiziari allegati dall’amministrazione (dichiarazioni di terzi, dati OMI, importo dei mutui) ritenendone l’inadeguatezza, anche alla luce delle ulteriori emergenze istruttorie (dichiarazioni contrastanti e prive di riscontri; utilizzo di tabelle OMI relative ad altri Comuni ed in vigore alla data del rogito, piuttosto che del compromesso; risultanze contrarie della perizia svolta in sede penale), e concludendo che “non emergevano elementi comprovanti la fondatezza dei rilievi accertati nei confronti della società, talchè anche il maggior reddito di partecipazione attribuito ai soci risultava censurabile non avendo l’asserita erogazione di somme da parte della società trovato effettivo e reale riscontro”.

8. Quanto poi al riferimento alla “accertata antieconomicità dell’operazione”, il ricorso difetta di autosufficienza, non essendo stati trascritti gli atti dai quali tale circostanza sarebbe emersa, tanto più alla luce della eccezione di inammissibilità della questione, sollevata dai controricorrenti in ragione della sua assoluta novità.

9. Al rigetto del ricorso segue la condanna dell’amministrazione ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore dei controricorrenti, nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 5.800,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 – bis.

Cosi deciso in Roma, il 15 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2016

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