Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18782 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. I, 12/07/2019, (ud. 06/06/2019, dep. 12/07/2019), n.18782

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14840/2014 proposto da:

S.A.M., elettivamente domiciliata in Barletta Via

L. De Nittis n. 12, presso lo studio dell’avvocato Troilo Brigida,

rappresentata e difesa dall’avvocato Topi Francesco M.A., giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Popolare di Puglia e Basilicata S.p.a., Curatela Fallimentare

della Società (OMISSIS) S.r.l.;

– intimate –

avverso il decreto del TRIBUNALE di FOGGIA, depositato il 03/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/06/2019 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto depositato il 3 aprile 2014 il Tribunale di Foggia, nel giudizio di opposizione L. Fall., ex art. 98 instaurato da Banca Popolare di Puglia e Basilicata s.c.p.a. (nel quale vi era stato l’intervento in causa dell’avv. S.A.M.) avverso il decreto con cui il G.D. del fallimento (OMISSIS) s.r.l. aveva rigettato la domanda di insinuazione del credito vantato dal predetto istituto di credito, ha dichiarato l’inammissibilità dell’intervento del terzo, in quanto esperito oltre il termine perentorio stabilito dalla L. Fall., art. 99, comma 8 ed accolto l’opposizione della Banca, ammettendo la medesima in via ipotecaria per il credito di Euro 211.494,30, in via privilegiata D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 44, comma 2 per il credito di Euro 32.400,09, in via chirografaria per l’importo di Euro 25.799,24.

Il Tribunale di Foggia, nell’accogliere la predetta opposizione, ha rigettato sia l’eccezione di revocabilità L. Fall., ex art. 66sollevata dal curatore, ritenendo che non fosse stata fornita la prova dell’eventus damni e della scientia decoctionis da parte della banca, sia l’eccezione di indeterminatezza del credito vantato dall’istituto di credito.

Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione S.A.M. affidandolo a tre motivi, depositando, altresì, la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

La curatela del fallimento (OMISSIS) s.r.l. e la Banca Popolare di Puglia e Basilicata s.c.p.a. non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo S.A.M. ha dedotto la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 91 c.p.c., comma 1, parte prima, art. 92 c.p.c., commi 1 (seconda parte) e 2 e art. 113 c.p.c., comma 1.

Lamenta la ricorrente che, stante la preventiva e pregiudiziale dichiarazione d’inammissibilità dell’intervento, le proprie istanze, eccezioni, produzioni e deduzioni non sono state prese in considerazione, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere esonerata da qualsiasi partecipazione alle spese del giudizio e della CTU svolta nel giudizio di opposizione.

Espone che la condanna alle spese deve essere emessa a carico della parte soccombente e non di quella (ovvero la sua) estromessa dal giudizio le cui posizioni non sono state oggetto di alcun tipo di valutazione.

In ordine al concorso nel pagamento delle spese di CTU, rileva la ricorrente che il proprio intervento in causa è avvenuto dopo che la causa, già trattenuta in decisione, è stata rimessa sul ruolo per l’espletamento di una CTU disposta d’ufficio dal Tribunale, con la conseguenza che l’ammissione della CTU non è in alcun modo riconducibile all’attività processuale posta in essere dal creditore intervenuto.

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 91 c.p.c., comma 1, parte prima, art. 92 c.p.c., comma 1 (seconda parte) e comma 2 e art. 113 c.p.c., comma 1 e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.

Lamenta la ricorrente che il Tribunale ha omesso di decidere sui punti fondamentali della controversia prospettati dal creditore intervenuto, anche ai soli fini della condanna alle spese.

3. Il primo ed il secondo motivo, da esaminare unitariamente attenendo entrambi alla statuizione di condanna alle spese del giudizio, sono inammissibili.

Questa Corte, anche recentemente, ha affermato che in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti. (Cass. n. 19613 del 04/08/2017).

Nel caso di specie, non vi è dubbio che avendo il Tribunale di Foggia dichiarato l’inammissibilità dell’intervenuto in causa della ricorrente la quale non è stata affatto estromessa dal giudizio – la stessa, in ragione della propria soccombenza, non possa dolersi della condanna alle spese di lite, nè per essere stata condannata a concorrere al pagamento delle spese della consulenza tecnica d’ufficio, che le sono state parimenti accollate secondo il principio della soccombenza.

Peraltro, proprio in ragione della inammissibilità dell’intervento in causa, del tutto correttamente il Tribunale adito non ha esaminato il merito della domanda della terza intervenuta.

4. Con il terzo motivo è stata dedotta l’illegittimità costituzionale della L. Fall., artt. 97,98 e 99 laddove non prevedono la previa la comunicazione delle opposizioni al passivo fallimentare, al fine dell’intervento, ai creditori concorrenti e nella parte in cui non prevedono la rimessione in termine del creditore tardivo per causa a lui non imputabile.

Tale questione è stata sollevata in relazione agli artt. 3,24,101,104 e 111 Cost., per disparità di trattamento rispetto alla posizione dei creditori supertardivi, che possono provare la non imputabilità del ritardo, nonchè a quella degli opponenti allo stato passivo, posti nelle condizioni di conoscere o ricevere comunicazione del termine per la costituzione o intervento tempestivo.

Lamenta la ricorrente che la disciplina prevista dalla L. Fall., art. 99 per l’intervento in causa è estremamente rigida (deposito in cancelleria di memoria difensiva entro il termine di dieci giorni prima dell’udienza di prima comparizione nella quale devono essere sollevate, a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio nonchè indicare specificamente i mezzi di prova), privando di fatto l’istituto di ogni concreta chance applicativa, atteso che il legislatore non prevede affatto che al soggetto interessato all’intervento sia fatta comunicazione nè dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione, nè del provvedimento presidenziale che fissa l’udienza di comparizione.

5. Il motivo è infondato, essendo la questione di illegittimità costituzionale sollevata manifestamente infondata.

In primo luogo, non può certo invocarsi una disparità di trattamento rispetto alla norma che consente la proposizione della domanda di insinuazione al passivo dei creditori supertardivi che dimostrino la non imputabilità del loro ritardo. Si tratta di una situazione completamente diversa e non minimamente comparabile, in relazione alla quale il richiamo all’art. 3 Cost. è del tutto inconferente.

Nè si può invocare che il nostro ordinamento, al fine di consentire a “qualunque interessato” di intervenire in giudizio, debba imporre a tutti i creditori, la cui domanda di insinuazione allo stato passivo sia stata rigettata, che provvedano a notificare l’opposizione L. Fall., ex art. 98 a tutti i potenziali creditori del debitore fallito (peraltro non tutti identificabili) – nel caso di specie, la ricorrente era pure creditore tardivo – o che debba prevedere una particolare pubblicità per i decreti presidenziali di comparizione delle parti emessi a seguito dell’instaurazione di un giudizio di opposizione allo stato passivo. Tali oneri di comunicazione, ai fini dell’intervento in causa di un terzo, non sono previsti neppure nel giudizio di cognizione ordinaria nel quale non è minimamente prevedibile il momento di instaurazione di una determinata controversia, e ciò a differenza dei giudizi di opposizione allo stato passivo nei quali l’impugnazione può essere proposta al massimo entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione di cui alla L. Fall., art. 97, da parte del curatore, dell’esito del procedimento di accertamento del passivo.

Peraltro, se è pur vero che nel giudizio ordinario l’intervento può avvenire sino al momento della precisazione delle conclusioni, tuttavia, a norma dell’art. 268 c.p.c., comma 2, il terzo non può compiere atti che al momento del suo intervento non sono più consentiti alle altre parti ed è parimenti soggetto a rigide preclusioni nella proposizione di domande, eccezioni, oltre che istruttorie.

Pertanto, nel giudizio di opposizione L. Fall., ex art. 98, dovrà quindi essere cura di eventuali interessati verificare costantemente presso la cancelleria dei Tribunali la eventuale istaurazione di giudizi di opposizione allo stato passivo nell’immediatezza dell’avvenuta comunicazione ex art. 97 legge cit. del decreto che ha deciso le domande di insinuazione allo stato passivo.

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi gli intimati costituiti in giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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