Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18780 del 28/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 28/07/2017, (ud. 12/06/2017, dep.28/07/2017),  n. 18780

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al numero 1418 del ruolo generale dell’anno

proposto da:

S.I.P.A. – Società Italiana Prodotti Alimentari S.p.A. (C.F.:

(OMISSIS)), in persona del rappresentante per procura

M.A. rappresentato e difeso, giusta procura a margine del ricorso,

dagli avvocati Renato Fiumalbi (C.F.: FML RNT 59A13 F2053), Bartolo

Spallina (C.F.: SPL BTL 39L08 D9770) e Lorenzo Spallina (C.F.: SPL

LNZ 71S15 H501V);

– ricorrente –

nei confronti di:

ATRADIUS CREDIT INSURANCE N.V., (C.F.: (OMISSIS)), in persona del

dirigente, rappresentante per procura, D.G.

rappresentato e difeso, giusta procura a margine del controricorso,

dagli avvocati Luigi Biamonti (C.F.: BMN LGU 43B15 H501U) e Pier

Luigi Biamonti (C.F.: BMN PLG 43H50 H501E);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Roma n.

7068/2014, depositata in data 18 novembre 2014;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

12 giugno 2017 dal consigliere Augusto Tatangelo;

uditi:

il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale

dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso,

per quanto di ragione gli avvocati Renato Fiumalbi e Lorenzo

Spallina, per la società ricorrente;

l’avvocato Pier Luigi Biamonti e l’avvocato Nicolò Antonino

Gallistro per delega dell’avvocato Luigi Biamonti, per la società

controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.I.P.A. S.p.A., ha ottenuto un decreto ingiuntivo per Euro 92.373,39 nei confronti di S.I.C. – Società Italiana Cauzioni S.p.A., sulla base di una polizza fideiussoria con questa stipulata per le obbligazioni di una sua concessionaria di vendita di prodotti dolciari, successivamente dichiarata fallita. L’opposizione dell’ingiunta è stata solo parzialmente accolta dal Tribunale di Roma, che ha revocato il decreto opposto condannando l’ingiunta al pagamento della minor somma di Euro 90.189,23.

La Corte di Appello di Roma in riforma della decisione di primo grado, ha invece accolto integralmente l’opposizione al decreto ingiuntivo, dichiarando liberata la società garante da ogni obbligazione, ai sensi dell’art. 1957 c.c..

Ricorre S.I.P.A. S.p.A., sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso Atradius Insurance N.V., che ha nelle more acquisito la titolarità della posizione sostanziale controversa.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1, artt. 1363,1366,1369,1370,1882 e 1936 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Il motivo è infondato.

La società ricorrente censura la decisione impugnata per avere la corte di appello qualificato il contratto stipulato come fideiussione e non come contratto di assicurazione del credito. Sostiene in primo luogo che, laddove la garanzia del pagamento venga convenuta tra garante e creditore, il contratto andrebbe qualificato come assicurazione del credito, mentre solo laddove sia stipulato dal debitore principale potrebbe trattarsi di assicurazione fideiussoria, e cioè di una garanzia comunque riconducibile alla fideiussione.

Tale assunto non può essere condiviso. Il contratto di fideiussione può ben essere stipulato tra creditore e garante, e comunque la specifica qualificazione del contratto dipende dalla sua causa negoziale – in rapporto al suo contenuto ed al suo oggetto – ma non certo dal soggetto che lo stipula.

Tanto premesso, appare evidente che il motivo di ricorso in esame si risolve di fatto in una censura di merito, in quanto vertente sull’interpretazione del contenuto negoziale, senza che sia evidenziata una effettiva e concreta violazione (o falsa applicazione) delle norme di interpretazione del contratto, che vengono solo genericamente richiamate dalla società ricorrente.

Si tratta quindi, nella sostanza, della contestazione del risultato concreto dell’interpretazione e della ricostruzione della concreta volontà negoziale delle parti svolte dalla corte di appello, che si pretende di sostituire con un altro diverso risultato interpretativo, gradito alla ricorrente, e non della effettiva erronea applicazione delle norme di interpretazione contrattuale. Poichè peraltro la suddetta interpretazione risulta nella specie operata dalla corte di appello sulla base dell’esame dei fatti storici rilevanti, e cioè del contenuto del contratto, ed il risultato dell’operazione interpretativa è sostenuto da adeguata motivazione, non apparente, nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, esso non è censurabile in sede di legittimità (cfr., ex plurimis: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14355 del 14/07/2016, Rv. 640551 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 10891 del 26/05/2016, Rv. 640122 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2465 del 10/02/2015, Rv. 634161 – 01; Sez. L, Sentenza n. 17168 del 09/10/2012, Rv. 624346 – 01; Sez. L, Sentenza n. 10554 del 30/04/2010, Rv. 613562 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 8372 del 21/04/2005, Rv. 581693 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 13344 del 19/07/2004, Rv. 577572 – 01; Sez. L, Sentenza n. 12258 del 20/08/2003, Rv. 566079 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2074 del 13/02/2002, Rv. 552238 – 01).

La decisione impugnata, d’altronde, è in diritto del tutto conforme all’ormai consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui “la cosiddetta assicurazione fideiussoria costituisce una figura contrattuale intermedia tra il versamento cauzionale e la fideiussione ed è contraddistinta dall’assunzione dell’impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazione, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta dal contraente; peraltro, essendo caratterizzata dalla stessa funzione di garanzia della fideiussione, ad essa è applicabile, ove non derogata dalle parti, la disciplina legale tipica di tale contratto” (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1724 del 29/01/2016, Rv. 638530 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 12871 del 04/06/2009, Rv. 608368 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2670 del 05/02/2008, Rv. 601720 – 01); Sez. 3, Sentenza n. 14853 del 27/06/2007, Rv. 597841 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 28233 del 20/12/2005, Rv. 587539 – 01); Sez. 3, Ordinanza n. 11261 del 27/05/2005, Rv. 581917 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 6823 del 18/05/2001, Rv. 546773 – 01).

2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,1366,1370,1936,1945 e 1957 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Con il terzo motivo si denunzia “Violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,1366,1970 e 1957 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Il secondo e il terzo motivo sono connessi, e come tali vanno esaminati congiuntamente.

Anch’essi sono infondati.

Anche in tal caso vengono infatti svolte censure che si risolvono nella contestazione dell’interpretazione della volontà contrattuale delle parti, insindacabilmente accertata in concreto dai giudici di merito, i quali, dopo avere accertato che la polizza fideiussoria sottoscritta dalle parti non conteneva alcuna clausola di pagamento “a prima richiesta” o “senza eccezioni”, hanno altresì – del tutto correttamente – ritenuto che non fosse stato escluso per volontà delle parti il vincolo di accessorietà tra l’obbligazione garantita e quella del garante, con conseguente applicabilità alla fattispecie dell’art. 1957 c.c..

La società ricorrente si limita in sostanza semplicemente a sostenere, in evidente contrasto con quanto insindacabilmente accertato in fatto dalla corte di appello all’esito della corretta interpretazione della volontà negoziale delle parti, che la polizza fideiussoria dovesse essere interpretata nel senso per cui il pagamento da parte del garante era stato previsto come da effettuare a prima richiesta e senza eccezioni. Ne fa discendere che il contratto dovesse essere qualificato come contratto autonomo di garanzia e che, di conseguenza, non erano applicabili le norme in tema di fideiussione (ed in particolare l’art. 1957 c.c.).

Ma, analogamente a quanto già osservato con riguardo al primo motivo di ricorso, manca una chiara indicazione delle eventuali concrete e specifiche violazioni delle norme di interpretazione negoziale, le quali vengono solo genericamente richiamate, e la censura si risolve dunque nella contestazione del risultato dell’interpretazione del contratto, e cioè di un accertamento di fatto, il che non è ammissibile in sede di legittimità.

Del resto, con riguardo allo specifico profilo in esame, può anche rilevarsi, ad abundantiam, che le argomentazioni formulate dalla società ricorrente non risulterebbero in linea con l’indirizzo di questa Corte secondo cui “la deroga all’art. 1957 c.c. non può ritenersi implicita nell’inserimento, nella fideiussione, di una clausola di “pagamento a prima richiesta” o di altra equivalente, sia perchè detta norma è espressione di un’esigenza di protezione del fideiussore, che prescinde dall’esistenza di un vincolo di accessorietà tra l’obbligazione di garanzia e quella del debitore principale e può essere considerata meritevole di tutela anche nelle ipotesi in cui tale collegamento sia assente, sia perchè, comunque, la presenza di una clausola siffatta non assume rilievo decisivo ai fini della qualificazione di un negozio come “contratto autonomo di garanzia” o come “fideiussione”, potendo tali espressioni riferirsi sia a forme di garanzia svincolate dal rapporto garantito (e quindi autonome) sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di accessorietà, più o meno accentuato, nei riguardi dell’obbligazione garantita, sia infine a clausole, il cui inserimento nel contratto di garanzia è finalizzato, nella comune intenzione dei contraenti, (non all’esclusione, ma) a una deroga parziale della disciplina dettata dal citato art. 1957 (ad esempio, limitata alla previsione che una semplice richiesta scritta sia sufficiente ad escludere l’estinzione della garanzia), esonerando il creditore dall’onere di proporre azione giudiziaria; ne consegue che, non essendo la clausola di pagamento a prima richiesta di per sè incompatibile con l’applicazione dell’art. 1957 c. c., spetta al giudice di merito accertare, di volta in volta, la volontà in concreto manifestata dalle parti con la stipulazione della detta clausola” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 84 del 08/01/2010, Rv. 610964 01).

3. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la società ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 7.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2017

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