Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18774 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. I, 12/07/2019, (ud. 06/06/2019, dep. 12/07/2019), n.18774

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19764/2014 proposto da:

M.C., domiciliato in Roma, via Monte Amiata 3, presso lo

studio dell’avvocato Michela Fusco, che la rappresenta e difende,

con gli avvocati Roberto Mancini e Daniele Reversi, giusta procura

in atti;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l.;

– intimato –

Avverso decreto del Tribunale di Verona, depositato il 03/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/06/2019 dal cons. Dott. MAURO DI MARZIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – M.C. ricorre per tre mezzi, nei confronti del Fallimento (OMISSIS) S.r.l., contro il decreto del 3 luglio 2014 con cui il Tribunale di Verona ha disatteso la sua opposizione al diniego di ammissione al passivo di un suo credito, per intero ed in privilegio, per prestazioni professionali.

Ha in particolare ritenuto il Tribunale l’inammissibilità dell’opposizione, anzitutto per il fatto che, mentre l’insinuazione era stata proposta dalla M. nella veste di rappresentante dello Studio Capra & Associati, l’opposizione allo stato passivo era stata invece spiegata dalla medesima in proprio. Ha aggiunto il giudice di merito che, in ogni caso, vi era prova documentale che l’incarico fosse stato conferito proprio all’associazione professionale, unico soggetto portatore della ragione di credito.

2. – Il Fallimento non spiega difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. – Il primo motivo denuncia “nullità del decreto reso dal Tribunale di Verona o nullità del procedimento di opposizione L. Fall., ex art. 98 v. art. 360 c.p.c., n. 4 e/o violazione o falsa applicazione di legge art. 360 c.p.c., n. 3 e ss. letti in combinato disposto con gli artt. 1117 c.c. e ss. da un lato e con gli artt. 2232,2247,38,2267-2268 e 2615 c.c. dall’altro, per avere il Tribunale di Verona affermato il ricorrere di una netta ed incompatibile differenza, con conseguentemente dedotta alterità sul piano soggettivo, intercorrente tra il professionista intellettuale e l’associazione professionale della quale questi faccia parte, con, quale conseguenza ulteriore, la rilevata carenza di legittimazione ad impugnare lo stato passivo dichiarato esecutivo in capo al singolo professionista ove il procedimento di prima istanza abbia visto la presenza in giudizio, quale parte, dello studio associato”.

Il secondo motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione di legge art. 360 c.p.c., n. 3 e/o nullità del provvedimento impugnato o del procedimento art. 360 c.p.c., n. 4 in ragione dell’erronea lettura dell’art. 156 c.p.c. interpretato in combinato con l’art. 77 c.p.c. e con l’art. 2232 c.c. per avere il Tribunale di Verona dichiarato l’inammissibilità dell’opposizione allo stato passivo in forza, al momento di svolgere l’insinuazione, di una pur non inequivoca affermazione di contemplatio del soggetto rappresentato (ossia dello studio professionale) ricavandone appunto a fronte del rilievo per cui l’azione in via di opposizione fu esperita dal singolo professionista, l’irricevibilità del relativo ricorso; o, alternativamente, in forza al momento di opporre lo stato passivo, di una analogamente non inequivoca affermazione di contemplatio del soggetto rappresentato (ossia ed ancora dello studio professionale) ricavandone, a fronte del fatto che l’insinuazione era stata svolta dallo studio professionale, l’irrituale proposizione dell’opposizione L. Fall., ex art. 98”.

Il terzo motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione art. 360 c.p.c., n. 3 dell’art. 2751 bis c.c. per essersi erroneamente escluso il privilegio, assicurato dalla disposizione de qua in ragione del puro e semplice rilievo della circostanza per cui nel testo del mandato professionale dall’adempimento del quale sorsero poi i crediti oggetto dell’insinuazione risultava contemplato un riferimento allo studio professionale nel cui ambito si trovava ad operare il singolo libero professionista che poi maturò il diritto al compenso, dando così centrale e decisivo peso al solo momento genetico del rapporto, senza considerarne poi lo svolgimento in concreto”.

4. – Il ricorso è inammissibile.

I motivi, che per il loro collegamento possono essere simultaneamente esaminati, sono inammissibili giacchè non individuano nè tantomeno contrastano, nonostante la sua chiarezza, la prima delle due rationes decidendi poste a sostegno della decisione impugnata. Difatti:

-) la prima di tali rationes decidendi si riassume in ciò, che, ai sensi della L. Fall., art. 98, contro il decreto che rende esecutivo lo stato passivo può essere proposta opposizione da parte del creditore il quale contesti che la propria domanda sia stata accolta in parte o sia stata respinta, sicchè, essendo stata proposta la domanda di insinuazione dalla associazione, l’opposizione non poteva essere proposta da un soggetto diverso, quale la persona fisica della professionista;

-) la seconda di esse, svolta evidentemente ad abundantiam, giacchè collocata a valle del rilievo dell’inammissibilità dell’opposizione perchè proveniente da un terzo rispetto all’insinuazione, si riassume in ciò, che, “in ogni caso… v’è prova documentale… che l’incarico è stato conferito all’associazione professionale, unico soggetto portatore della ragione di credito tanto che, coerentemente, la domanda di ammissione allo stato passivo non è stata proposta dal professionista in proprio”.

Il dato normativo su cui si fonda la prima ratio decidendi è naturalmente costituito dalla L. Fall., art. 98, comma 2, il quale stabilisce che con l’opposizione il creditore contesta che la propria domanda sia stata accolta in parte o sia stata respinta, aggiungendo che detta opposizione è proposta nei confronti del curatore.

In proposito, tenuto conto del ribadito principio secondo cui l’opposizione allo stato passivo del fallimento, prevista dal citato art. 98, possiede natura impugnatoria, costituendo il rimedio avverso la decisione sommaria del giudice delegato, pur non avendo in senso stretto i caratteri del giudizio di appello (p. es. tra le molte Cass. 30 novembre 2016, n. 24489), è agevole intendere la menzionata ratio decidendi attraverso il richiamo all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui il diritto di impugnare spetta esclusivamente a chi è stato parte del giudizio a quo, fatti salvi, ovviamente, i casi di successione a titolo universale o particolare. In particolare, la legittimazione ad appellare compete soltanto alle parti tra le quali risulti essere stata emessa la decisione impugnata alla stregua dei soli dati desumibili dal testo di essa ed a nulla rilevando che l’effettivo titolare del rapporto sostanziale dedotto in causa sia un soggetto diverso, trovandosi questi pur sempre nella posizione di terzo rispetto ad una pronuncia resa inter alios. In tale prospettiva è stato detto che l’impugnazione proposta da persona diversa dalle parti, nel senso indicato, va dichiarata inammissibile, con la conseguente preclusione di ogni indagine sui motivi con essa proposti (Cass. 14 maggio 1975, n. 1863; Cass. 23 luglio 1994, n. 6886; Cass. 7 aprile 1995, n. 4063; Cass. 14 luglio 2006, n. 16100). E così: non può appellare il soggetto la cui qualità di parte è stata esclusa nel precedente grado di giudizio, se non impugna la statuizione sul punto (Cass. 27 febbraio 1997, n. 1752); non può appellare il socio, se la sentenza è stata pronunciata nei confronti della società, sia pure di persone (Cass. 10 marzo 1994, n. 2335, concernente giudizio di impugnazione della deliberazione dell’assemblea della società); all’inverso, non può appellare la società (sia pure di persone), se la sentenza è stata resa nei confronti del socio (Cass. 28 gennaio 1987, n. 797). D’altro canto, simmetricamente, la sentenza pronunciata nei confronti di una società – ad esempio in nome collettivo, la quale, ancorchè priva di personalità giuridica, costituisce, in ragione della propria autonomia patrimoniale, un centro di imputazione di rapporti distinto da quello riferibile a ciascun socio e fonte di una propria capacità processuale – non fa stato nei confronti dei soci che non siano stati parte del relativo giudizio e che, pertanto, non sono legittimati ad impugnare la sentenza stessa (Cass. 28 luglio 1997, n. 7021; Cass. 29 maggio 1999, n. 5233; Cass. 6 dicembre 2011, n. 26245).

A voler fare riferimento alle regole elaborate non già con riguardo alle impugnazioni, ma all’opposizione a decreto ingiuntivo, tenuto conto che il procedimento di ammissione al passivo si articola in una duplice fase, la prima a cognizione sommaria, la seconda, quella dell’opposizione, a cognizione piena, il risultato non cambia, giacchè nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo – al quale modello, secondo diverse decisioni di questa Corte, può essere rapportato il giudizio di opposizione allo stato passivo – le parti possono essere soltanto colui il quale ha proposto la domanda di ingiunzione e colui contro cui tale domanda è diretta (Cass. 13 giugno 2018, n. 15567, che ha escluso la legittimazione dei singoli condomini a proporre opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso nei confronti del condominio in una controversia relativa alla gestione di un servizio svolto nell’interesse comune).

Insomma, il Tribunale, nell’adottare la decisione in discorso, sulla base della menzionata prima ratio decidendi, non ha punto sfiorato la questione della spettanza del credito in contestazione all’associazione ovvero alla persona fisica della professionista che avrebbe svolto la prestazione, ma si è limitato alla osservazione – perfettamente armonica con la giurisprudenza di questa Corte appena richiamata -secondo cui, effettuata la domanda di insinuazione al passivo da un soggetto A, l’opposizione non poteva essere proposta da un diverso soggetto B, quale che fosse la sua posizione in ordine al credito contestato.

Del resto, che l’associazione professionale, quale manifestazione del complessivo fenomeno associativo, possa risultare dotata di una propria soggettività, distinta da quella degli associati, anche in ordine alla titolarità dei crediti derivanti dall’attività svolta dai singoli professionisti associati, è già stato affermato. Come è stato detto, l’art. 36 c.c., stabilendo che l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati, consente di ritenere esistente la legittimazione attiva dello studio professionale associato ove per l’appunto il giudice del merito accerti la suddetta circostanza. Invero la legge attribuisce all’associazione la capacità di porsi come autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico (così Cass. 4 marzo 2016, n. 4268).

Orbene, a fronte di tale ratio decidendi, la M. si è profusa in ampie ed eterogenee considerazioni in ordine alla insussistenza di una “netta linea di demarcazione tra la posizione soggettiva dello studio professionale associato e del professionista che del medesimo studio faccia parte”, sostenendo che lo studio professionale sarebbe dotato di una “legittimazione per così dire aggiuntiva” rispetto a quella del professionista intellettuale che abbia reso l’opera da remunerare, sicchè allo studio professionale dovrebbero potersi applicare principi elaborati dalla giurisprudenza con riguardo – si afferma – al condominio, ovvero alle società semplici, ovvero ai consorzi, ovvero alle associazioni non riconosciute, per di più in presenza di una spendita del nome dell’associazione, da parte di essa M., in sede di insinuazione al passivo, asseritamente non inequivoca, ed altresì avuto riguardo al rilievo che il Tribunale avrebbe disapplicato il principio del raggiungimento dello scopo, in forza del quale “non si può pregiudicare la necessità di decidere nel merito sui diritti soggettivi fatti valere a fronte di irregolarità o d’invalidità formali”, errando per un verso nel ritenere che l’insinuazione fosse stata proposta dall’associazione e, per altro verso, nel non avvedersi che la stessa professionista “agì in via di opposizione – ancora – quale sostituta processuale dell’associazione, invero rappresentata dalla medesima dottoressa M. anche in quella successiva fase processuale”.

In tali considerazioni, perlopiù attinenti alla titolarità sostanziale del diritto di credito azionato, non v’è però nulla che abbia a che vedere con la ratio decidendi cui si è detto, in ordine alla necessaria identità soggettiva – fatte salve le ipotesi successorie qui non pertinenti – tra il creditore autore dell’insinuazione e quello autore dell’opposizione.

Inoltre, la doglianza concernente l’individuazione dell’autore dell’originaria insinuazione è inammissibile per la sua novità: è la stessa ricorrente, a riferire, a pagina 2 del ricorso, che la Curatela, la cui prospettazione è stata accolta dal giudice delegato in sede di formazione dello stato passivo, “qualificava l’insinuazione… come formulata dallo “Studio Capra & Associati rappresentato dalla dottoressa M.C.””: ma non risulta affatto che l’opponente avesse censurato, in sede di opposizione allo stato passivo, detta affermazione, che è stata dunque messa in discussione, per la prima volta, solo in questa sede di legittimità.

Per il resto, nell’economia della doglianza è incomprensibile il richiamo agli artt. 156 e 77 c.p.c.: uno attiene alla sanatoria della nullità, non certo dell’inammissibilità derivante dall’essere stata proposta l’opposizione da un estraneo alla precedente fase di insinuazione; l’altro fa divieto al procuratore generale ed a quello preposto a determinati affari – quale non risulta affatto fosse la M. – di stare in giudizio per il preponente.

Con particolare riguardo al terzo motivo, infine, è sufficiente osservare che esso è rivolto inammissibilmente contro la seconda delle due rationes decidendi, come si è detto svolta ad abundantiam (v. Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2007, n. 3840).

5. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 6 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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