Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18785 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. II, 10/09/2020, (ud. 04/02/2020, dep. 10/09/2020), n.18785

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20934/2019 proposto da:

A.E., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIANFRANCO

PASSARETTI, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in

ROMA, VIA PRASSITELE 8;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ope legis dalli Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3534/2019 della CORTE d’APPELLO di VENEZIA

depositata il 18/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/02/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.E., cittadino (OMISSIS), proponeva appello avverso l’ordinanza del 2.5.2018, con cui il Tribunale di Venezia rigettava l’opposizione avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Verona – Sez. di Padova, che non gli aveva riconosciuto la protezione internazionale, nè quella sussidiaria e neppure quella umanitaria.

Il MINISTERO dell’INTERNO non si costituiva in giudizio.

L’appellante raccontava di essere orfano di padre, di avere cinque sorelle e due fratelli e di essersi allontanato dal proprio paese a causa del suo fidanzamento con una ragazza di religione musulmana e dell’atteggiamento del padre di lei che, contrario al matrimonio, lo avrebbe minacciato di morte.

In tale contesto il Tribunale non ravvisava i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, anche non ritenendo credibile il racconto, considerato privo di coerenza e, d’altro canto, escludendo i presupposti per la protezione sussidiaria, sia per l’insussistenza del pericolo di grave danno personale, sia in relazione alle condizioni socio-politiche della Nigeria.

Con sentenza n. 2534/2019, depositata in data 18.6.2019, la Corte d’Appello di Venezia rigettava il gravame.

La Corte distrettuale confermava che l’evento posto a giustificazione dell’allontanamento dal paese d’origine fosse stato narrato dal richiedente, anche dinanzi al Giudice di primo grado, in modo assolutamente generico; nè l’appellante aveva proposto alcuna specifica censura al giudizio di inattendibilità della narrazione, limitandosi a ribadire la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale.

La Corte territoriale sottolineava come difettassero i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, che presuppone l’esistenza di un fondato timore di essere perseguito dall’autorità dello Stato per appartenenza a un’etnia, associazione, credo politico o religioso, dal momento che la vicenda era da ricondurre a rapporti di tipo familiare.

Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, si evidenziava che il richiedente non avesse mai fatto cenno alla situazione generale del suo paese quale fonte di effettivo pericolo per la sua incolumità in caso di rimpatrio, riconducendo i propri timori alla mera minaccia del padre della fidanzata, per cui erano da escludere le ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b). Nè ricorreva l’ipotesi di cui alla lett. c) del suddetto D.Lgs., ritenendo il Giudice di secondo grado di condividere la motivazione dell’ordinanza del Tribunale, la quale escludeva che in Nigeria vi fosse una situazione di violenza generalizzata o di conflitto armato o infine di anarchia senza alcun controllo da parte delle autorità. Infatti, pur avendo il paese conosciuto un periodo di notevole instabilità, a causa della penetrazione in vaste zone dei fondamentalisti islamici facenti capo a (OMISSIS), negli anni 2012-2014, dal Rapporto Annuale del 2016 di Refworld risultava che l’occupazione fosse limitata alla zona Nord Est del paese, mentre il richiedente proveniva dall’Edo State, ovvero dalla zona posta a Sud del paese, nell’area del delta del Niger. Peraltro la circostanza, valorizzata dall’appellante, secondo cui il paese sarebbe stato caratterizzato da scontri tra bande, sette, gruppi politici o comunità, non configurava la situazione di conflitto armato, interno o internazionale, necessaria ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

Neppure si riscontravano i presupposti per la protezione umanitaria D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 32, comma 3, difettando qualsiasi elemento idoneo a definire la presumibile durata di un’esposizione a uno specifico rischio. Quanto all’inserimento lavorativo documentato, la Corte di merito riteneva che, proprio in considerazione della vicenda narrata, dovesse escludersi che il rimpatrio potesse privare il richiedente dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, secondo i criteri enunciati dalla sentenza in tema di protezione umanitaria (Cass. n. 4455 del 2018); e ciò anche in considerazione della non credibilità della vicenda.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione A.E. sulla base di due motivi; resiste il Ministero dell’interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e art. 17 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia rilevabile d’ufficio”, in quanto il Giudice di merito ha l’onere di verificare quale sia la situazione attuale del paese di provenienza del richiedente, nonchè dell’esistenza del pericolo di danno grave alla persona per situazioni di violenza indiscriminata e di conflitto armato nella zona di provenienza del medesimo. Si evidenzia che la Nigeria è comunque caratterizzata da uno stato di insicurezza diffuso in tutto il paese, che risulta in parte del tutto incontrollabile dalle autorità locali. La situazione di violenza indiscriminata che caratterizza la Nigeria è confermata anche dalla giurisprudenza di merito che, alla luce delle ultime informative, ha esteso l’applicabilità della tutela sussidiaria dei cittadini provenienti da zone in cui è diffusa la formazione terroristica di (OMISSIS) a tutto il territorio della Nigeria.

1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 2 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al mancato riconoscimento della sussistenza di gravi motivi di carattere umanitario”, in quanto il diritto alla protezione umanitaria può essere riconosciuto al cittadino di un paese terzo, in presenza di oggettive e gravi situazioni personali che non consentano l’allontanamento dal territorio nazionale.

2. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

2.1. – I motivi sono infondati.

2.2. – Prescindendo dall’esame dei vizi di inammissibilità del primo motivo, formulato con contestuale riferimento alla asserita violazione dei parametri di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, va rilevato nel merito che questa Corte ha chiarito che “in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona”, cosicchè “qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. n. 16925 del 2018).

Come precisato, inoltre (Cass. n. 14006 del 2018) con riguardo alla protezione sussidiaria dello straniero, prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), “l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale implica o una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente, laddove il medesimo sia in grado di dimostrare di poter essere colpito in modo specifico, in ragione della sua situazione personale, ovvero la dimostrazione dell’esistenza di un conflitto armato interno nel Paese o nella regione, caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire detta minaccia”.

Nel ricorso, viceversa non si spiegano le ragioni per le quali, nello specifico, sussisterebbero i presupposti per il riconoscimento della tutela in favore del ricorrente, limitandosi il ricorrente a riferire del rischio in caso di suo rientro nel paese d’origine, derivante dalla condotta del padre della fidanzata per motivi esclusivamente religiosi.

2.3. – Piuttosto, il ricorrente sembra sostenere che la valutazione di pericolosità non potrebbe essere neutralizzata sulla base della settorialità dell’approccio e all’asserita presenza del rischio solo in certe zone del Paese.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel dare attuazione alla direttiva 2004/83/Ce con il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 25, il legislatore si è avvalso della facoltà, prevista dall’art. 8 di essa, di non escludere la protezione dello straniero, che ne abbia fatto domanda, per il solo fatto della ragionevole possibilità di trasferimento in altra parte del paese di origine, nella quale non abbia fondato motivo di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire gravi danni, non può essere rigettato la domanda di protezione per il solo fatto della ravvisata possibilità di trasferimento (Cass. n. 2294 del 2012; Cass. n. 8399 del 2014; Cass. n. 21903 del 2015). Se è vero quindi che per la giurisprudenza della Corte la settorialità della situazione di rischio di danno grave nella regione o area di provenienza interna dello stato di origine del richiedente asilo di origine non preclude l’accesso alla protezione per la sola possibilità di trasferirsi in altra area o regione del Paese, priva di rischi analoghi, non vale certamente il contrario: non è possibile, cioè, ottenere accesso alla protezione se si proviene da una regione o area interna del Paese di origine sicura (come nella specie), per il solo fatto che vi siano nello stesso Paese anche altre aree o regioni invece insicure (Cass. n. 13088 del 2019; Cass. n. 18540 del 2019).

2.4. – Laddove, poi, anche l’affermazione finale, con la quale il ricorrente “ritiene dunque che il Giudice abbia errato nel non ritenere sussistenti i gravi motivi di natura umanitaria tale da giustificare il riconoscimento del permesso di soggiorno D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6” rende palese lo scopo improprio del ricorrente di contestare globalmente le motivazioni poste a sostegno della decisione impugnata, risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di appello (Cass. n. 1885 del 2018); così, inammissibilmente, rimettendo al giudice di legittimità il compito di isolare le singole doglianze teoricamente proponibili, onde ricondurle a uno dei mezzi di impugnazione enunciati dal citato art. 360 c.p.c., per poi ricercare quali disposizioni possano essere utilizzabili allo scopo; in sostanza, dunque, cercando di attribuire al giudice di legittimità il compito di dar forma e contenuto giuridici alle generiche censure del ricorrente, per poi decidere su di esse (Cass. n. 22355 del 2019; Cass. n. 2051 del 2019).

3. – Il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare a controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2020

 

 

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