Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18779 del 02/07/2021

Cassazione civile sez. I, 02/07/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 02/07/2021), n.18779

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2780/2016 proposto da:

G.R., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato Marangoni Dante, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, e

Procuratore della Repubblica di Rimini, domiciliati in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3262/2014 del TRIBUNALE di BOLOGNA, del

09/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/03/2021 dal Cons. Dott. MELONI MARINA;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha chiesto il rigetto

del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Giudice di Pace di Bologna respinse la domanda di G.R., di pagamento di Euro 2.551,38 a titolo di indennità nella sua qualità di Vice Procuratore onorario, per prestazioni delegatele dal Procuratore della Repubblica di Rimini, diverse dalla partecipazione ad udienze (richieste di decreti penali di condanna e redazione di decreti di citazione a giudizio) ed accolse la subordinata domanda ex art. 2401 c.c., di pagamento di Euro 1.300,00 oltre interessi dalla pubblicazione sentenza.

Il Tribunale di Bologna con sentenza 3262/2014 in data 9/10/2014, pronunciando in grado di appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Bologna sulla domanda di pagamento avanzata nei confronti del Ministero della Giustizia e del Procuratore della Repubblica di Rimini da G.R., riformò la sentenza di primo grado e, respinta la domanda di condanna al pagamento detta somma di Euro 2.551,38 avanzata da G.R. a titolo di indennità per prestazioni di vice procuratore onorario delegatele dal Procuratore della Repubblica di Rimini diverse dalla partecipazione ad udienze, rigettò anche la domanda di ingiustificato arricchimento stante la previsione normativa di gratuità della prestazione.

Avverso la sentenza del Tribunale di Bologna ha proposto ricorso per cassazione G.R. affidato a tre motivi. Il Ministero della Giustizia si è costituito con controricorso e memoria.

Il P.G. presso la Corte di Cassazione ha depositato requisitoria scritta.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente G.R. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 64 e D.Lgs. n. 273 del 1989, art. 4, comma 2, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il Tribunale di Bologna ha escluso il diritto al pagamento di Euro 2.551,38 a titolo di indennità per prestazioni di vice procuratore onorario delegatele dal Procuratore della Repubblica di Rimini, diverse dalla partecipazione ad udienze (richieste di decreti penali di condanna e redazione di decreti di citazione a giudizio) in virtù della normativa vigente che tuttavia non prevede la gratuità per le attività extra-udienza limitandosi a nulla prevedere per le medesime.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., D.P.R. n. 115 del 2002, art. 64 e D.Lgs. n. 273 del 1989, art. 4, comma 2, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il Tribunale di Bologna ha escluso il diritto di G.R. al pagamento di Euro 2.551,38 a titolo di indennità per prestazioni di vice procuratore onorario delegatele dal Procuratore della Repubblica di Rimini, diverse dalla partecipazione ad udienze (richieste di decreti penali di condanna e redazione di decreti di citazione a giudizio) a titolo di ingiustificato arricchimento come riconosciuto dal giudice di primo grado, sul presupposto che tali attività erano espletate a titolo gratuito mentre al contrario la normativa vigente non prevede la gratuità per le attività extra-udienza.

Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente chiede rimettersi la questione alla Corte Costituzionale e sollevare incidente di illegittimità costituzione della norma che non prevede compensi per i viceprocuratori onorari per le attività svolte.

Il primo motivo di ricorso è infondato e deve essere respinto.

Infatti il D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 273, art. 4, comma 2, nella sua precedente formulazione limitava la corresponsione delle indennità-spettanti ai vice procuratori onorari alle sole attività di udienza: “ai vice procuratori onorari spetta una indennità…per ogni udienza in relazione alla quale e conferita la delega…”.

Successivamente è entrata in vigore la L. 28 novembre 2008 n. 186 di conversione del D.L. 2 ottobre 2008, n. 151, il cui art. 3, ha sostituito il D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 273, art. 4, con decorrenza dal 2 dicembre 2008, che prevede per ogni attività delegabile fuori udienza prestata dai vice procuratori onorari una indennità pari ad Euro 98,00 e tuttavia tale norma non si applica – all’evidenza – alla posizione della ricorrente G., poichè il periodo in contestazione è anteriore all’entrata in vigore della riforma. Occorre considerare che solo per effetto di tale ultima modifica, l’erogazione dell’indennità di cui all’oggetto è oggi riconosciuta anche con riferimento all’attività delegabile fuori udienza prestata dai VPO, ma solo per le attività successive alla sua entrata in vigore, stante il principio generale dell’irretroattività della legge.

Per il periodo precedente, e cioè prima dell’entrata in vigore della normativa in atto vigente (L. 28 novembre 2008, n. 186), non era stabilita per la magistratura onoraria alcuna ulteriore indennità oltre quella prevista per la partecipazione all’udienza.

Nemmeno a titolo di ingiustificato arricchimento può essere riconosciuta la somma richiesta.

Infatti anzitutto va osservato che la sentenza impugnata essendo stata pronunciata il 9 ottobre 2014 non poteva tener conto di quanto affermato in Sezioni Unite n. 10798 del 26 maggio 2015 le quali, innovando la materia con il principio dell’arricchimento imposto, dopo aver stabilito che “Il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicchè il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c., nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento” hanno poi precisato che: “il riconoscimento da parte della P.A. dell’utilità della prestazione o dell’opera può rilevare non già in funzione di recupero sul piano del diritto di una fattispecie negoziale inesistente, invalida o comunque imperfetta – trattandosi di un elemento estraneo all’istituto – bensì in funzione probatoria e, precisamente, ai soli fini del riscontro delrimputabilità dell’arricchimento all’ente pubblico. Mentre le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell’articolazione interna della pubblica amministrazione, che l’espedientè giurisprudenziale del riconoscimento dell’utilitas ha inteso perseguire, possono essere adeguatamente coniugate con la piena garanzia del diritto di azione del depauperato, nell’ambito del principio di diritto comune dell’arricchimento imposto, in ragione del quale l’indennizzo non è dovuto se l’arricchito ha rifiutato l’arricchimento o non abbia potuto rifiutarlo, perchè inconsapevole dell’eventum utilitatis”.

Il principio affermato dalle Sezioni Unite con 10798/2015 è stato recentemente ribadito da questa Corte con sez. 1-, Sentenza n. 15937 del 27/06/2017 secondo cui “Il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicchè il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c., nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso; tuttavia, le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell’articolazione interna della P.A. trovano adeguata tutela nel principio di diritto comune del cd. arricchimento imposto, potendo, invece, l’Amministrazione eccepire e provare che l’indennizzo non è dovuto laddove l’arricchito ha rifiutato l’arricchmento ovvero non ha potuto rifiutarlo perchè inconsapevole dell’eventum utilitatis” (vedi anche Sez. 3 -, Ordinanza n. 11209 del 24/04/2019).

Sulla base di tali principi, qui pienamente condivisi, deve concludersi che ormai è stato espunto dal campo di indagine del giudice di merito l’accertamento di quel quid pluris, individuato, dai precedenti orientamenti interpretativi, nella valutazione di utilità dell’opera, cosicchè, come nei rapporti tra privati, dunque, l’unica prova che l’attore deve offrire a fondamento della sua domanda di indennizzo ex art. 2041 c.c., concerne l’impoverimento e l’arricchimento, oltre che l’assenza di giustificazione dello spostamento di ricchezza e di altre azioni esperibili a tutela del diritto, e l’azione per ingiustificato arricchimento dovrà essere accolta tutte le volte in cui il privato dimostri l’esistenza del proprio impoverimento e della locupletazione dell’ente, a prescindere dall’esistenza di un gradimento implicito o esplicito da parte dell’amministrazione, mentre dovrà essere rigettata ove l’ente convenuto dimostri di aver rifiutato o di non aver potuto rifiutare, a cagione dell’imposizione del privato, l’opera conseguente. La prova, pertanto, non concerne più la valutazione di utilitas bensì il giudizio contrario dell’amministrazione e, dunque, trattandosi di prova contraria incombe sul convenuto (Cass. 7158/2018).

Passando all’esame della fattispecie nell’ipotesi in esame, l’azione di indebito arricchimento non può essere esperita non tanto per mancanza del requisito ormai non più necessario del riconoscimento dell’utilità dell’opera da parte della P.A., quanto piuttosto nella natura gratuita dell’Ufficio dei vice procuratori onorari nell’ambito del peculiare rapporto di servizio onorario, tradizionalmente basato sulla gratuità delle prestazioni consistenti nell’espletamento di funzioni pubbliche e progressivamente disciplinato in maniera tipica, rigida e tassativa nelle norme di legge che, con evidente carattere di specialità, hanno previsto un compenso indennitario per specifiche e ben determinate attività da svolgersi, nel caso in esame, esclusivamente in udienza.

Il D.Lgs. n. 273 del 1989, art. 4 comma 2, pertanto, nello stabilire l’indennità secondo determinate modalità, implicitamente esclude che possa essere legittimamente erogato un compenso per attività non autorizzate dalla legge.

Tanto basta per escludere il ricorso all’istituto dell’arricchimento, versandosi nel peculiare caso in cui la normativa non consente, e pertanto proibisce, la liquidazione di un compenso di cui non è neanche determinato l’ammontare. Pacifico deve infatti ritenersi che la determinazione del compenso ai magistrati onorari possa disporsi solo con legge.

La sentenza impugnata non può che essere confermata nel suo dispositivo con rigetto del ricorso mentre le spese del giudizio di legittimità meritano di essere compensate stante la peculiarità della lite.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2021

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