Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18781 del 28/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 28/07/2017, (ud. 12/06/2017, dep.28/07/2017),  n. 18781

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.P., (C.F.: (OMISSIS));

rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dagli

avvocati Carlo de Marchis (C.F.: DMR CRL 64E02 G702F) e Pier

Francesco Valdina (C.F.: VLD PFR 68E23 G478Z)

e da:

RA.CO.FIN. S.r.l. in liquidazione (C.F.: (OMISSIS)), in persona del

liquidatore, legale rappresentante pro tempore, R.E.

(C.F.: (OMISSIS));

C.M. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentati e difesi, giusta

procura in calce al ricorso, dall’avvocato Carla Rizzo (C.F.: RZZ

CRL 48L50 H501U);

– ricorrenti –

nei confronti di:

UNICREDIT CREDIT MANAGEMENT BANK S.p.A. (C.F.: 05576750961), in

proprio e quale rappresentante di ARENA NPL ONE S.r.l., in persona

del rappresentante per procura V.M.F., rappresentata

e difesa, giusta procura in calce ai due controricorsi,

dall’avvocato Piero Guido Alpa (C.F.: LPA PGD 47S26 G197A);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Perugia n.

422/2014, depositata in data 30 luglio 2014;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

12 giugno 2017 dal Consigliere Dr. Augusto Tatangelo;

uditi:

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale

Dott. Sgroi Carmelo, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

l’avvocato Rodolfo Valdina, per delega dell’avvocato Pier Francesco

Valdina, e l’avvocato Anna Russo, per delega dell’avvocato Carla

Rizzo, per i ricorrenti;

l’avvocato Loretta Uttaro, per delega dell’avvocato Piero Guido Alpa,

per la società controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Unicredit Banca d’Impresa ha ottenuto decreto ingiuntivo nei confronti di C.P., C.M., R.E. e RACOFIN S.r.l. in liquidazione, quali fideiussori della società R. e C. S.p.A., per obbligazioni derivanti dallo scoperto di un rapporto di conto corrente bancario intrattenuto da quest’ultima società presso la filiale di (OMISSIS) della banca (per un importo complessivo di Euro 924.322,69, ma nei limiti della garanzia prestata da ciascuno, pari ad Euro 516.546,90). Le opposizioni degli ingiunti sono state rigettate (con due distinte sentenze) dal Tribunale di Perugia.

La Corte di Appello di Perugia, riuniti i giudizi in sede di gravame, ha confermato entrambe le decisioni di primo grado.

Ricorre C.P., sulla base di due motivi

Ricorrono altresì RA.CO.FIN. S.r.l. in liquidazione, C.M. ed R.E., sulla base di cinque motivi.

Resiste con due distinti controricorsi Unicredit Credit Management Bank S.p.A. (di cui il secondo proposto in qualità di mandataria di Area NPL One S.r.l.).

Tutte le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso di C.P. si denunzia “violazione della disciplina dettata dal D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385, art. 11 e da 115 a 120, dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, artt. 15, 21, 22, 23, nonchè dall’art. 30 del Regolamento Consob 1 luglio 1998 n. 11522 – omesso esame di fatto decisivo (art. 360 c.p.c., commi 3 e 5)”.

Con il quinto motivo del ricorso di RA.CO.FIN. S.r.l. in liquidazione, C.M. ed R.E., si denunzia “falsa applicazione delle norme in materia di investimenti bancari (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 – art. 15) alla normativa prevista per l’attività bancaria (D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 – art. 10) con conseguente falsa applicazione ai rapporti fideiussori stipulati anteriormente dalle parti a garanzia delle obbligazioni nascenti da operazioni di conto corrente; tutto ciò in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il primo motivo del ricorso proposto da C.P. ed il quinto del ricorso proposto da RA.CO.FIN. S.r.l. in liquidazione, C.M. ed R.E. hanno ad oggetto la medesima questione e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

Essi sono infondati.

Secondo i ricorrenti, la garanzia da essi prestata per le obbligazioni della R. & C. S.p.A. operava solo con riguardo alle “obbligazioni dipendenti da operazioni bancarie di qualunque natura”, mentre i contratti di swap, da cui in sostanza avrebbero avuto origine (per la loro quasi totalità) i crediti oggetto dei decreti ingiuntivi opposti, costituirebbero operazioni su strumenti finanziari e non operazioni bancarie.

La corte di appello, nell’interpretare il contratto di fideiussione, ha però accertato, in fatto, che la volontà delle parti era diretta a comprendere nella garanzia tutte le obbligazioni della società correntista derivanti da operazioni concluse con la banca e regolate in conto corrente, ivi incluse quelle relative a titoli e strumenti finanziari di qualsiasi natura, e che nella specie i risultati economici dei rapporti originati dai contratti di swap (cd. “Interest Risk Swap”) erano stati addebitati sul conto corrente bancario della R. & C. S.p.A. su sua esplicita autorizzazione.

Così correttamente ricostruita la effettiva ragione posta a base della decisione impugnata, ne deriva che non sussiste alcuna violazione delle norme di legge richiamate dai ricorrenti, e che le censure in esame si risolvono in una inammissibile contestazione di accertamenti di fatto, intesi come risultato concreto dell’operazione di interpretazione della volontà contrattuale delle parti.

E poichè il risultato della suddetta operazione interpretativa è sostenuto da adeguata motivazione, non apparente, nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, esso non è censurabile in sede di legittimità (cfr., ex plurimis: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14355 del 14/07/2016, Rv. 640551 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 10891 del 26/05/2016, Rv. 640122 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2465 del 10/02/2015, Rv. 634161 – 01; Sez. L, Sentenza n. 17168 del 09/10/2012, Rv. 624346 – 01; Sez. L, Sentenza n. 10554 del 30/04/2010, Rv. 613562 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 8372 del 21/04/2005, Rv. 581693 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 13344 del 19/07/2004, Rv. 577572 – 01; Sez. L, Sentenza n. 12258 del 20/08/2003, Rv. 566079 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2074 del 13/02/2002, Rv. 552238 – 01).

2. Con il secondo motivo del ricorso di C.P., si denunzia “violazione dell’art. 1325 c.c., art. 1418 c.c., comma 2 e art. 1175 c.c. – violazione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, artt. 21 e 23 e degli artt. 26, 30 e 33 del Regolamento Consob 1 luglio 1998 n. 11522 – mancato esame di fatti decisivi anche in ragione degli esiti dell’accertamento tecnico eseguito su incarico della corte territoriale (art. 360 c.p.c., n. 3 e 5)”.

Con il primo motivo del ricorso di RA.CO.FIN. S.r.l. in liquidazione C.M. ed R.E., si denunzia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1322 c.c., comma 2, artt. 1325 e 1343 c.c. e art. 1418 c.c., comma 2, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, nullità dei contratti per assenza di causa concreta e/o non meritevolezza”.

Con il secondo motivo del ricorso di RA.CO.FIN. S.r.l. in liquidazione, C.M. ed R.E., si denunzia “violazione dell’art. 112 c.p.c. e comunque violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 c.c., comma 2 e art. 1418 c.c. con riferimento all’art. 23 T.U.F. e agli artt. 30 e 37 Reg. Consob n. 11522/98 e n. 16190/2007 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il terzo motivo del ricorso di RA.CO.FIN. S.r.l. in liquidazione, C.M. ed R.E., si denunzia “violazione dell’art. 112 c.p.c. e comunque violazione e falsa applicazione degli artt. 1344 e 1418 c.c. con riferimento all’art. 1284 c.c. al D.Lgs. n. 385 del 1993 e alla L. n. 108 del 1996, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il quarto motivo del ricorso di RA.CO.FIN. S.r.l. in liquidazione, C.M. ed R.E., si denunzia “violazione dell’art. 112 c.p.c. e comunque violazione e falsa applicazione degli artt. 1325 e 1343 c.c. e art. 1418 c.c., comma 1, con riferimento all’art. 21 T.U.F. e alla correlata norma regolamentare, art. 26 Reg. Consob n. 11522/98 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il secondo motivo del ricorso proposto da C.P. ed i primi quattro del ricorso proposto da RA.CO.FIN. S.r.l. in liquidazione, C.M. ed R.E. hanno ad oggetto questioni connesse – essendo in sostanza tutti diretti a sostenere la nullità dei contratti di swap stipulati dalla R. & C. S.p.A. – e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

Essi sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

2.1 Sono certamente infondati nella parte in cui con essi si denunzia omissione di pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., ed omesso esame di fatti decisivi e controversi.

Non sussiste alcuna omissione di pronuncia in relazione alla pretesa nullità dei rapporti contrattuali: la corte di appello ha ritenuto validi (espressamente escludendone la invocata nullità) i contratti stipulati tra le parti del rapporto garantito, e quindi ha certamente pronunciato su tutte le domande ed eccezioni delle parti.

E la decisione risulta certamente assunta sulla base della considerazione di tutti i fatti storici rilevanti (nella specie emergenti dallo stesso contenuto dei contratti stipulati), ancorchè non sia stato dato conto di tutte le risultanze probatorie, il che è sufficiente ad escludere la sussistenza del denunziato vizio di omesso esame di fatto decisivo e controverso (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831 – 01; conf., ex plurimis: Sez. U, Sentenza n. 8054 del 07/04/2014, Rv. 629834 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25216 del 27/11/2014, Rv. 633425 – 01; Sez. 3 -, Sentenza n. 9253 del 11/04/2017, Rv. 643845 – 01).

2.2 Le censure espresse con i motivi di ricorso in esame sono poi inammissibili, per difetto di specificità, nella parte in cui sono dirette a sostenere la nullità dei rapporti contrattuali che hanno dato luogo alle obbligazioni garantite.

2.2.1 Secondo i ricorrenti, i contratti di swap riconducibili alla tipologia cd. “Interest Risk Swap” con up front (e cioè con effettivo finanziamento iniziale da restituire) sarebbero in primo luogo nulli per difetto o illiceità della causa negoziale, e/o comunque in quanto diretti a soddisfare interessi concreti non meritevoli di tutela. Il cd. up front snaturerebbe, a loro avviso, l’ordinaria causa del contratto di swap, annullando o quanto meno squilibrando fortemente l’alea che sta alla base di esso, e così rendendo nulla la sua causa concreta.

Orbene, va premesso che la individuazione della causa concreta del contratto, e cioè degli interessi perseguiti dalle parti con la specifica stipulazione negoziale, costituisce accertamento di fatto riservato al giudice del merito.

Non è quindi possibile affermare, a priori e in astratto, che tutti i contratti atipici dei quali in qualche modo si predichi la riconducibilità alla tipologia cd. “Interest Risk Swap” con up front siano di per sè nulli, essendo necessario verificare caso per caso se il concreto assetto dei rapporti negoziali predisposto dalle parti sia lecito e persegua o meno interessi meritevoli di tutela (e ciò a prescindere dalla teorica qualificazione della tipologia contrattuale dello swap come commutativa o aleatoria, ovvero come scommessa legalmente autorizzata, qualificazione che evidentemente in quest’ottica non rileva affatto). Nella specie, la corte di appello ha accertato in fatto che nei concreti rapporti negoziali stipulati tra le parti non vi era alcuna effettiva commistione tra la causa aleatoria del contratto di “Interest Risk Swap” e la causa del sottostante rapporto di finanziamento (cd. up front), che tali due cause negoziali concrete rimanevano autonome e distinte, senza essere in alcun modo snaturate dal collegamento tra i due rapporti, e senza alcuna alterazione del rischio a carico dell’operatore commerciale (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata).

La corte di appello ha cioè accertato in concreto la validità della causa dei contratti stipulati dalle parti, non limitandosi a considerazioni di carattere generale e astratto.

E la decisione non risulta specificamente impugnata in modo adeguato, sotto questo profilo.

I ricorsi dei garanti contengono esclusivamente considerazioni teoriche generali e astratte sulla tipologia contrattuale del cd. “Interest Risk Swap” con up front, ma manca del tutto in essi qualunque specificazione delle suddette considerazioni in rapporto alla concreta fattispecie controversa.

In particolare, le argomentazioni dei ricorrenti – secondo i quali in sostanza l’up front determinerebbe una alterazione dell’alea del contratto di swap, asservita a quella di restituzione del finanziamento, che annullerebbe di fatto l’ordinario rischio negoziale, a tutto vantaggio della banca, provocando così la nullità del contratto, anche per violazione delle norme imperative richiamate – restano considerazioni apodittiche, e comunque generiche ed astratte, prive specifici riferimenti al concreto regolamento negoziale stipulato dalle parti, il quale risulta invece preso in considerazione e ritenuto nella specie lecito, congruo e meritevole di tutela dalla corte di appello.

Manca del tutto, nelle censure in esame, una chiara indicazione dei motivi, del modo, della misura e dei termini in cui, in concreto, la causa degli specifici contratti stipulati dalle parti sarebbe stata effettivamente alterata per via del cd. up front. Le suddette argomentazioni risultano dunque per un verso prive del necessario requisito di specificità, mentre per altro verso si risolvono in una generica contestazione di accertamenti di fatto svolti dai giudici di merito, risultando in ogni caso inammissibili nella presente sede.

2.2.2 Analoghe ragioni di inammissibilità presentano le censure relative alla dedotta nullità dei contratti per un asserito difetto di requisiti richiesti dal T.U.F. (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) e dai Regolamenti Consob n. 11522/1998 e n. 16190/2007, nonchè per la violazione di norme imperative (quali quelle previste dall’art. 1284 c.c., dal D.Lgs. n. 385 del 1993 e dalla L. n. 108 del 1996).

Non risulta invero specificato nel ricorso quali sarebbero in concreto i requisiti richiesti dalle norme invocate e mancanti nei contratti per cui è causa, e per quali ragioni detti requisiti sarebbero stati nella specie necessari ai fini della validità delle specifiche operazioni negoziali concluse dalle parti, nè risulta chiarito in che termini sarebbero state violate le norme imperative invocate.

In particolare, non solo non viene adeguatamente illustrato il motivo per cui in concreto le operazioni poste in essere dalla R. & C. S.p.A. sarebbero qualificabili come contratti di investimento o servizi di investimento accessori, ma non viene neanche specificamente allegato, in fatto, se nella specie i relativi atti negoziali fossero o meno stati stipulati per iscritto, e/o quale fosse comunque il loro effettivo, concreto e specifico difetto sotto il profilo dei requisiti formali e sostanziali. Nè viene chiarito in che termini essi si porrebbero in contrasto con le disposizioni di legge richiamate nei ricorsi, e/o in che modo ne sarebbe incisa la loro causa concreta.

I ricorrenti si limitano in realtà a riportare astratte considerazioni dottrinali richiamate nella consulenza tecnica di ufficio e riguardanti in generale le operazioni contrattuali riconducibili alla particolare tipologia dei cd. contratti di swap, ma il ricorso manca del tutto di una concreta specificazione, in concreto, delle ragioni della dedotta nullità dei contratti per cui è causa. Sotto questo aspetto esso risulta dunque assolutamente privo del necessario requisito della specificità, e dunque non può essere vagliato nel merito.

2.2.3 E’ poi del tutto infondata la tesi dei ricorrenti secondo cui le operazioni su derivati finanziari sarebbero valide solo se dirette alla copertura di un rischio.

I relativi contratti atipici sono infatti validi anche se diretti a fini speculativi, trattandosi di contratti aleatori per i quali è del resto espressamente esclusa, per specifica disposizione di legge, l’applicabilità dell’art. 1933 c.c. (art. 23, comma 5, del richiamato T.U.F.).

2.2.4 Va infine escluso che un eventuale difetto di informazione da parte dell’intermediario all’investitore sugli esatti termini del rischio assunto con i contratti stipulati possa determinare la nullità del contratto stesso, non incidendo tale difetto sulla sua causa negoziale, ma potendo ciò al limite determinare solo conseguenze sul piano risarcitorio, laddove effettivamente sussista la violazione di obblighi di condotta dell’intermediario.

Nella specie, peraltro, tale violazione risulta esclusa dalla corte di appello, sulla base di un accertamento di fatto adeguatamente motivato, e come tale non sindacabile in sede di legittimità (e comunque nella specie non sindacato sotto il corretto profilo dell’eventuale omesso esame di un fatto decisivo e controverso).

3. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte:

rigetta il ricorso;

– condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 13.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nei rapporti con C.P., e in Euro 15.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nei rapporti con RA.CO.FIN. S.r.l. in liquidazione, C.M. ed R.E., oltre (per entrambi) spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, in data 12 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2017

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