Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1878 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2021, (ud. 24/02/2020, dep. 28/01/2021), n.1878

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 27765-2013 R.G. proposto da:

D.M.F. rappresentata e difesa dall’avv. Vincenzo

Cannavacciuolo elettivamente domiciliato in Ronvia Mercati, 51

presso lo studio dell’avv. Nicola Marotta.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale

dello Stato domiciliata in Roma via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale della

Campania-sezione di Salerno n. 331/12/13 depositata il 10/06/2013;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24.02.2020

dal Consigliere Dott. Pandolfi Catello.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il contribuente d.M.F. ha proposto ricorso avverso sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania sezione di Salerno n. 331/12/13 depositata il 10/06/13.

La vicenda trae origine dalla notifica dell’avviso di accertamento, in data 28/07/2009, con cui l’Ufficio deduceva un maggior reddito di Euro 58.315,00 a fronte di quello dichiarato di Euro 28.978,00 in applicazione dello studio di settore TG5OU (codice attività …), pertinente all’attività di “intonacatura, tinteggiatura, rivestimenti di pavimenti e di muri”, svolta dal contribuente. Questi opponeva l’atto impositivo e la CTP di Salerno accoglieva il ricorso. L’Ufficio appellava la decisione con esito favorevole.

La decisione veniva perciò impugnata dal contribuente con il ricorso in esame, basato su quattro motivi.

Resisteva l’Ufficio con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Tanto premesso si osserva quanto segue.

A)Con il primo motivo articolato su due profili, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che la CTR aveva ritenuto, in violazione della L. n. 146 del 1998, art. 10, come modificato dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 409, che l’Ufficio avesse assicurato regolarmente il contraddittorio. Con il secondo profilo deduce anche la nullità della sentenza, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del contraddittorio anticipato.

Ritiene il Collegio che le censure relative alle irregolarità relativa al contraddittorio siano infondate. l’Ufficio ha ricordato che il contribuente era stato invitato con il modello E46 in data 30 maggio 2009, fissando la data dell’incontro per il 7 luglio 2009. Circostanza non contestata. La parte non si presentava alla data indicata, ma solo successivamente, il giorno 22 luglio 2009, tramite un suo rappresentante. In tale data, come risulta dal verbale dell’incontro, “stralcio” del quale è inserito per autosufficienza nel controricorso, la persona delegata dichiarava che “il cliente D.M.F. non intende aderire all’invito all’adesione relativa alla non congruità degli studi di settore anno di imposta 2004, riservandosi di dimostrare nella sede opportuna le ragioni del mancato adeguamento”. Nessuna notazione risulta espressa dalla delegata sulla circostanza, poi dedotta in ricorso, che l’avviso di accertamento fosse già stato spedito il giorno prima dell’incontro, cioè il 21 luglio 2009.

Tale è la censura che muove il ricorrente, per trarne un giudizio di irregolarità della procedura, di sostanziale omissione del contraddittorio e di illegittimità dell’atto impositivo. Egli sostiene che “l’avviso di accertamento è datato 21 luglio 2009 e risulta spedito lo stesso 21 luglio 2009 a mezzo del servizio postale” rendendo, a suo giudizio, per ciò stesso irrituale ed inutile l’incontro del giorno successivo.

Tale versione, peraltro, non trova alcun riscontro documentale, che sia inserito o allegato al ricorso, al fine di consentire alla Corte di valutarlo.

E’, per contro, plausibile, come deduce l’Amministrazione, che l’avviso, considerato il tempo ormai trascorso dalla data dell’incontro andato deserto, del 7 luglio 2009, fosse già stato predisposto dall’Ufficio, apponendovi la dicitura “mancata presentazione del contribuente”, poi sostituita, in esito all’incontro del 22/7, con quella di “mancata adesione”.

La tesi del contribuente, sulla sostanziale violazione del contraddittorio, non è condivisibile posto che, in occasione del contatto, tramite la persona da lui incaricata, avrebbe potuto addure tutte le circostanziate ragioni che, a suo avviso, rendevano errata le conclusioni dell’accertamento. Nulla, cioè, avrebbe impedito di utilizzare l’incontro per affidare al verbale del 22 luglio 2009 ragioni e prove per giustificare lo scostamento reddituale rilevato dai verificatori. E la “riserva” a successiva dimostrazione delle sue ragioni, manifestata in quell’occasione, si traduce in una volontaria rinuncia ad utilizzare quella opportunità per esercitare le sue difese.

Il fatto stesso che sull’avviso di accertamento, già predisposto dall’Ufficio, sia stata apposta, proprio in esito all’incontro, e quindi nello stessa occasione, la dicitura “mancata adesione”, in luogo della precedente di “mancata presentazione”, smentisce poi la circostanza che l’avviso fosse già stato spedito il giorno precedente, come dedotto per giustificare la sua scelta non collaborativa, operata nella circostanza.

Nessuna privazione di una occasione per esporre e argomentare le sue tesi è, dunque, ravvisabile in suo danno, in violazione delle regole del giusto processo e del contraddittorio obbligatorio.

L’atteggiamento, oggettivamente inerte in occasione dell’incontro, rende applicabile la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio ribadisce, secondo la quale “In tema di reddito d’impresa, qualora il contribuente, regolarmente invitato, non si avvalga della facoltà di prendere parte al contraddittorio precontenzioso, l’Amministrazione finanziaria può fondare il proprio accertamento anche esclusivamente sulle risultanze del confronto tra il reddito dichiarato e quello calcolato facendo applicazione degli studì di settore, salvo il diritto del contribuente di allegare e provare in sede contenziosa, anche per la prima volta, elementi idonei a vincere le presunzioni su cui l’accertamento tributario sì fonda.”(Sez. 5 -, 30/09/2019 n. 24330).

In ogni caso, come si dirà, l’accertamento non risulta basato esclusivamente sull’automatica applicazione dello studio di settore, come sostiene il ricorrente per considerarlo, anche sotto tale aspetto, illegittimo.

B) Con i motivi indicati come secondo e terzo, il ricorrente censura la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e artt. 62 bis e 62 sexies.

Quanto, in particolare, alla lamentata violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 62 bis e 62 sexies, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente sostiene che non sussistessero i presupposti legittimanti il metodo di accertamento utilizzato dall’Ufficio. La censura è infondata.

Ora, nella pronuncia impugnata la CTR afferma che “l’Amministrazione aveva dedotto la non congruità dei ricavi dichiarati per due esercizi su tre (2004, 2005; il 2003 risulta congruo) contestando conseguentemente un reddito d’impresa 2004 (pari a Euro 58.315,00 notevolmente superiore a quello dichiarato (Euro 28.978)…”. In tal modo evidenziando, il Giudicante, il notevole scarto tra il reddito dichiarato e quello accertabile in base ai parametri degli studi di settore. Inoltre, evidenziava il fatto che “mentre nel 2003 (sostanzialmente il primo anno di attività) l’entità dei ricavi dichiarati è stata congrua rispetto al parametro statistico, tale evidenza non si è verificata negli anni successivi, nei quali in genere (nella specie nulla neppure sì riferisce ex adverso) si riscontra un consolidamento del posizionamento sul mercato”. In tal modo il Giudice regionale sottolineava una inspiegabile difformità tra la redditività dell’attività nel 2003 e quella dichiarata nei due anni successivi, che urtava con i fattori personali e ambientali dedotti dal ricorrente a giustificazione del minor reddito dichiarato, dal momento che quegli stessi aspetti, per la continuità temporale tra gli anni considerati e per la natura non transitoria, avrebbero dovuto in egual misura manifestarsi ed incidere anche nel 2003, invece risultato congruo. La palese discrasia non ha trovato alcuna spiegazione da parte del ricorrente, restando irrisolta e giustificando il giudizio della CTR sulla fondatezza delle presunzioni tratte dall’Amministrazione.

Pertanto, non è fondata la censura riferita allo stesso articolo, n. 3 del citato D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 62 bis e 62 sexies, in quanto l’accertamento, oltre che (e quindi non solo) sul rilevante scostamento tra i parametri e il minor reddito, pari a circa il 50%, è anche basato sulla suindicata incoerenza logica. Circostanza rimasta, come detto, inesplicata sia in fase amministrativa che in quella contenziosa, senza neanche che la parte tentasse di darne ragione.

Quanto al terzo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 il ricorrente si duole che la CTR non aveva ritenuto che lo “scostamento” tra il reddito dichiarato e quello accertato fosse giustificato da quanto (solo) dedotto e cioè dalla ridotta dimensione dell’impesa, dalle caratteristiche del ristretto mercato locale in cui operava, che l’aveva costretto, pur di parteciparvi, a praticare ribassi molto penalizzanti. Scostamento giustificabile anche per l’età, a causa della quale aveva dovuto assumere personale in ausilio, con aggravio di costì. La parte si lamenta, quindi, che il Giudice regionale non avesse adeguatamente valutato e motivato sulle ragioni addotte incorrendo, perciò, in un deficit motivazionale. Peraltro, a parte la considerazione che la CTR ha ritenuto dette circostanze non provate, in tal modo non omettendo di considerarle, il motivo deve comunque ritenersi inammissibile.

Infatti, ratione temporis esso deve essere esaminato in base al testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 51 come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha escluso il sindacato di legittimità per la ritenuta insufficienza o illogica o contraddittoria motivazione, consentendolo soltanto per censurare l’omesso esame di un fatto inteso in senso storico, naturalistico.

La doglianza in esame non è, per contro, riconducibile a tale schema dal momento che il ricorrente si duole della mancata valutazione, non di “fatti”, ma delle negative caratteristiche del mercato in cui operava, secondo la sua personale e non suffragata analisi.

C) E’, infine, anche infondato il quarto motivo di violazione della L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 252, con cui il ricorrente lamenta la mancata applicazione di tale norma, ritenendola di natura processuale immediatamente applicabile al caso in esame.

La nuova disposizione è invece da ritenersi norma sostanziale perchè volta a disciplinare i rapporti tributari nei casi in cui l’Amministrazione finanziaria accerti maggiori ricavi o compensi in applicazione degli indicatori di normalità economica di cui al decreto del Ministero delle finanze del 20 marzo 2007 ed è perciò applicabile agli accertamenti relativi agli anni d’imposta successivi all’entrata in vigore della legge in parola. Ne resta escluso, quindi, l’anno 2004, oggetto dell’avviso di accertamento opposto.

Pertanto, il ricorso, ritenuto inammissibile il terzo motivo, infondati gli altri, va rigettato con conseguente condanna alle spese e al versamento del c.d. doppio contributo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.

Dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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