Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18786 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. I, 12/07/2019, (ud. 14/06/2019, dep. 12/07/2019), n.18786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17668/2018 r.g. proposto da:

I.S., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Andrea

Maestri, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in

Ravenna, Via Meucci n. 7.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso ex lege

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma

Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, depositata in

data 13.2.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/6/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bologna – decidendo sull’appello proposto da I.S., cittadino del Pakistan, avverso il provvedimento emesso in data 7.10.2016 dal Tribunale di Bologna (con il quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente) – ha confermato il diniego della richiesta protezione sussidiaria ed umanitaria (avendo il ricorrente fatto acquiescenza in relazione al rigetto della domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato), rigettando, pertanto, l’appello.

La corte del merito ha ritenuto che la domanda di protezione sussidiaria non poteva essere accolta perchè in via preliminare non era stato ritenuto credibile il racconto del richiedente in ordine alle ragioni che lo avevano indotto ad espatriare: il ricorrente aveva, infatti, raccontato di aver denunciato un suo cliente, dopo aver causalmente scoperto all’interno della abitazione di quest’ultimo (e nel mentre era intento ad eseguire un lavoro di riparazione) una cassetta piena di armi e, in seguito a questo episodio, di aver subito dal denunciato aggressioni, nelle quali erano rimasti uccisi il padre ed il fratello. La corte distrettuale ha comunque avvertito che la vicenda raccontata dal richiedente non poteva essere ricondotta in alcun modo alle ipotesi di protezione sussidiaria riconosciute dal nostro ordinamento, non potendosi rintracciare nel Pakistan una situazione di violenza generalizzata e dovendosi invece ritenere che il sistema giudiziario pakistano sia adeguato a proteggere i cittadini e a sanzionare i colpevoli dei crimini commessi, come quelli oggetto di denuncia da parte del ricorrente; ha aggiunto, in relazione alla reclamata protezione umanitaria, che il ricorrente non si trovava in una condizione di particolare vulnerabilità soggettiva e che anche il percorso di inserimento socio-lavorativo in Italia non giustificava di per sè il rilascio del relativo permesso di soggiorno temporaneo.

2. La sentenza, pubblicata il 13.2.2018, è stata impugnata da I.S. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo la parte ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 3, 14 e 17, del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e art. 12, comma 3, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra – si duole del mancato riconoscimento della reclamata protezione sussidiaria. Si denuncia come erronea la valutazione giudiziale in ordine alla situazione di rischio terroristico all’interno del Pakistan e della regione del Punjab (da cui dichiara di provenire il ricorrente) e si osserva come la decisione impugnata non avesse considerato che il richiedente appartiene alla minoranza musulmana sciita, che è vessata storicamente dai due gruppi militanti sunniti Lashakar – e – Jhangvi e Teherek – e – Taliban, responsabili di plurimi attacchi terroristici.

2. Con il secondo motivo si articola, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra. Si osserva come la motivazione impugnata non avesse in alcun modo considerato la situazione del paese di transito del richiedente (la Libia, ove aveva subito violenze e vessazioni), sempre al fine di valutare la situazione di particolare vulnerabilità del richiedente.

3. Con un terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di omesso esame di un fatto decisivo in relazione sempre alla domanda di protezione internazionale per non aver la motivazione impugnata considerato i presupposti posti alla base del peculiare titolo di soggiorno temporaneo.

4. Il ricorso è infondato.

4.1 Il primo motivo di censura è tuttavia inammissibile.

Il ricorrente propone, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, censure in fatto, come tali volte alla rilettura degli atti istruttori per la rivalutazione della situazione socio-politica del Pakistan, questione quest’ultima sulla quale la Corte territoriale ha invece argomentato in modo adeguato, con motivazione scevra da criticità argomentative censurabili in questa sede decisoria.

Sul punto, non può essere dimenticato che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (così, da ultimo, anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).

4.2 Il secondo motivo presenta sia profili di inammissibilità che di infondatezza.

4.2.1 In primo luogo, occorre evidenziare come la doglianza sollevata in ordine alla mancata valutazione da parte del provvedimento impugnato della situazione del paese di transito si presenti come deduzione nuova, non introdotta, come tale, nel dibattito processuale delle parti innanzi ai giudici del merito, e dunque si connoti sotto tale profilo come irrimediabilmente inammissibile.

4.2.1 Ma anche a voler superare tale pur assorbente profilo, occorre evidenziare come la giurisprudenza di questa Corte abbia già chiarito che, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 31676 del 06/12/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 2861 del 06/02/2018). Situazione quest’ultima neanche prospettata da parte del ricorrente.

Ne consegue il rigetto del secondo motivo di censura.

4.3 Il terzo motivo è anch’esso inammissibile per genericità.

Sul punto osserva la Corte come la parte ricorrente, dopo aver allegato il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, non abbia dedotto, se non genericamente, quali fossero i fatti il cui omesso esame nel dibattito processuale avrebbe determinato il vizio denunciato.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA