Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18777 del 28/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 28/07/2017, (ud. 25/05/2017, dep.28/07/2017),  n. 18777

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GUIZZI Giaime Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29849-2015 proposto da:

MANIFATTURA TESSILFIL SRL in liquidazione in persona del suo

liquidatore GIANFRANCESCO ANTONIO, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CASALOTTI 53 PAL B-1, presso lo studio dell’avvocato

CINZIA GIORDANO, rappresentata e difesa dall’avvocato MAURO GADALETA

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA ITALEASE SPA, ITALEASE FINANCE SPA, GUBER SPA;

– intimate –

avverso la sentenza n. 350/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 21/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/05/2017 dal Consigliere Dott. SCODITTI ENRICO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Manifattura Tessilfil s.r.l. in liquidazione propose innanzi al Tribunale di Milano opposizione al decreto con cui si ingiungeva il pagamento in favore di Banca Italease s.p.a. dell’importo per canoni scaduti e a scadere di Euro 42.399,64 a seguito di risoluzione per inadempimento da parte della utilizzatrice di due contratti di leasing, somma già decurtata dell’importo realizzato dalla vendita dei beni oggetto dei contratti e restituiti dalla utilizzatrice. Propose altresì domanda riconvenzionale di condanna al pagamento della somma di Euro 234.777,35. Si costituì l’opposta ed intervennero volontariamente Italease Finance e Guber s.p.a. quale procuratrice speciale di Zeus Finance s.r.l., deducendo che il credito, in un primo tempo a loro ceduto dall’opposta, era stato a quest’ultima retrocesso. Con sentenza non definitiva il Tribunale revocò il decreto ingiuntivo relativamente ad uno dei contratti di leasing, posto che alla data di deposito del ricorso per ingiunzione il relativo credito era stato ceduto. Osservò inoltre il Tribunale che dalle comparse di intervento si evinceva che il credito era stato ceduto e poi retrocesso alla cedente, sicchè doveva ritenersi accertata l’esistenza della legittimazione attiva al momento della decisione di merito, mentre non risultava provato il momento in cui la titolarità del credito era stata riacquistata, essendo stata la relativa documentazione prodotta oltre il termine di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6. Disposta CTU, il Tribunale adito condannò l’opponente al pagamento della somma di Euro 32.489,85.

Avverso detta sentenza propose appello Manifattura Tessilfil s.r.l. in liquidazione. Con sentenza di data 21 gennaio 2015 la Corte d’appello di Milano rigettò l’appello. Osservò la corte territoriale, premesso che la sentenza non definitiva aveva statuito la legittimazione attiva dell’opposta nel giudizio di merito, che si trattava di leasing di godimento con funzione di finanziamento e previsione di canoni quale esclusivo corrispettivo dell’uso, trattandosi di macchinari complessi e costosi, suscettibili di significativo deprezzamento per usura e vetustà tecnologica e non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto, come provato anche dal modesto valore di realizzo dei beni (non era stata fornita la prova di non congruità rispetto al valore effettivo di mercato) e dalla prevista indicizzazione dei canoni, coerente alla configurazione dei canoni quale remunerazione del godimento e non riscatto del prezzo. Aggiunse, passando al computo del debito, quanto segue: circa l’eccezione di mancata attualizzazione, l’appellante aveva continuato a godere dei macchinari anche oltre l’intimata risoluzione e scadenza dei contratti ed era quindi tenuta in base alla clausola 14 delle condizioni generali “sino alla data di restituzione dei beni”; la eccezione di anatocismo e superamento dei tassi soglia era generica in quanto non specificato in relazione a quali poste era stata sollevata, mentre nulla aveva rilevato al riguardo il CTU (laddove sua sponte aveva prospettato la non debenza dell’IVA sui canoni non fatturati); il costo di due centrali ad aria Atlas, restituite, era stato regolarmente portato in detrazione per il prezzo di realizzo di Euro 7.000,00; in base ai conteggi del CTU il prezzo di opzione di Euro 4.260,77 non era stato computato nel dovuto, che contemplava i canoni, gli interessi di mora e le spese per insoluti.

Ha proposto ricorso per cassazione Manifattura Tessilfil s.r.l. in liquidazione sulla base di tre motivi e resiste con controricorso Banca Popolare soc. coop. subentrato a seguito di fusione per incorporazione a Banca Italease s.p.a.. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2. Il pubblico ministero ha depositato le conclusioni scritte. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 2909,2704 e 2697 c.c., art. 183 c.p.c., comma 6, e art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che sulla base della sentenza non definitiva si è formato il giudicato interno sulla tardività della documentazione comprovante la retrocessione del credito sicchè, riconoscendosi la legittimazione attiva relativamente al contratto n. (OMISSIS) era stato violato sia il principio del giudicato che il regime delle preclusioni processuali e che, in subordine, era stato violato anche il disposto dell’art. 2704 c.c., essendo la documentazione prodotta per provare la retrocessione rappresentata da fotocopie di missive contestate quanto alla conformità all’originale e comunque prive di data certa. Aggiunge, in ulteriore subordine, che sia le missive che le deduzioni difensive delle interventrici erano inefficaci perchè non provate quanto alla dimostrazione della retrocessione del credito, essendo richiesto a dimostrazione di quest’ultimo un atto negoziale.

Il motivo è infondato. Non ricorre la denunciata violazione del giudicato perchè il giudice di merito ha accertato l’esistenza della legittimazione attiva (rectius della titolarità attiva del rapporto dedotto in giudizio) e tale accertamento si è basato, secondo la sentenza non definitiva del primo giudice, sul riconoscimento della retrocessione del credito contenuta nella comparsa degli interventori volontari e non sui documenti corrispondenti alle missive richiamate nel motivo. La documentazione tardivamente prodotta è stata ritenuta dal giudice rilevante ai soli fini dell’identificazione del preciso momento di riacquisto della titolarità del credito, momento non accertato appunto per la rilevata tardività. Inammissibili sono poi le censure per violazione dell’art. 2704 c.c., e di inefficacia probatoria delle deduzioni difensive (profilo peraltro involgente un apprezzamento di merito) in quanto dirette nei confronti della sentenza non definitiva di primo grado (che lo stesso ricorrente nel medesimo motivo di ricorso afferma essere passata in giudicato) e non nei confronti della sentenza di appello.

Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 1362,1363,1366,1367,1369 e 1370 c.c., art. 112 e 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che non vi era stata contestazione dell’allegazione della natura traslativa del leasing e che non era stato fornito alcun elemento circa l’inidoneità dei beni a conservare un adeguato valore alla scadenza del contratto o comprovante la soggezione ad usura e vetustà tecnologica, mentre, al contrario, l’elevato valore dei macchinari deponeva per un negozio finalizzato al loro acquisto (peraltro i beni erano stati dalla concedente svenduti in un momento di strettissima congiuntura finanziaria).

Il motivo è inammissibile. Quando il motivo di ricorso per cassazione si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali di non contestazione, per consentire alla Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, il ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, deve sia indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese, sia contenere la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi (Cass. 9 agosto 2016, n. 16655). Tale onere processuale non risulta assolto. Per il resto la censura verte sulla divergente lettura delle risultanze processuali rispetto a quella operata dal giudice di merito che è profilo sindacabile in sede di legittimità soltanto nei ristretti limiti del vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366,1367,1369 e 1370 c.c., artt. 112 e 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che, nonostante che in sede di ricorso fossero stati operati dei conteggi che operavano l’attualizzazione dei residui crediti, di fatto questa non era stata eseguita, sicchè il giudice non poteva riconoscerla e che il fatto che i beni fossero rimasti nella detenzione dell’utilizzatrice non comportava l’applicazione dell’attualizzazione delle rate a scadere, che presupponeva l’acquisto del macchinario (peraltro l’art. 14 non prevedeva che i corrispettivi di opzione fossero dovuti malgrado la risoluzione del contratto). Aggiunge che anatocismo e superamento dei tassi soglia erano stati oggetto di contestazione (le rate di leasing erano già comprensive di interessi anatocistici ed irrilevante era il fatto che il CTU non avesse rilevato il vizio) e che non era stato scomputato il costo di due centrali ad aria Atlas.

Il motivo è inammissibile. Sul punto dell’attualizzazione delle rate a scadere si denuncia per un verso l’ultrapetizione, per l’altro l’estraneità alle previsioni contrattuali. Circa il primo aspetto va rammentato che se è vero che questa Corte, allorquando sia denunciato un error in procedendo, quale indubbiamente il vizio di ultra o extrapetizione, è anche giudice del fatto ed ha il potere dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale potere – dovere è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (Cass. 23 gennaio 2004, n. 1170; 3 agosto 2005, n. 16245; 4 maggio 2005, n. 9275). Tale onere non risulta assolto dal ricorrente (che peraltro, in modo ambiguo, afferma che nella domanda l’attualizzazione delle rate a scadere era stata chiesta, ma di fatto non computata).

Quanto al secondo profilo (estraneità alle previsioni contrattuali) il ricorrente censura il risultato dell’interpretazione effettuata dal giudice di merito, e non il procedimento sul piano del rispetto delle regole legali o del vizio motivazionale (nè trascrive il contenuto della clausola rilevante, non potendosi tale onere ritenere assolto dall’assemblaggio al ricorso dell’intero documento delle condizioni generali del contratto, che non consente di identificare la clausole o le clausole rilevanti ai fini della censura sollevata).

Affetta da violazione del principio di autosufficienza del ricorso è anche la censura secondo cui anatocismo e superamento dei tassi soglia sarebbero stati oggetto di contestazione, mancando il richiamo della sede processuale e dei relativi passaggi che avrebbero avuto ad oggetto tale contestazione. Quanto al resto il motivo rifluisce nella divergente lettura delle risultanze processuali rispetto a quella operata dal giudice di merito che è profilo sindacabile in sede di legittimità soltanto nei ristretti limiti del vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il quarto punto del ricorso non costituisce un autonomo motivo di censura, ma il riepilogo dei precedenti motivi.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 – quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2017

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